Prendo spunto dalle parole dell’amico Luigi Corbani, che ricorda la sua iniziativa, insieme a Franco Castellazzi, di proposta di legge regionale per la riforma della Costituzione, presentata in Consiglio Regionale della Lombardia nell’ormai lontano 1993. In quella legislatura sedevo anch’io sugli scranni dell’assemblea regionale al Pirellone, e non posso fare a meno di ripensare – certamente con piacere, financo con un pizzico di presunzione, ma anche con una buona dose di amaro rammarico, visto quello che poi è successo (o non è successo) fino ad oggi in Lombardia, come nel resto del Belpaese – all’atmosfera di sfida decisiva, proattiva e benefica, che sottendeva alla scommessa politica e sociale – dalle proporzioni storiche – che si chiamava “Autonomia”.
Nel marzo del ’93 – quando quella proposta di legge venne depositata ufficialmente – sia Corbani che Castellazzi erano già usciti rispettivamente dal PCI e dalla Lega Lombarda (nel frattempo diventata improvvidamente Lega Nord, per volere di Umberto Bossi), di cui erano capigruppo. Ma già agli esordi di quella legislatura che, sfortunatamente per il destino della Lombardia in primis e, necessariamente, dell’Italia intera, viene ricordata per la vicenda di “mani pulite”, il fertile seme dell’Autonomia dimostrava di essere potente e fruttifero, almeno nelle premesse.
All’insediamento del Consiglio regionale nel 1990, PCI e Lega – che contavano ciascuno 15 consiglieri, con il “Carroccio” che proprio alle regionali di marzo aveva prepotentemente sfondato alle urne, arrivando a sfiorare il 20% dei voti – si erano ritrovati all’opposizione, con il governo regionale in mano a una giunta “tradizionale”, targata Democrazia Cristiana, insieme agli alleati di sempre, PSI in testa, e Giuseppe Giovenzana presidente.
Bene, non si fa quasi in tempo a far partire i lavori istituzionali, che il fermento attorno al tema politico fondamentale, per tutti, nessuno escluso – l’autonomia appunto – trova una prima, immediata, significativa affermazione. E’ luglio pieno. Il caldo picchia duro. Al Pirellone, sede del Consiglio regionale, dopo un incontro con Corbani in una saletta ai lati dell’aula, durante i lavori dell’assemblea, Castellazzi mi fa segno di seguirlo nel foyer. Ci sediamo in un salottino, davanti al bar. Mi dice seduta stante, senza troppo preamboli, di stendere un documento – o, piuttosto, una sorta di manifesto politico di dichiarata matrice autonomista – a nome della Lega Lombarda, insieme alla collega Marilena Adamo del PCI, a sua volta incaricata dello stesso compito da Corbani. Io – giovane consigliere neoeletto, senza alcuna precedente esperienza politico-istituzionale, a differenza di Marilena Adamo, ex consigliere comunale di Milano – non ho neanche il tempo di rendermi conto di quello che stava per succedermi (del resto, non avevo scelta) che mi trovo seduto a fianco della collega per fare una cosa che mi sembrava troppo grande per me. Ma i motori erano accesi, ormai ero al volante della vettura, e dovevo lanciarmi in pista… Castellazzi mi aveva detto: “Stai attento, perché quelli del PCI non sono mica scemi…Tu vai per la tua strada e vedrai che non ti fregano”. Castellazzi aveva ragione. Perché sapeva che il PCI – quello lombardo certamente – aveva una sua propria, spiccata, solida tradizione autonomista, lontana dalla visione centralista e romano-centrica della direzione nazionale del partito. Così io – trentenne legnanese imbevuto di slogan e di passione – mi trovavo a “competere” con dei professionisti della politica.
Arriva il momento di partire, di innestare la prima e correre via. Tiro fuori il mio foglietto con quattro appunti, improvvisati prima di sedermi al tavolo di lavoro, per scoprire che, ogni volta che metto sul tavolo un carico pesante, Marilena Adamo rilancia senza fare un plissé, col sorriso sulle labbra. E via così fino alla fine. Ne uscì un documento apprezzabile, su cui si discusse ampiamente, anche sulla stampa; direi anzi un buon modello di riferimento, che potrebbe essere tranquillamente riscritto e riproposto domani mattina. Se ci fossero le condizioni. Invece il tempo sembra essere passato invano, e quelle esperienze, ormai trentennali, pare non abbiano insegnato nulla. Un vero peccato.
Massimo Colombo