Garibaldi-Varesine
Nel passato la destinazione dell’area Garibaldi Varesine a Milano fu oggetto di molte controversie, per le proprietà delle aree divise tra Comune, Ferrovie dello Stato, Bruno De Mico (Codemi) e Salvatore Ligresti. (che aveva una piccola percentuale): si discusse molto, anche troppo, sulle destinazioni d’uso (il consiglio di zona voleva tutto verde) e sulle strutture pubbliche da realizzare con gli oneri di urbanizzazione e i diritti volumetrici. Ci fu anche l’idea di collocare lì il Centro Congressi e il “Museo della Moda”. Personalmente, come assessore alla cultura, mi sono battuto per realizzare alcuni progetti culturali: la biblioteca centrale, per cui feci approvare in Giunta, una trattativa di massima con un progetto di Gae Aulenti che prevedeva un palazzo con ogni piano destinato a una sezione libraria. Osservo che, se il Comune voleva dismettere gli uffici di via Pirelli-Melchiorre Gioia ( per costruire un fantomatico “Federal Building in cui concentrare tutti gli uffici comunali), la tipologia del Pirellino si poteva prestare molto alla biblioteca, qualificando la zona con una struttura culturale importante e a disposizione dei cittadini della Lombardia.
Niente cultura a Porta Nuova
Avevo avanzato anche l’idea della costruzione di un “museo” di arte moderna integrato con i corsi della Accademia di Brera, che si erano sviluppati dopo la sua fondazione, così che la parte storica dell’Accademia rimanesse nella sede di Brera. Accanto a questi progetti proponevo per l’area Messina-Procaccini-Nono-Coriolano di proprietà del Comune (16.000 mq, compresa la fabbrica del vapore) dei laboratori e corsi di arte contemporanea anche con la creazione di una foresteria per ospitare artisti italiani e stranieri per stage con gli studenti. Vedo che adesso, per fortuna, si pensa al campus Brera alla scalo Farini-Valtellina.
Quando poi venne avanti la proposta della Scala-bis alla Bicocca, ovvero che la Scala nel futuro avesse due palcoscenici (con i laboratori all’Ansaldo), parlai con i sindaci del tempo per proporgli due cose: visto che la Pirelli doveva metterci 27 miliardi per gli oneri di urbanizzazione, e gli altri costi erano a carico del Comune, tanto valeva che il nuovo teatro fosse nel centro della Lombardia, cioè a Garibaldi Varesine e che la costruzione prevedesse anche i laboratori, in modo da non avere il viaggio nel triangolo delle Bermuda (Ansaldo-Scala-Scalabis-Ansaldo) di scene e costumi, con relativi costi di trasporto. Alla Bicocca quindi la Pirelli doveva fare, a sue spese, quanto previsto nel piano, che avevo preteso fosse deliberato in Giunta prima di ogni approvazione del piano particolareggiato: ovvero, il collegamento tra linea 1 e linea 3 della metropolitana, un parco nell’area sud della Bicocca e il centro civico ( questo era l’onere di 27 miliardi, di cui scrivevo prima). Come noto, poi la Scala non si prese il secondo palcoscenico e nessuno ha mai ufficializzato il costo degli Arcimboldi per le casse comunali: qualcuno sostiene che il Comune ha speso 110 milioni di euro, a cui si aggiungono i costi per il rifacimento del Teatro alla Scala.
Il Pirellino
Nell’area di Porta Garibaldi-Varesine nel 1966 venne costruito l’edificio, denominato poi “Pirellino”, la “torre del Comune”, progettato da Renato Bazzoni, Luigi Fratino, Vittorio Gandolfi, e Aldo Putelli. Alto 90 metri con 25 piani, e la presenza di un corpo basso che caratterizza l’edificio, a scavalco, a ponte a doppia arcata su via Melchiorre Gioia, il Pirellino, secondo me, ha ancora un valore estetico ed è un patrimonio culturale, che dovrebbe essere tutelato e valorizzato in quanto edificio che da quasi cinquant’anni ha costituito un tratto caratteristico della zona. Con la sua superficie di oltre ventisette mila metri quadrati, e con un parcheggio di quasi venticinque mila metri quadrati per oltre settecento posti auto 727, il complesso ospitava quasi mille impiegati del Comune di Milano.
