Pubblichiamo qui vari articoli de “il Migliorista” di ieri e di oggi.
Una formazione liberale e riformista
Al PD sarebbe utile politicamente che si creasse un centro liberale e riformista, che possa conquistare voti moderati e interpretare un vasto malcontento e anche il fastidio diffuso per essere costretti a votare per un sistema artificioso, che da tempo sta premiando l’estremismo massimalista da una parte, quello reazionario dall’altra e il qualunquismo populista; il tutto condito da un autarchico isolamento e da velleità protezionistiche contro il corso della storia e degli eventi mondiali. Manca una visione lucida: non è l’Europa che ha bisogno di noi, ma noi abbiamo bisogno in tutti i sensi dell’Europa, della fine della guerra in Ucraina, di un Mediterraneo pacificato, di una politica comunitaria verso l’Africa e di un mondo con un ordine e un equilibrio multipolare (Europa, Usa, Cina. Russia, India).
Per le scelte politiche compiute, il PD non è in grado di recuperare voti moderati, liberali, riformisti di una area che si definisce geograficamente di “centro”, ma che è un area sociale, ideale, culturale, economica, che rifugge dalle soluzioni estreme, di destra o di sinistra. Una area, non di conservazione, ma di evoluzione graduale, con la necessaria mediazione politica, senza tensioni sociali ma con innovazioni concrete, per un processo di superamento delle differenze di opportunità e delle ingiustizie sociali, per un ragionevole allargamento dei diritti civili nel garantismo costituzionale e nella difesa dello stato di diritto, per una modernizzazione dello Stato, per una efficienza ed efficacia dello stato sociale e dei servizi universali. Un’area che chiede una azione politica attenta ai conti dello Stato, al debito pubblico, che ci metta in sintonia con l’Europa più avanzata.
Oggi si tratta anche di recuperare una fetta di quell’astensionismo che è andato crescendo negli anni: alle politiche del 2018 hanno espresso voti validi, il 71% degli elettori eventi diritto; nel 2019 alle europee il 54%. Ci saranno due milioni e trecento diciassette mila giovani votanti in più per la Camera rispetto al 2018. In queste elezioni voteranno per la prima volta al Senato quattro milioni e settecento mila giovani fra i venticinque e i diciotto anni, visto che tra le tante cose sbagliate vi è stata quella di unificare l’elettorato passivo. Prima votavano per il senato i 25enni, oggi anche i 18enni, come per la Camera, tanto per fare un bicameralismo non perfetto, ma perfettissimo.
Fra parentesi, alla Camera si sono dimenticati di modificare il regolamento, per cui vige quello di 630 deputati, mentre ce ne saranno un terzo in meno. Complimenti Fico! Al Senato l’hanno fatto.
Ora sarebbe sciocco e politicamente delittuoso che Italia Viva ed Azione non trovassero una intesa per un accordo elettorale, non per un matrimonio di amorosi intenti, ma per un percorso comune verso la costruzione di un polo democratico, liberale e riformista, con una forte dimensione europeista e con il senso della sovranazionalità necessaria per questi tempi difficili e per il futuro. Come non vedere che dal fisco, alla previdenza, dalla sanità alla scuola, dalla energia ai trasporti pubblici e privati, dalla politica estera a quella di difesa e di sicurezza interna ed esterna, le soluzioni non possono che essere a valenza ed a integrazione europea?
Capisco le forti personalità, le ambizioni leaderistiche connaturate nei personaggi, ma bisogna ricordare loro che la politica italiana è vissuta con grandi personalità che hanno saputo vedere che gli interessi generali e la politica prevalevano su tutto. Nella mia esperienza, nel PCI. ho visto personalità molto forti come Luigi Longo ( il miglior segretario del Pci, a mio parere), Giorgio Amendola, Pietro Ingrao, Giancarlo Pajetta, Umberto Terracini, Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Edoardo Perna, Francesco Di Giulio, Emanuele Macaluso, Giorgio Napolitano, Enrico Berlinguer e potrei andare avanti., personalità che convivevano, in una dialettica di posizioni, assai vivace e spesso anche aspra.
Che c’entra il PCI?
Il direttore de Linkiesta, Christian Rocca ha voluto seguire la strada insidiosa degli stereotipi: “Calenda si è infranto sulla barriera degli ex PCI-PDS.”
