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MIlano: quale futuro?

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La configurazione della rete di infrastrutture caratterizza le grandi aree urbane e ne rende evidente il rapporto storico con le vite degli abitanti. Tuttavia per Milano questo rapporto rischia di cambiare con l’aspirazione a un diverso obiettivo di sviluppo, in contraddizione con la sua più che centenaria storia.

Milano non è una metropoli estesa e circondata da chilometriche periferie, bensì il centro di una costellazione di comuni, di varia dimensione, disposti in una configurazione quasi planetaria, che organizza una regione urbana di oltre cinque milioni di abitanti.  Il benessere di tutta l’area urbana discende dal fatto che tutti gli insediamenti, pur indipendenti, sono legati alla condivisione di un unico spazio economico.  Nel tempo le reti infrastrutturali sono state preordinate a questo scopo. Non a caso, già nel 1915, in Lombardia erano in funzione 1.413 Km di linee ferroviarie dello Stato, 525 Km di ferrovie in concessione, più 1.518 Km di tranvie extraurbane, in gran parte gravitanti su Milano. Cosicché la ricchezza milanese e lombarda è stata costruita su un patto sociale, che unisce tutta l’area urbana, e che rende tutti, milanesi, poiché il dilemma della scelta economica tra il costo della casa e quello del trasporto (ovvero tra fitto e nolo) trova sempre una soluzione accettabile, scontando, quando necessario, solo il sacrificio del tempo di trasporto.

I milanesi di fuori Milano non sono soggetti ad un’autorità centrale, nei loro comuni godono  di rappresentanza politica, accesso a servizi, alle informazioni ed alle decisioni locali.  L’evoluzione dei trasporti ha poi portato alla crescita di una rete stradale capillare che sostituì le tranvie e poi alla realizzazione delle metropolitane urbane. Negli anni sessanta si iniziò a progettare il passante ferroviario che doveva collegare e distribuire all’interno del capoluogo tutti i flussi pendolari. Si capì che questa vasta area urbana era di fatto un’unica città e meritava una rete che davvero la rendesse un’unica città.

I lavori del passante iniziarono nel 1984 e il passante venne aperto nel 2008. Ora trasporta quasi 250.000 passeggeri al giorno e potrebbe agevolmente raddoppiare se solo tutte le stazioni esterne fossero dotate di parcheggi d’interscambio di capacità adeguata.

Ben presto si capì che l’anello ferroviario non era completo e che era necessario un secondo passante che innervasse il lato Ovest della Città e che, in questo modo, recapitasse in Milano tutte le linee ferroviarie presenti sul territorio lombardo. Il secondo passante avrebbe convogliato le linee delle Nord, quelle provenienti da Varese-Sesto Calende e Torino e la linea di Mortara con la cintura Sud e la linea per Bologna, chiudendo l’anello intorno la città ed interscambiando con la metropolitana a Domodossola (M5), Pagano (M1), Foppa (M4).

Da ogni stazione ferroviaria della Lombardia si sarebbe potuto raggiungere direttamente il centro di Milano, e viceversa, facendo della vasta area urbana lombarda un’unica città, ancorché policentrica. Il progetto del secondo passante, già ipotizzato da Augusto Clerici, fu sostenuto anche dal sindaco Tognoli, quando era ministro delle Aree Urbane, e, tra la fine degli anni ’90 e il 2006, fu inserito nei  due Piani della Mobilità del Comune, su cui si sviluppò una progettazione di larga massima.

Metropolitana Milanese predispose poi uno studio, non particolarmente attendibile, che non mi risulta sia mai stato pubblicato. Tuttavia, con il PGT elaborato dalla Giunta Pisapia il secondo passante sparì dai piani e dai documenti del Comune. Mi ricordo di essere andato dall’assessore De Cesaris a scongiurare che almeno si mantenesse un “tracciolino”, per memoria, ma la mia richiesta non venne accolta.

Oggi i progetti presentati al PNNR e le informazioni sulla finanziaria 2022 ci fanno capire appieno il radicale cambiamento di strategia che si è verificato. Cambiamento avvenuto senza un dibattito, senza una pubblica posizione del Comune o della Regione, nemmeno sottoposto, non dico alla valutazione, ma nemmeno all’informazione dei cittadini e di quella istituzione ancillare che è la Città Metropolitana.

Ora si è saputo che saranno finanziati M2 verso Vimercate e M3 verso Paullo. Da molto tempo, più di 15 anni, il Comune di Milano non pubblica più i dati di mobilità e di traffico, ma mi ricordo che su queste direttrici, soprattutto per quella di Paullo, la domanda di trasporto pubblico è ben al di sotto dei volumi richiesti da una metropolitana. E’ noto che è ragionevole dotare un’area di un sistema di trasporto ad alta capacità solo quando la mobilità già espressa abbia raggiunto una quota significativa della capacità offerta, per evitare fenomeni di eccessiva congestione, causati dalla crescita immobiliare indotta che non tarda a manifestarsi.  A meno che non si voglia proprio incentivare un cospicuo sviluppo immobiliare (come si scelse di fare a Copenhagen).

