Sono da sempre convinto che bisogna combattere fermamente la corruzione e che l’onestà non sia una bandiera da esibire, ma un concreto comportamento non solo del politico o dell’amministratore, ma del cittadino. E sotto questo profilo ho l’impressione che ci sia molta strada da fare tra i nostri compatrioti: l’evasione fiscale è un atto disonesto da riprovare o è un atto di furbizia da ammirare?
Far credere che con le inchieste, tipo “Tangentopoli” o altre, si sconfigga definitivamente la corruzione è un inganno, un grande imbroglio. Solo degli imbroglioni possono seminare questa fandonia, come quelli che annunciano l’abolizione della povertà.
Da 25 anni poi, si confondono le inchieste con le sentenze. Anzi, il primo grado di giudizio non lo emette, con una decisione di condanna o di assoluzione, un tribunale con magistrati giudicanti: nossignori, da anni a questa parte, la prima sentenza, e inevitabilmente di condanna, senza scampo, viene emessa dai giornali d’intesa con i pubblici ministeri, che riferiscono a mezzo stampa delle loro indagini e delle loro incriminazioni.
“La vera separazione delle carriere che la politica dovrebbe fare è quella tra giornalisti e magistrati inquirenti”. In una intervista al “Foglio” qualche anno, Frank Cimini, cronista del “Mattino”, raccontava quello che tutti sapevano ma non volevano dire. “Anni dopo ci sarà chi scriverà di un patto tra magistrati e giornalisti. – scriveva il Foglio – Informazioni selezionate e distribuite accuratamente alla stampa, telefonate tra i vertici dei principali quotidiani per decidere la linea, articoli che colpivano con precisione chirurgica”. “In realtà – spiegava al Foglio – questo meccanismo che lega inquirenti e mezzi di informazione c’è sempre stato. Soprattutto nella fase delle indagini preliminari in cui il Pubblico Ministero è il signore assoluto. Durante Tangentopoli ci fu uno scambio. Gli editori dei ‘giornaloni’ si schierarono e ottennero l’impunità. Fu un “do ut des”. “Vedendo che la politica era debole, decisero di scardinarla. Così diventarono un potere che nessuno è più riuscito ad arginare”.
In questi giorni abbiamo assistito ad un’altra innovazione che ci mancava: il “preavviso di garanzia” a mezzo stampa. In questa fattispecie nuova è incappato il Presidente della Regione Lombardia, che è stato messo dentro la “nuova tangentopoli” come dicono i giornali. Se fossimo un Paese serio, con forze politiche democratiche, capaci di fare politica e di non essere usate o di usare la magistratura per la lotta politica, non si sarebbe neanche parlato del reato ascritto ad Attilio Fontana; “abuso d’ufficio”. Un tipo di reato con cui si può indagare qualsiasi amministratore. Da quando un amministratore non può nominare una persona di sua fiducia, che naturalmente abbia i requisiti di legge, in un ente ? Fontana deve nominare nel “Nucleo di Valutazione e verifica degli investimenti pubblici” una persona come “Esperto in ambito giuridico, con particolare riferimento alla legislazione territoriale, urbanistica, ambientale, edilizia ed ai contratti pubblici”. Il suo ex socio di studio risponde a questa competenza ? Sì, e allora ? Ma chissà quanto sarà il suo emolumento ? Recita la delibera “che il compenso previsto è fissato in € 11.500,00 all’anno, oltre ad un compenso pari a € 185,00, a seduta, a titolo di gettone di presenza. I compensi devono intendersi al lordo degli oneri previdenziali e delle ritenute fiscali e al netto dell’IVA quando dovuta”. Un cifra pazzesca, da far venire il capogiro!
Abbiamo avuto venti giorni di sceneggiata tra Lega- 5S -Siri. E la Lega s’è scoperta garantista: meglio adesso di quando agitava in Parlamento e per strada i nodi scorsoi per impiccare i presunti corrotti. Sceneggiata, perché la Lega ha mollato su una questione di principio ( una inchiesta non è una sentenza) e perché le 5S dovevano sollevare il problema all’atto della formazione del governo: uno che ha patteggiato per bancarotta non può stare nel governo, a mio parere.
Dai giornali abbiamo saputo di indagini, ripeto di indagini, in Umbria, in Calabria, a Milano. Dal 20 marzo è in carcere il presidente grillino del consiglio comunale di Roma, Marcello De Vito.
In questi casi, come in altri, abbiamo visto pratiche quanto mai discutibili: i verbali di intercettazioni telefoniche, passati ai giornali (non certo dagli avvocati difensori degli imputati); conferenze stampa o interviste da parte di inquirenti che dovrebbero mantenere riserbo e discrezione sulle indagini e parlare solo attraverso atti giudiziari; la carcerazione preventiva come “mezzo di “tortura” per raccogliere dichiarazioni e prove, secondo un validissimo principio giuridico dello stato di diritto e di rispetto delle libertà individuali: “noi incarceriamo la gente per farla parlare e la scarceriamo dopo che ha parlato”.
Ma quando le forze politiche, di destra, di centro e di sinistra, impareranno che il rispetto dello stato di diritto e delle libertà fondamentali è un bene per la vita politica e il confronto democratico ?
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buona notte, e buona fortuna.”
Luigi Corbani
(Domenica 12 maggio 2019)