L’articolo proposto da Vittorio Carreri (ben mi ricordo di lui quando ero in Regione, non so se sia reciproco) affronta la necessità di riforma sanitaria sub specie di emergenza Covid, osservando e individuando vari aspetti che Carreri definisce come errori e inefficienze per concludere con una riflessione sulla Medicina del Territorio.
Non entro nella discussione di tutto l’articolo, che propone ben 21 punti, ma mi permetto di analizzare alcuni aspetti (punti da 10 a 14) che, costruttivamente, potrebbero servire a superare molte difficoltà attuali.
In particolare (e semplifico, evidentemente) in questi giorni si dibatte se Ospedale e Medico di Famiglia (MdF) devono essere considerati antitetici, tra loro in rigorosa scala gerarchica dove i MdF occupano il gradino più basso, o elementi di un unico sistema, con specifiche caratteristiche, tra loro concorrenti per un obbiettivo unico.
Neppure qui entro nel dibattito se i MdF (perdonate se non utilizzo il termine che non apprezzo di MMG) debbano transitare alla dipendenza o rimanere liberi professionisti: la scelta è stata effettuata nel 1978 e ora rendere dipendenti i MdF vorrebbe dire affrontare enormi spese senza la certezza di un beneficio per la comunità. Comunque, è un tema aperto.
La mia visione, che ho cercato di anticipare su queste colonne, è quella di un SSN che offra in tutto il nostro paese una uniformità di servizi fondamentali (vogliamo chiamarli LEA? È possibile ma forse impreciso) deputando alle singole Regioni dei plus secondo la loro storia e le risorse.
In questa visione, le due facce, Ospedali / Medici di Famiglia, possono coniugarsi virtuosamente ed offrire, ciascuna, un servizio medico di prim’ordine, integrato con un servizio infermieristico anch’esso di prim’ordine.
Questa visione però supera nettamente la -contorta, me lo si permetta- visione di ATS (sono circa le ex-ASL deprivate di servizi) e ASST.
L’attuale configurazione attribuisce agli ospedali la competenza sul territorio, assegnando loro proprio ciò che a un ospedale non interessa.
A mio giudizio l’Ospedale deve ergersi al centro di un territorio per offrire servizi specialistici di diagnosi e cura di prim’ordine, con un rapporto virtuoso col proprio territorio tramite stretti (reali e fondati sul rispetto reciproco) rapporti con i MdF, le proprie strutture ambulatoriali e i Pronto Soccorso, mentre l’organizzazione globale del territorio deve essere assegnata a un ente unico, proprio per evitare le attuali carenze, come il debole dipartimento di Igiene giustamente lamentato da Carreri (analogamente si può dire per i servizi di Medicina Legale e di Prevenzione).
In pratica intravedo meglio un sostanziale ritorno, con opportune modifiche di nome e sostanza, alle ASL. Iniziando con l’eliminazione del termine di “azienda” che in sé descrive una naturale ed inevitabile vocazione per il “profitto”, ossimoro per una struttura di servizi, che deve ben controllare i bilanci ed evitare gli sprechi, ma che ha come compito “la Salute”, non il guadagno.
Il rapporto dell’ospedale col “territorio” può e deve essere coordinato magari attraverso la competenza stessa dei Medici di Famiglia che possono essere chiamati a sostenere il carico dei codici bianchi e verdi di un Pronto Soccorso, salvo utilizzare al bisogno competenze specialistiche in un interscambio proficuo.
Il Pronto Soccorso, nella parte affidata agli ospedalieri, alleggerita da problemi banali, deve quindi accogliere le reali urgenze cliniche ed affrontarle direttamente, ovvero indirizzarle, a scopo diagnostico, a reparti di nuova concezione di diagnosi e cure che sostituiscano le vecchie astanterie.
Gli infermieri “sul territorio” si troverebbero quindi a lavorare con i MdF nei Pronto Soccorso e a seguire per le esigenze infermieristiche i malati dimessi in stretto rapporto col MdF.
Quanto ai MdF non vedo realizzabili (e non ci sono riusciti in vent’anni) le romantiche Case della Salute, forse utili in numero limitato e in provincia, mentre rafforzerei l’associazionismo di gruppo, rendendolo organico e funzionale, non abbandonato a se stesso e a obsolete norme burocratiche formali.
Il tutto sostenuto da due aspetti fondamentali: un rispetto reciproco fra amministrativi e medici (e mettiamoci anche la classe politica), caratterizzato da una vera e propria μετάνοια, cioè da un cambio radicale di visione del rapporto fra le due classi (infelice, me lo si consenta, almeno negli ultimi 20 anni) e un reale supporto economico.
Ora per quest’ultimo si può contare su risorse europee, che spero facciano dimenticare gli orridi “tagli lineari” i quali hanno pesantemente contribuito alla crisi “Covid”, che vadano però impiegate con visioni serene, ampie e proiettate sul futuro.
È una proposta complessa e da dipanare, ma a mio giudizio meritevole di discussione, che rompe vecchi schemi e propone una nuova e migliore della Sanità Pubblica.
Maurizio Bruni
(14 giugno 2020)