Non a caso in molti paesi si realizza una sede metropolitana facendovi correre, in prima fase, un mezzo meno capiente (si faceva in Canada, a Bruxelles era stata realizzata una galleria metropolitana ove, inizialmente, correva un tram). Inoltre, quando la mobilità non è sufficientemente elevata e consistente non solo nelle punte, ma anche nelle ora di morbida, la gestione della metropolitana è scarsamente conveniente. Basti pensare, in proposito, a quanto è successo per il prolungamento della M2 fino a Gessate.  La presenza della metropolitana ha fatto da esca ad uno straordinario sviluppo immobiliare, che ha portato ad una complessiva congestione su tutta la direttrice trasformando la Statale 11 in una strada altamente congestionata. Inoltre, quando lo sviluppo immobiliare aumenta in modo eccessivo, cresce anche la mobilità su auto privata poiché non tutti hanno accesso diretto alla metropolitana, né tutte le destinazioni sono poste lungo la linea.  Cosicché la congestione lievita e si estende.

Altro progetto in controtendenza per lo sviluppo dell’area milenese è quello della cosiddetta Circle Line, di cui sarebbe troppo lungo parlare. Quanto detto dovrebbe bastare per capire come ci si avvii a cambiare la strategia che Milano ha perseguito da più di un secolo; strategia pubblica e comportamenti privati profondamente inseriti nell’identità culturale e civile dell’area urbana milanese-lombarda.

Non più una sola città costituita da un arcipelago di comuni indipendenti ma legati da un unico destino economico. Non più una rete infrastrutturale il più possibile equipotenziale per dare a tutti gli insediamenti pari opportunità. Non più l’obiettivo di legare tutti i comuni dotati di stazione ferroviaria all’accesso diretto al centro di Milano, realizzabile con il secondo passante.

L’identità di Milano è sempre stata quella di una città centrale che eccelle promovendo la configurazione territoriale e civile del policentrismo, come ben specificato negli obiettivi del PRG 1950, ma che, ora, per inutile invidia delle metropoli mondiali, vuol farsi anch’essa convenzionale metropoli con i suoi aloni gonfiati dagli insediamenti suburbani.  Il tutto legato dalla forza, non più contrastata, anzi facilitata, della speculazione immobiliare.

La conferma di questa strategia è nelle statistiche: dopo il calo di popolazione del 2010 i tassi di crescita tra Milano e la Provincia si sono ribaltati, mentre prima la Provincia cresceva più di Milano, dopo il 2013 la città di Milano aumenta più rapidamente i suoi residenti, turbando il tradizionale equilibrio insediativo tra città centrale e comuni esterni. Un progresso solo apparente.

Nel frattempo molte famiglie milanesi, a causa del vorticoso aumento del costo delle case e degli affitti, si riparano nel suburbio, sostituite da una massa di singles in carriera. Questa evoluzione, avvenuta senza che sia stata enunciata una diversa strategia, ma con non motivata cancellazione e sostituzione di progetti, cambia la storica configurazione della città di Milano e della sua area urbana. Se ne dispiacerà, dalla tomba, Peter Hall, che nel suo famoso libro “Le città mondiali” considerava le città policentriche come un sistema privilegiato di urbanizzazione e alle quali ha dedicato un successivo libro, scritto con Kathy Pain, “The Polycentric Metropolis, Learning from Mega-City Regions in Europe”.

Occorre quindi chiedersi quale città Milano voglia diventare.

Ma i cittadini, di Milano e della sua grande area urbana, cosa ne pensano?

Giorgio Goggi

(venerdì 11  marzo 2022)

3 thoughts on “MIlano: quale futuro?”

  1. Cesare Prevedini ha detto:
    Marzo 11, 2022 alle 6:05 pm

    Io penso che si sarebbe dovuto bloccare l’inutile sviluppo immobiliare nelle aree dismesse, selezionando al massino un paio di luoghi e destinare la grandissima parte di aree dismesse sia industriali che pubbliche, sostanzialmente i sedili ferroviari e le ex stazioni, a verde pubbico.

    Rispondi
  2. Gian Piero Gallisai ha detto:
    Marzo 12, 2022 alle 1:21 am

    mi pare di capire che si debba dare maggiore “peso” all’ente citta’ metropolitana del resto Milano e il suo centro sempre più allargato si sta lentamente “svuotando” di abitanti i quali per varie ragioni si vedono costretti a trasferirsi proprio nel cosiddetto hinterland in futuro si spera sempre più attrezzato con le linee metropolitane leggere ormai come e’ gia’ avvenuto in tutte le grandi città metropolitane internazionali.

    Rispondi
  3. Giulio de Benedictis ha detto:
    Marzo 12, 2022 alle 11:45 am

    Le analisi del prof. Goggi sono sempre lucide ed approfondite le decisioni dell’attuale amministrazione comunale sono espressione del peggiore sindaco che Milano ha avuto .

    Rispondi

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