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La città della rendita immobiliare: un passato senza futuro

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La cultura del lavoro, che fu anche il motto (“labor omnia vincit”) della prima grande “Esposizione nazionale” del 1881,  ha sempre accompagnato la vita di Milano e anche quando la de-industrializzazione colpiva insieme alla crisi energetica e all’inflazione, la preoccupazione era quella di tenere insieme le due fondamentali preziose virtù milanesi: il lavoro, manuale o intellettuale e la cultura, la creazione artistica.

Fu per questo, per esempio, che il Comune comprò l’Ansaldo: invece di una operazione immobiliare, si voleva creare un centro della innovazione, della creatività artistica e culturale e insieme riconnettere urbanisticamente due parti di città separate dalla ferrovia, con la destinazione della stazione di Porta Genova a “Museo della Ferrovia”, e con la piena valorizzazione della stazione di San Cristoforo, come anche anello di congiunzione della circolarità ferroviaria di Milano.

Nel passato, il Comune ha cercato di svolgere una funzione di promozione del lavoro, cercando di piegare la rendita fondiaria e immobiliare alle esigenze del rilancio produttivo e terziario di Milano. In questo è stato decisivo il rapporto con l’hinterland, che attraverso strumenti volontari come il Cimep (Consorzio Intercomunale Milanese Edilizia Popolare) e il Pim (Piano Intercomunale Milanese) ha consentito di destinare aree alla edilizia economica e popolare, ai servizi, alle attività produttive, al terziario, al verde. Basti pensare che gli ultimi grandi parchi sono degli anni 70-80: dal Parco della Martesana al Parco Nord al Parco delle Cave.  Oggi imperanti i fondi finanziari e immobiliari, siamo ai giardini e ai giardinetti: sarà mica un parco la” biblioteca degli alberi”, 9 ettari su 55 ettari di edificato?

Di fatto, la città in questi ultimi trent’anni ha modificato la sua natura, è diventata la città della rendita immobiliare, obiettivo dei fondi sovrani, dei fondi bancari e assicurativi e della finanza predona.

Siamo passati dall’urbanistica contrattata, all’urbanistica appaltata, in cui persino le piazze vengono cedute ai privati.

E la cosa triste è che il Sindaco è felice che i fondi immobiliari sbarchino a Milano, portando con sé non una logica di produzione,  di lavoro o di ricchezza, ma di appropriazione della città per far rendere i capitali investiti negli immobili, indipendentemente dall’uso, dalla destinazione e dal mercato interno e locale.

Che importa se ancora molti appartamenti di lusso sono invenduti o sfitti? se gli uffici sono semivuoti, per lo smart working? se i centri commerciali, come negli Stati Uniti, stanno subendo arretramenti e dismissioni, per le vendite on line e le consegne a domicilio? Quello che conta è che sia possibile vendere la proprietà immobiliare ad altri fondi, che, vista l’abbondanza mondiale di liquidità, sono sempre in cerca di cose da comprare o vendere. Perché, come dice un vecchio principio, i soldi non devono mai stare fermi.

I fondi immobiliari e finanziari prosperano a Milano perché essi pagano meno oneri di urbanizzazione che in altre città europee. E per di più non mi risulta che in questi anni sia mai stata applicata – non dico la 167 (legge tuttora vigente) –  ma anche la norma di legge per cui gli oneri di urbanizzazione sono determinati anche in relazione “alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso. Tal maggiore valore calcolato dalla amministrazione comunale viene suddivisa in misura non inferiore al 50 per cento tra il Comune e la parte privata.” 

Pensate come sarebbe ricco il Comune di Milano se avesse applicato, come uno degli aspetti della negoziazione tra pubblica amministrazione e privati, questo criterio di calcolo degli oneri di urbanizzazione “ordinari”, rapportati a quanto generato da un intervento di trasformazione edilizia

E questo in trent’anni avrebbe permesso di organizzare una città “delle donne”, per favorire l’occupazione femminile, con la ripresa dei consultori, lo sviluppo quantitativo e qualitativo degli asili nido e delle scuole per l’infanzia, dell’assistenza socio- sanitaria e culturale diffusa nel territorio per gli anziani, con l’organizzazione della sicurezza nel territorio metropolitano. Non dobbiamo mai dimenticare che bambini, anziani e sicurezza finiscono per pesare, oggi, sulle donne.

