Il Piccolo Teatro dalla sua fondazione si è conquistato un ruolo e un prestigio internazionali. Da quando, alla fine di giugno, Sergio Escobar si è dimesso, sono pubbliche le tensioni e i contrasti all’interno del consiglio di amministrazione, prima sulle modalità di scelta dei candidati, poi sui nomi. Le pressioni romane per la scelta del successore di Escobar sono state tali da travolgere lo stesso consiglio, che non è riuscito a mettere al riparo il Piccolo da illazioni, spinte, indiscrezioni e trame politiche.
Non è proprio una bella immagine e una nobile vicenda quella che è stata messa in scena. Rimane il fatto che, a dispetto anche di chi pensa altro, il Piccolo è un patrimonio della città e della Lombardia ed è bene che la scelta tenga conto delle radici di questa istituzione: chi va al Piccolo deve conoscere la sua storia, ma anche la sua dimensione milanese e quindi europea.
E sarebbe ben strano se tutte e due le maggiori istituzioni teatrali milanesi (Scala e Piccolo) fossero dirette da non milanesi: non per una questione campanilistica, ma per la rivendicazione della presenza a Milano di persone con la qualità, la capacità e la cultura utili e valide per guidare queste istituzioni. Altrimenti dovremmo ammettere il decadimento del personale culturale e teatrale di Milano e che sulle competenze fanno premio le questioni “politiche” o le amicizie romane e le affinità non molto elettive. E chiunque venga interpellato dovrebbe sentirsi onorato e lusingato per l’accostamento del proprio nome a una tale prestigiosa istituzione. Per questo mi appare un po’ triste quanto viene annunciato dai giornali: “E per uscire dall’impasse, il consiglio di amministrazione prova recuperare chi aveva già gentilmente rifiutato, Claudio Longhi.”
Ora, che il Piccolo vada a pregare, a supplicare una persona, per venire a dirigere questo teatro ha qualcosa in sé di inverosimile: capisco se fossimo in presenza di un Paolo Grassi redivivo, ma dalle notizie raccolte non mi pare che sia questa la situazione. Non conosco il suddetto Longhi, ma se ha rifiutato ”gentilmente” (ci mancherebbe altro che l’abbia fatto sgarbatamente), non mi pare il caso di insistere: lo trovo indecoroso per la storia e il prestigio di questa gloriosa istituzione. Altrettanto gentilmente è il caso di lasciarlo dove si trova, per il rispetto dovuto al Piccolo Teatro, non solo per il suo passato, ma per il suo presente e soprattutto per il suo futuro.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi”
“Buona notte, e Buona fortuna”
Luigi Corbani
(sabato 12 settembre 2020)
P.S. Qualcuno sostiene che il nome di Rossana Purchia sia stato gettato nella gara per tirare la volata all’emiliano, targato pd, Claudio Longhi. La controprova sta nella nomina di Purchia (il 10 settembre da parte del ferrarese Ministro Franceschini) a commissario straordinario del Regio di Torino e nel contempo la ripresa dei rapporti, dopo il diniego, con il suddetto Longhi, forzando l’esclusione di tutti gli altri candidati. Come noto, in politica le coincidenze non esistono.
Condivido la riflessione. E’ importante che le istituzioni territoriali convergano. Anche il Comune ha la sua storia e chi lo rappresenta ne tenga conto.
Stefano Rolando (professore universitario a Milano, già assistente di Paolo Grassi in Rai)
Sono molto molto d’accordo. Rivendichiamo milano che non deve stare a guardare. Anche nel recente passato Milano ha prestato i suoi migliori ad altri teatri. Perché non richiamarli?
Condivido questa riflessione e vome milanese sono molto amareggiata.
Franca Ferrari- operatrice culturale
Condivido l’analisi. È una situazione surreale che peraltro sembra uscita di scena dai giornali dopo l’attenzione ricevuta nel luglio scorso cui ha fatto unica eco la notizia del “recupero” di Claudio Longhi. E se si esclude questo articolo nessun dibattito nessun approfondimento sui maggiori quotidiani, come se non stessimo parlando del Piccolo!
È incredibile e persino inverosimile che una istituzione come il Piccolo Teatro debba sottostare a delle logiche che nulla hanno a che fare con le competenze e l’esperienza che un ruolo simile esige. E diciamolo è anche un affronto alla città che vede una partecipazione dal basso e una iniziativa culturale e civile di altissimo profilo, che spesso sostituisce le politiche culturali vere e proprie di cui c’ è un disperato bisogno. Si, è molto triste.