A parte che oggi il PD è a trazione democristiana, ovvero di quelli che vengono da una tradizione, magari di terza o quarta o quinta linea della DC (Letta, Franceschini, Guerini), nei fatti di questi giorni vi vedo confusamente, una gestione stile “unione” “ulivo” anche questa di impronta democristiana-margheritiana-prodiana-veltroniana con l’invenzione delle “primarie” per dare l’investitura del “popolo di sinistra” al democristiano, presidente dell’Iri e liquidatore delle aziende pubbliche (peraltro coadiuvato da D’Alema). Nella ricerca di mettere tutti insieme, allo stesso tavolo, distribuendo le carte in maniera diversa, anzi cambiando il mazzo di carte, a seconda dell’interlocutore, dando i numeri, sicuramente c’è l’eredità confusionaria del PDS, della Cosa 1, della Cosa 2, della “gioiosa macchina di guerra”, della “vocazione maggioritaria” del PD, senza una politica degno di questo nome.
Ben altra cosa la storia del Pci, con tutti i suoi difetti, compreso quello di provare sempre una allergia per la presenza di forze alla sua sinistra (Psiup, DP, Pdup) ma con una idea di fondo per cui le liste elettorali sono la proiezione di una politica perseguita prima e dopo. A Milano il PCI mise in lista Antonio Giolitti, Giorgio Strehler, Guido Rossi, Massimo Riva, Antonio Cederna, Felice Ippolito, Altiero Spinelli, solo per citarne alcuni, per segnare una politica attenta verso il centro riformista, liberale, europeista e ambientalista.
Purtroppo una evoluzione, nell’ambito della socialdemocrazia europea, è stata dirottata verso un informe agglomerato di movimentismi e di radicalismi, in un magma di fondamentalismo ambientale, di dissenso cattolico e di sinistrismo radical-chic con attico.
Calenda ha commesso l’errore di subire la volontà della Bonino e di Della Vedova di avere dei posti garantiti dal PD nel prossimo Parlamento. Che il PD cercasse di fare una armata brancaleone era nella logica delle cose. La guida del PD, con la linea del “campo largo” con le 5S, coltivato fino a meno di un mese fa, considerato come un campo progressista e di sinistra, poteva improvvisamente sbarellare totalmente a “destra”? No, poteva solo pensare di imbarcare la sinistra e la destra, il no all’Ilva e il sì all’Ilva, il no al termovalorizzatore e il sì al termovalorizzatore, il no al rigassificatore e il sì al rigassificatore. Insomma il solito giochino, coprirsi da tutte le parti e non scegliere, tanto meno evitare di rompere con la sinistra dura e pura. E questo va bene alla Bonino e a Della Vedova, a cui da sempre (in questo sono molto coerenti) interessa prima di tutto il seggio parlamentare.
Risentimenti personali ed egotismi smisurati
Come si possa andare alle elezioni con due proposte (una politica e una tecnica, o meglio, una per il governo e una per la costituzione) per me è un mistero, un enigma che forse neanche Alan Turing poteva decifrare. E infatti il progetto aveva in sé tali contraddizioni che è esploso, con buona pace di chi, subito sul “Corriere della Sera” ha elogiato il “centro e sinistra”. Fare un accordo per l’agenda Draghi escludendo il maggiore sostenitore di Draghi era frutto solo di un risentimento comune di Letta e della Bonino contro Renzi, sostenuto dall’ego smisurato di Calenda che pensava in tal modo di essere formalmente il co-leader e nella sostanza, per la sua straripante presenza sui media e sui social, il leader egemonico della coalizione.
Orbene, in politica ci sono sentimenti, risentimenti, odi, amori, simpatie ed antipatie, e desideri di vendetta: la più alta attività umana, ovvero la politica, contiene e sublima tutte queste espressioni dell’animo umano, ma non lascia scampo agli errori di valutazione e si prende la rivincita su chi si fa dominare dalle emozioni positive o negative, o dall’ipertrofia dell’ego, quello che la Treccani definisce “Atteggiamento psicologico (diverso dall’amor proprio e dall’egoismo) che consiste nel culto di sé e nel compiacimento narcisistico e raffinato della propria persona e delle proprie qualità.”