Del resto, anche la pandemia avrebbe dovuto spingere a una rapida organizzazione di “centri poliambulatoriali, o case della salute” nel tessuto cittadino e metropolitano, così come una diversa organizzazione dei tempi della città consentirebbe un uso razionale e positivo della città, dei suoi servizi e del tempo individuale, che è un bene assoluto: la perdita di tempo è una sottrazione di vita all’individuo, e non rimborsabile da nessuno. Puoi rimborsare le bollette del gas e dell’elettricità, della tari, della tara, della tarsu, della tasi, (pensate che confusione di imposte!) ma non rimborsi il tempo che perdi al telefono per metterti in contatto con gli uffici o con i vigili urbani per le emergenze. E pensate ai tempi e ai costi conseguenti per avere l’autorizzazione per l’installazione di ponteggi e cesate.

Chi in questi anni l’ha fatta da padrone sono i fondi immobiliari o gli immobiliaristi: se si guarda a chi sono stati dati dei premi volumetrici per il recupero di edifici abbandonati non vedete singoli cittadini: la stragrande maggioranza sono società immobiliari che hanno avuto un grazioso dono del Comune.

E questo potrebbe andare bene se ci fosse un disegno complessivo del futuro della città: per i giovani, per l’occupazione, per la riqualificazione e bonifica dei quartieri popolari. No, invece si va avanti a residenze di lusso, centri commerciali, uffici: con quale senso? Per esempio, si è pensato alla Fiera in termini di allargamento degli spazi in un momento in cui gli espositori già riducevano i costi per le superficie fieristiche – quante sono le fiere che occupano tutti gli spazi di Rho Pero? – invece di pensare a una sua ridefinizione come centro mondiale di promozione e documentazione delle tecnologie di prodotto e di produzione, dei marchi, dei loghi, dei brevetti, per cui ci starebbe bene a Milano il “tribunale per il brevetto unitario europeo”.

Ciò avrebbe dato un rilievo diverso alla nostra Fiera e consentito di razionalizzare la struttura fieristica, dove vi era già stato un intervento importante di allargamento sul Portello. Ma quello che è prevalso non è stato l’aspetto fieristico futuro, ma la creazione di una gigantesca operazione immobiliare (uffici, centro commerciale, edilizia di lusso) con una pennellata di cultura (il museo d’arte contemporanea) subito cancellato.

Così d’altra parte con l’alienazione dei terreni comunali e con il maxi progetto nella zona di Porta Nuova, si è solo incrementata la rendita immobiliare, a danno del Comune che aveva investito migliaia di miliardi per realizzare con il trasporto pubblico una zona al centro della Lombardia. Oggi anche dopo la cessione del Pirellino, il fondo del Qatar e il suo socio sono i padroni di una parte centrale della città, valorizzata nei decenni dagli investimenti pubblici.

La vendita delle proprietà comunali o delle società comunali non è neanche fatta in una ottica di investimento sulla città;  lo stesso acquisto di immobili in periferia non segue un disegno di organizzazione del lavoro per progetti e obiettivi, con lo smart-working o con la realizzazione di co-working per un lavoro decentrato, dentro e fuori dei confini comunali, che consenta anche una riorganizzazione del lavoro, pubblico e privato, decongestionando traffico e mezzi di trasporto pubblico e migliorando la qualità della vita dei dipendenti e degli utenti. La stessa vendita della sede storica dell’AEM di Corso di Porta Vittoria è fatta in una logica di pura attività immobiliare (costruire un mostro di 144 metri a Porta Romana, come uffici della A2A).

Adesso si parla di trasferire le facoltà scientifiche della Statale nell’area Expo che dopo sette anni non è ancora utilizzata appieno. Trasferimento che insieme alla collocazione del Besta e dell’Istituto dei Tumori risponde solo alla logica immobiliare, poiché nessuno ha ancora detto cosa succederà alle aree di Città Studi. Intanto si fa un favore alla società “Milano Sesto” sulle aree ex Falck, non in una logica di ampliamento dei servizi sanitari e della ricerca.

E pensare che con la liberazione delle aree di veterinaria e agraria, oltre che delle facoltà scientifiche, si potrebbe realizzare non solo l’ammodernamento e lo sviluppo del Besta ma un centro mondiale, con il Politecnico, per le ricerche e per la formazione di ingegneria biomedica e di biotecnologia.