Nel febbraio 2015 i dipendenti comunali del Pirellino si sono trasferiti in via Bernina, in un edificio in affitto a 3 milioni all’anno, il che ha comportato una spesa corrente totale, ad oggi, di circa 18 milioni. Il trasferimento coincideva con l’inizio dei lavori di bonifica dall’amianto presente nell’edificio e della rimozione dell’impiantistica, lavori costati oltre 5 milioni al Comune (su base di appalto di 9 milioni) e che erano ancora in corso nel 2019 quando il complesso è stato messo all’asta con base d’asta 87 milioni. “Comunicato del Comune di Milano: Milano, 20 luglio 2019 – Sono in via di conclusione le operazioni di bonifica da amianto nell’edificio di via Pirelli 39”.
Si consideri che il Comune aveva deciso di ristrutturare il Pirellino, con un costo di 45 milioni di euro, per otto anni di lavori. E il Comune nell’aprile 2013 decise di indire un bando per la permuta dello storico grattacielo comunale. L’unica proposta ricevuta era della Hines (comunque sempre guidata da Manfredi Catella della Coima) che, a fronte di volumetrie sul parcheggio comunale, si caricava la ristrutturazione e forniva una sede gratuita provvisoria per gli uffici. Proposta allora scartata (e io continuo a non capire perché) e così nel febbraio 2014 la giunta delibera la ristrutturazione con un costo di 60 milioni e lancia un bando per affittare gli uffici dove traslocare i dipendenti : questo bando viene vinto da Bnp Paribas Real Estate che affitta 13.500 mq in via Bernina 12, con un contratto di tre anni prorogabili a sei.
Ma con la nuova Giunta Sala, si cambia e si pensa alla vendita del Pirellino, cosa che avviene nel marzo 2019 con un’ asta: la Coima si aggiudica il Pirellino con una somma di 191,618 milioni di euro. Dichiara il Sindaco di Milano Giuseppe Sala “metà saranno utilizzate per nuove opere a servizio degli altri quartieri della città e il resto andrà a finanziare il progetto per i nuovi uffici del Comune di Milano. Infatti il 4 aprile si conclude la manifestazione di interesse relativa alle proposte per la nuova sede degli uffici che erano nel Pirellino e attualmente sono in affitto in via Bernina. La nostra volontà è di portare questi uffici in altri quartieri, contribuendo così al loro rilancio. La prospettiva finale, come contenuto nel PGT, è di realizzare un distretto dedicato agli uffici comunali in zona Cenisio”. Sembrerebbero scelte meditate, ma non è così, perchè del “Federal building” oggi non vi è traccia e il costo dell’acquisto dei nuovi uffici (110 milioni) non è pari alla metà dell’incasso dell’asta, e per di più il Comune ha già speso oltre 18 milioni di affitti. Adesso, fra l’altro, pare che l’affitto di via Bernina sia destinato a raddoppiare e quindi si è fatta urgente la sistemazione degli uffici comunali.
Uffici comunali e lavoro a distanza
Ma sorgono alcune domande: Si è fatto un piano di “smart working” per capire quanti uffici sono necessari nel prossimo futuro? Perché con la pandemia molti dipendenti pubblici sono stati confinati a casa, dicono in “smart working” che peraltro è cosa molto diversa dal semplice trasferimento del lavoro d’ufficio a casa. Detto in estrema sintesi, il lavoro a distanza richiede una nuova organizzazione della macchina comunale, basata su obiettivi e progetti da realizzare, con verifiche sui risultati. e vale solo per alcuni tipi di lavoro e per certi uffici. Si è provveduto a pensare alla nuova macchina comunale, dopo la pandemia? Che fine ha fatto lo slogan “nulla sarà come prima” ?