Non parlo solo di Calenda, o di Renzi (che mi sono simpatici perché non dissimulano il loro egotismo), parlo della Bonino che invece dissimula e gestisce +Europa come la sua proprietà esclusiva, o di Letta che pensa non solo alla vendetta, ma pensa di essere capace di tenere insieme il diavolo e l’acquasanta (che stanno insieme solo in un divertente film sul calcio, di Sergio Corbucci, con Tomas Millian e Piero Mazzarella).
E Calenda ha commesso il gravissimo errore di cedere alle pressioni congiunte di Bonino e Letta, anziché andare sulla strada del polo liberale-riformista.
Dilettantismo politico e disastrosa incapacità comunicativa
Le coalizioni, le intese, gli accordi non si costruiscono in streaming, in diretta, minuto per minuto, perché tutti gli intoppi, i passaggi stretti e le concessioni di una trattativa diventano poi errori o cedimenti, ingigantiti da una cattiva comunicazione. La riservatezza spesso in politica non è la coltivazione di un segreto, ma è il farmaco per guarire infezioni e malattie, per contrastare capricci e gelosie, per vanificare vanità e protagonismi, per evitare trappole e consentire cambiamenti di opinione e di obiettivo.
Se si vuole fare una coalizione “per la costituzione”, si presuppone ovviamente una coalizione più ampia di quella di “governo”, con un solo obiettivo: battere la Meloni e il centrodestra che vogliono realizzare il “presidenzialismo”. A parte che non basta la faciloneria di un Salvini che scambia l’autonomia differenziata – che non ha portato a casa con il governo giallo verde di Conte I – con il presidenzialismo, non credo che nella Lega e in Forza Italia seguano la Meloni su questa strada senza porle qualche paletto. Ma tuttavia ammesso che questa preoccupazione sia fondata, se vuoi fare una “coalizione costituzionalista” prendi il 4,1% di Sinistra Italiana/Europa Verde Verdi, prendi l’1,7% di “Impegno civico”, e non prendi il 2,8% di Italia Viva? E se questo è l’obiettivo, tutti insieme contro la Meloni, perché lasciare fuori le 5S, che hanno il 10%, con cui fra l’altro sei stato alleato per tre anni e li hai coltivati come interlocutori del “campo largo” e il suo capo politico come il “leader dei progressisti”? E allora ad “Azione/+Europa” prospetti questa alleanza, rinviando a dopo le questioni di governo.
Quello che non sta insieme è presentare due coalizioni: una per governare e una per la costituzione; o addirittura presentare una coalizione come “politica” (quella con Calenda) e una come “tecnica” (quella con Sinistra Italiana /Verdi e con Di Maio e Tabacci).
Si crea solo confusione negli elettori, ai quali deve arrivare un messaggio solo, forte e univoco.
Tutti insieme contro la destra? O solo alcuni?
Può essere anche giusto dire “tutti insieme contro la destra, impediamo al centrodestra a trazione conservatrice o reazionaria di vincere” e rimandiamo a dopo il tema del governo, della coalizione di governo, e ciascuno, autonomamente, presenta all’elettorato le sue proposte programmatiche. È ovvio che una coalizione così non può invocare l’”agenda Draghi”, non solo perché Sinistra Italiana ha sempre votato contro Draghi e le 5S hanno fatto cadere il governo di unità nazionale, favorendo il ricompattamento del centrodestra che fino al giorno prima era diviso tra due che appoggiavano Draghi e una forza politica che era all’opposizione: contraddizione che dovrebbe essere utilizzata di più, visto che tuttora i ministri della Lega sono nel governo e Forza Italia non chiede più di tanto che i ministri ex Forza Italia se ne vadano dal governo.
Mi risulta difficile pensare che regga in campagna elettorale una coalizione in cui Calenda era per far funzionare l’Ilva di Taranto con l’Arcelor Mittal e un candidato sindaco di Taranto (Bonelli dei Verdi) che voleva chiuderla. E in questa sede non apriamo il tema Ilva, per non chiedere al PD nazionale cosa pensa del PD di Boccia e Emiliano: a Mariupol l’acciaieria Azovstal è stata distrutta dalla guerra russa, qui da noi bastano Emiliano e le 5S, con l’aiuto della magistratura, a bloccare l’impianto.