Pur nel rispetto delle autonomie degli istituti universitari e post universitari, si dovrebbe puntare su un disegno coordinato e integrato di una “industria” della formazione e della conoscenza che in modo mirato proponga all’Africa, al Sud America, all’Asia, Milano come polo di formazione delle nuove classi dirigenti, con servizi pubblici e culturali integrati per gli studenti. In questo   Milano e la sua area metropolitana possono assumere un ruolo per il futuro.

Qualcosa avrebbe dovuto insegnare al Sindaco e al Presidente della Regione la mancata assegnazione a Milano della “Agenzia europea per i medicinali” che per ironia della sorte è finita in via Domenico Scarlatti (ad Amsterdam). A Milano non c’è una agenzia europea (su 46 agenzie e 12 servizi europei esistenti) non per colpa del destino cinico e baro.

Da anni Milano punta solo sui fondi immobiliari e si creano continuamente motivi per favorire la rendita, con il rischio di creare anche una bolla speculativa disastrosa per Milano.

Vendere il patrimonio pubblico o addirittura cedere alle proposte di demolire i simboli di Milano non appartiene a una politica che guarda al futuro, ma piuttosto a una logica vecchia, di un rapporto pubblico-privato di subalternità alle mire speculative. Ne è un esempio San Siro; invece di spingere ad una soluzione veramente europea – in cui ciascuna squadra ha il suo stadio in proprietà o in concessione – si accetta una soluzione di pura speculazione immobiliare su terreni pubblici con la demolizione di un bene pubblico e con uno stadio “anonimo” nella forma e nella sostanza, senza copertura, spacciato per nuovo.

In altri paesi, squadre e società investono, rischiano, fanno mutui; qui si munge la tetta pubblica, dimostrando di avere la vecchia logica predatoria. Il fatto grave non sta nei privati, in questo caso americani e cinesi, che hanno capito come tira il vento in Italia, sta nell’amministrazione pubblica che subisce ed è felice di subire. Sta nelle forze “politiche” (si fa per dire) che non hanno più una visione del futuro di Milano e che pensano che qualsiasi modernismo o nuovismo siano la stessa cosa di una politica moderna e innovativa saldamente ancorata alle tradizioni di Milano.

Lo stadio Meazza è il simbolo di Milano non solo per la sua forma conosciuta in tutto il mondo ma è l’espressione della natura di Milano che sa integrare il presente con il passato e guardare al futuro: il primo anello integrato nel secondo anello, e tutti e due integrati nel terzo anello. In fondo basterebbe coprire lo stadio per dargli anche una funzione nuova all’altezza dei tempi.

Invece di concedere edilizia residenziale, con una determinazione dirigenziale, sull’ex-ippodromo del trotto, si poteva (il Consiglio Comunale) avere una visione allagata da Lampugnano alla Piazza d’armi per fare di quella parte di Milano un grande polo sportivo (con lo stadio, un palazzo dello sport e gli ippodromi, ecc.)  e di verde, congiungendo i parchi esistenti e creando un grande parco botanico con una grande scuola botanica (professionale e amatoriale) nella Caserma Santa Barbara di piazzale Perrucchetti. In un piano di grande area, sarebbe stato augurabile anche costruire edilizia residenziale economica e popolare per avviare una rotazione abitativa e ristrutturare il vecchio degradato quartiere San Siro.

Ma ci vorrebbe qualcuno al timone che sappia disegnare una città europea e internazionale, e non sia subalterno a fondi immobiliari, finanziari, assicurativi e bancari. Con buona pace del “verde europeo” che appare in realtà più come un immobiliarista che come un ecologista.

“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi.” “Buona notte, e buona fortuna.”

Luigi Corbani

(pubblicato su ArcipelagoMilano , 8 marzo 2022)

2 thoughts on “La città della rendita immobiliare: un passato senza futuro”

  1. Costantino ha detto:
    Marzo 9, 2022 alle 2:54 pm

    Bravo Luigi, è sempre interessantissimo quello che scrivi
    Grazie

    Rispondi
  2. andrea bianchi ha detto:
    Marzo 17, 2022 alle 4:23 pm

    Grazie Luigi per queste “fotografie” del Nulla in cui naviga Milano grazie ai due suoi recenti nocchieri. Etica e Ottica dovrebbero sempre procedere insieme, ma quando al timone c’è chi non possiede nè valori nè vision, la Nave è destinata ad andare a sbattere sugli scogli e chi ne farà le spese sarà l’equipaggio cioè noi cittadini, semplici marinaretti

    Rispondi

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