Inoltre, la distribuzione degli uffici in più sedi, se non è pensata benissimo, anche in senso di informatizzazione, e quindi come risposta a reali esigenze, può significare disagi per i dipendenti e per i cittadini che dovranno correre da un ufficio all’altro.
Se invece è solo una operazione immobiliare per vendere il patrimonio comunale o mettere in affitto parti degli edifici pubblici in centro, senza aver calcolato i benefici per i cittadini della diffusione nel territorio degli uffici comunali, ben difficilmente si realizza la “città in quindici minuti”, altro slogan buono per chi non deve andare a lavorare.
Fra l’altro il 19 gennaio 2020 è stato emanato un Dpcm per dare attuazione ad una norma del 2019 che, come era stato fatto per Roma, consente ai Comuni e alle Province di richiedere allo Stato di accollarsi i propri debiti, quindi, se non erro, il Comune di Milano non avrebbe una urgenza drammatica a fare cassa.
La cosa di cui avrebbe bisogno il Comune è di avere una idea della città presente e futura. Che non credo sia nelle piste ciclabili o nei “boschi verticali” o nelle “torri botaniche” o nei “ponti verdi”. Ma soprattutto non è nelle operazioni immobiliari dei fondi del Qatar o di altri fondi internazionali, celebrati come salvatori della città.
In questi giorni, è all’attenzione di tutti l’attività dell’Ema: vi ricordate che Milano si era candidata ad ospitare la sede dell’Agenzia europea del farmaco? È colpa solo dell’Europa, malvagia e succube dell’ordalia del sorteggio, se non abbiamo ottenuto nel 2017 la sede dell’Agenzia europea del farmaco ? Però nel 2019 abbiamo ottenuto le Olimpiadi invernali del 2026 insieme a Cortina d’Ampezzo.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
2. continua
Ricordo solo che la Storia del nostro Comune è quella di essere proprietario di varie aree. La proprietà comunale permette la gestione urbanista del territorio avendo come primo obiettivo l’interesse pubblico.
Milano negli ultimi 30 anni ha dilapidato valori immobiliari senza avere risultati apprezzabili. Il primo disastro é stato Citylife. L’area storicamente demaniale, ceduta in via provvisoria e con mille vincoli futuri alla Fiera, é diventata misteriosamente proprietà di una Fondazione, che l’ha messa sul mercato con un falso concorso pubblico, senza nessun vantaggio per il Comune. É stata in quel luogo costruita la più intensa cubatura della città. vendendo ai cittadini la menzogna che si sarebbe realizzato un Parco. Ricordo il nome del Sindaco: Albertini. Ricordo il nome dell’Assessore Masseroli, che chissà perché é pure ingegnere. Una operazione orrenda sotto il nome di CL. A che pro? Nessuno: gli imprenditori (Ligresti) sono falliti. La qualità edilizia delle archistar é patetica. L’eredità finanziaria é nelle mani di Generali. L’urbanistica della zona é distrutta per sempre.
L’area Galibaldi Varesine sarebbe uguale: l’impresa immobiliare é stata fallimentare, ma Manfredi Catella come Babbo Natale ha portato il fondo sovrano del Quatar cui non frega nulla se il Bosco verticale si vende o non si vende.
Io sono liberale, ma trovo questa una economia di rapina e accuso i nostri amministratori di ignobile complicità e di essere dei dilapidatori dei beni pubblici.
Lo stesso approccio mercantile e privo di visione strategica sta avvenendo con gli scali ferroviari.
Questa idea che il bene demaniale diventi privato perché le Ferrovie di sono trasformate (giustamente) in SPA é vergognosa
Ho visto queste cose con i miei occhi son da quando ero bambina, a Milano.
Abitavo alla cascina Selvanesco, dove i miei nonni avevano vissuto e lavorato una vita. Quando arrivò Ligresti e con speculazione edilizia ci sbattè tutti in mezzo ad una strada. Eravamo tutte famiglie paganti e regolari. Era la fine dei ‘70 inizi ‘80, non ci furono tutele per i cittadini.
È una cosa che mi ha segnata a vita.