Ma, lo ammetto, sono parte delle “vecchia politica”, che, nonostante ci provasse, non arrivava alle attuali e recenti vette di bizantinismo del politichese italiano. Ma si poteva immaginare che un partito mettesse nel suo simbolo un altro simbolo espressione di un gruppo guidato da un componente della sua direzionale nazionale? Eppure è successo nel 2019, con Zingaretti e Calenda che hanno presentato il simbolo Pd e “Siamo europei” ed erano uno segretario e l’altro della direzione del PD.
Quindi, davvero trovo incomprensibile politicamente l’azione del Pd. Capisco la Bonino, Fratoianni e Bonelli che vogliono sistemare se stessi e i loro accoliti (amici e amiche fedeli) con le candidature nel Pd. Non capisco il Pd che va in giro con le formule matematiche per combinare una coalizione ulivista, immaginando una sorta di desistenza, che non è possibile e non è prevista dalla legge elettorale (che non hanno avuto il coraggio e le idee di cambiare).
L’odio dell’amante tradito
Quello che non capisco è come si possa far uscire certi comunicati del PD, pieni di livore contro un segretario che è stato parte importante della loro stessa storia. Ha ragione Giorgio Gori “una comunità politica seria che democraticamente ha scelto (2 volte) il suo capo, ne condivide anche le sconfitte. Poi lo cambia, ma non lo diffama”. Particolarmente aggressiva la ex prodiana e oggi “orlandiana” Sandra Zampa.
Quel comunicato era la dimostrazione dell’odio nato dalla subalternità ad una persona osannata con un culto della personalità esagerato, espressione di quelli che si prostravano per dichiararsi “renziani” quando era il capo e che oggi lo dileggiano perché mette a nudo la loro incapacità di fare politica. Come se Letta con Bersani non fosse stato protagonista di un imbarazzante e umiliante (per gli elettori del PD) incontro in streaming con Vito Crimi e Roberta Lombardi delle 5S (quest’ultima oggi assessore della Giunta Zingaretti nel Lazio) e come se Franceschini non avesse collaborato con Renzi a mandare a casa il governo Letta.
Non ho mai avuto simpatie per Renzi, e meno che mai per quel presuntuoso egocentrico e dannoso Maximo, che non ne ha azzeccate neanche una dal punto di visto politico, se non le sue personali sistemazioni. Ma oggi che il Pd riammetta senza colpo ferire nel suo cerchio magico il gruppo di Speranza e D’Alema, e demonizzi Renzi, fa pensare. E dovrebbe far pensare quella area di “riformisti” che si trovano schiacciati tra il rientro di “Art. 1 – Movimento democratico e progressista” (guarda caso la stessa denominazione aggiunta al simbolo PD per queste elezioni) e Bettini, Orlando, Provenzano, Boccia. Un partito che pensa anche di recuperare delle belle statuine come Gianni Cuperlo.
Sembra che con Renzi il Pd fosse una monarchia assoluta e forse lo era, ma stupisce che tutti coloro che hanno avuto posti, da ministro, da parlamentare, ecc. siano stati zitti e taciturni, o abbiano avuto voci talmente flebili da non essere sentite. E quando nel 2018 Renzi in un “Che tempo che fa” pose il veto ad un accordo con le 5S, nessuno si ribellò pubblicamente con voce ferma e chiara. Oggi siamo al paradosso che molti nel Pd che sbavavano per Renzi, sono passati a considerare Conte il leader dei progressisti e nel contempo ad odiare Renzi.
Ridicoli, e senza pudore. Da quando il PD non tiene un vero Congresso? Si è arrivati addirittura a far finta di niente, senza un dibattito, una discussione, quando il segretario del Pd, Zingaretti, ha dichiarato di vergognarsi del suo stesso partito: senza colpo ferire, trac, si è messo Letta, nessuna motivazione o discussione; silenzio e si è chiusa la vicenda.
E non stento a credere che “i militanti del Pd hanno maturato un giudizio durissimo, senz’appello, su Renzi e sulla sua parabola politica” come dicono “fonti del PD”, ovvero Letta. Scelto per due vote nelle primarie: nel 2013 contro Cuperlo e Civati con il 45% dei voti degli iscritti (133.892) e con il 68% dei voti degli elettori (1.895.332); nel 2017, dopo essersi dimesso da segretario dopo qualche mese dalle dimissioni da capo del governo, vince di nuovo con il 66,73% degli iscritti (176.657) e con il 69,17% degli elettori (1.257.91) contro Orlando ed Emiliano. All’assemblea nazionale del 2017 Renzi ha 700 delegati, Orlando 212 e Emiliano 88.
Ma come è noto “nihil est incertius vulgo” per dirla con Cicerone e il grande Shakespeare nell’”Enrico VI” sottolinea che “la piuma è sempre governata da quel vento che spira più robusto: tale è la leggerezza di voi uomini del popolo”.
Oggi dunque i militanti sarebbero “senz’appello” contro Renzi, ma non sarei così convinto che una parte degli elettori, anche del PD, siano dello stesso avviso. Anzi, credo che oggi guardino, più di ieri, a “Italia viva” come ad una forza che, con tutti i suoi limiti personalistici, ha una vera squadra di governo, di donne e uomini competenti e capaci, e sa fare politica. E sarebbe cosa buona e saggia se Calenda e Renzi collaborassero a fare una coalizione, almeno elettorale, per il momento. E poi se son rose, fioriranno, si dice.
Se non sbagliano le candidature, potrebbero ottenere un risultato oggi non prevedibile nelle sue dimensioni, ma certamente utile per avere in Parlamento una forza capace di avere quelle iniziative politiche, che ormai sono diventate merce rara in un “partito” che sempre più si è trasformato in un gruppo di potere. 8 anni su 9 al governo. E c’è qualcuno, Franceschini che pensa non solo a riproporsi – invece che a Ferrara, stavolta a Napoli – dopo otto anni al governo (governi D’Alema II, Amato II, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte II, Draghi) ma vuole piazzare nel listino bloccato di Roma anche la moglie.
Del resto che dire di un partito in cui ci sono correnti nel nome di Franceschini, di Orlando, di Emiliano, e via dicendo.Che sono degni compari di chi presenta liste “Noi con l’Italia – Lupi” ( con chi sennò, con il Liechtenstein?) e “Italia Centro con Toti”: e pensate che questa grande elaborazione di simboli è per fare una lista insieme ! O l’ape maio, con tanto di scritta “Di Maio” in grande evidenza. Una domanda continua ad assillarmi: ma perché è uscito dalle 5S? non poteva stare dentro e contrastare fino all’ultimo la volontà di Conte di aprire la crisi ? e uscire eventualmente dopo aver perso la battaglia? Ha fatto tutto da solo o qualcuno l’ha consigliato (male)?
E volete che uno non rimpianga Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, Giuseppe Saragat ? Che non hanno mai lontanamente pensato di mettere il loro nome nel simbolo del partito. Altri tempi certo, ma anche altro spessore di personaggi.
Purtroppo c’è anche e soprattutto chi cerca di farci tornare indietro di un secolo, con slogan davvero indecenti: “Avanti, Patrioti” “Siamo pronti”: a che cosa? perché?
Spero proprio che gli italiani si diano una mossa e facciano spegnere il sorriso di Giorgia Meloni, che si sente già a Palazzo Chigi. Spero che valga per le elezioni quanto si dice per il conclave : “Chi entra Papa, ne esce cardinale”
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(lunedì 8 – martedì 9 agosto 2022)
Una gradita “lectio magistralis” .
Condivido , soprattutto sulla possibile positiva eventualità , oggi confermata rispetto alla data dell’articolo, di una proposta di voto Renzi-Calenda . Non sarà il massimo delle perfezioni, tra messaggi e cose dette ci sono parecchi punti discutibili per chi ha ideali e una militanza alle spalle di arra socialista, ma è pur sempre una alternativa e potrebbe essere un buon inizio per una futura area laica social riformatrice (dire proprio la parola socialista e osare troppo !) . Spero ci saranno occasioni per parlarne , e grazie sempre delle tue lucide analisi , lo spessore dell’esperienza di importante lavoro politico che tu hai fatto si sente ed è un dono prezioso che ci fai condividendo tutto questo. Cordialmente Donatella