Alcune riflessioni sulla vicenda stadio Meazza in San Siro.
Quando ne abbiamo parlato con gli amici del “Gruppo XX Settembre”, non pensavo affatto che si scatenasse questa ondata di partecipazione. Ho aperto la pagina Facebook “SiMeazza” con timore, data la mia inesperienza del mezzo: oggi siamo ad oltre 47.000 persone raggiunte, quasi 8.000 interazioni e 635 followers. Tutti dati – mi dicono quelli che se intendono (non sono io) – molto significativi.
Questa vicenda mi fa riflettere su alcune questioni politiche e sociali.
Si è costituito dunque un comitato molto trasversale, sia politicamente che socialmente. E questo è un fatto “politico” nel senso pieno del termine, della polis, del civismo ambrosiano.
C’è voglia di partecipazione; c’è voglia di discutere, alle volte in maniera ossessiva sui social, cosa che a me risulta difficile da seguire. Vi è una bulimia messaggistica, su whatsapp, che, al di là del fastidio che provoca in molti, dimostra una volontà di comunicare, di dire, di prendere parte, di socializzare (appunto) in maniera compulsiva, infrenabile. Potrebbe sembrare un disturbo, e forse ci sono anche sintomi di protagonismo, velleità di emergere dall’anonimato, dal ristretto ambito in cui ciascuno di noi vive, anche in seguito al drammatico isolmento della pandemia, ma in generale e in realtà vi è una gran voglia di partecipare nella forma più agevole possibile.
E si riscontra anche la mancanza di abitudine al confronto preciso, circoscritto ad un tema. Così come l’assenza di luoghi, continuativi e diffusi, sezioni, circoli o centri culturali, in cui si possa discutere della città, dei suoi sviluppi, delle scelte amministrative e quindi politiche, di governo della area metropolitana. Avendo ridotto anche il Consiglio Comunale ad un ambiente sterile e svuotato di qualsiasi funzione significativa, di indirizzo, ma soprattutto di controllo, per colpa della legge, ma anche per una afasia e una inesistenza politica dei partiti e dei gruppi consigliari.
Con la partecipazione di quasi 150 persone ad una riunione di sabato mattina, c’è stata una cosa inaudita per molti partiti, che sono chiusi al sabato e alla domenica. Un successo di presenze impensabile, fino a ieri.
E con un dibattito intenso, vivace, pieno di suggestioni e di proposte, di carattere bipartisan, si direbbe oggi. Certo ci sono anche quelli che in assoluta buonafede vedono nella semplificazione del referendum lo strumento migliore per combattere la battaglia. Ed è bene far capire a tutti che in una città in cui vota un cittadino su due alle elezioni comunali, è difficile pensare che un referendum “abrogativo” sia la soluzione di una azione politica che richiede un lavoro intenso per allargare le adesioni al “comitato simeazza” e per avere il maggior consenso possibile di cittadini.
La verità è che il referendum abrogativo o consultivo può arrivare solo al termine di una “azione politica”, di una iniziativa politica, che divida l’attuale maggioranza, silenziosa e ubbidiente al sindaco, e crei le condizioni perché la posizione di salvaguardia di una icona di Milano conquisti consensi maggioritari.
Gli incontri con i gruppi consiliari (o i mancati incontri con quelli che più volte sollecitati, come i cosiddetti riformisti, non hanno risposto) mi hanno dato la netta idea che politica ed elezioni sono due cose completamente diverse. I partiti e le liste sono veicoli per essere eletti, punto. Sono strumenti per carriere e per ambizioni. Non sono strumenti di partecipazione e di formazione della politica cittadina (con risvolti nazionali non da poco). La politica sta fuori dalla porta di Palazzo Marino: nessuno che abbia la voglia di dare dignità al Consiglio Comunale. La maggioranza per non disturbare il sindaco e nascondere le sue tensioni interne. L’opposizione che non ha capito che la sua funzione è quella di incalzare, sul piano del metodo democratico e del merito, la maggioranza e di dividerla se possibile.
Si accetta, con un furbesco sotterfugio, nella maggioranza, che il tema di San Siro non compaia neanche nel programma elettorale del Sindaco. Sia mai che venga meno la panzana del sindaco ecologista, ambientalista ! E allora i verdi se ne stanno buoni in maggioranza, andando a prendere il caffè durante le riunioni della giunta o inventando uscite di “movimento” pur di non votare in Consiglio comunale contro il sindaco e uscire dalla maggioranza. Così vale anche per i riformisti, pronti a partecipare ai movimenti, a fare proposte sui giornali, ma non ad affrontare il sindaco sul metodo e sul merito e trarne le dovute conseguenze politiche.
Si gioca a nascondino, si cerca di fare i furbi per non pagare dazio. Certo, in politica serve l’arte della volpe e del leone, ma attenti che, da sempre, le pelliccerie avevano più pelli di volpe che d’asino. Se si riduce tutto a piccole furbizie. si umilia la politica e le istituzioni. E qui c’è un punto rilevante.
L’elezione diretta e il secondo mandato non più rinnovabile del sindaco mettono in rilievo la debolezza delle persone, che si fanno prendere la mano dal potere. Perché i controlli sono necessari? Per evitare che il sistema abbia delle derive autocratiche, cesariste: e qui sta il difetto della legge, che accentua questa deriva allorquando consente al Sindaco di nominare, designare, senza alcun controllo politico o amministrativo, gli assessori e quindi di formare una giunta di suoi impiegati o dipendenti a cui si impone la consegna del silenzio. Si accentua tale situazione quando poi un funzionario preposto alla partita, che ha avuto tutti i poteri della legge per le carte di sua competenza, diventa poi assessore alla medesima partita: il senso della opportunità scompare.
Si conferma inoltre che non basta essere un buon manager o un buon imprenditore per essere un politico o un amministratore della cosa pubblica. Infatti in questi giorni ho sentito affermazioni tipo “i milanesi mi hanno eletto per decidere”, che potrebbe stare bene in bocca all’amministratore unico di una società per azioni (dove peraltro c’è una quota di indipendenti). In realtà si elegge il sindaco, non il podestà, anche se la legge può far credere che sia possibile questa deriva cesarista, autocratica. Scatta nelle persone deboli o impreparate politicamente un deliro da “comando io”.
E le forze politiche che dovrebbero avere un orizzonte temporale più lungo del mandato del Sindaco ( per intenderci, il PD ha sulla carta la prospettiva di ripresentarsi alle prossime elezioni amministrative, e anche politiche, il Sindaco attuale no) si piegano agli ordini del Sindaco, senza un minimo di autonomia, di indipendenza, di dignità.
La dignità e l’orgoglio non sono frutto delle leggi elettorali: orgoglio e dignità si conquistano nell’azione politica, nel ruolo che concretamente si svolge.
Perché qui non è in ballo la persona del Sindaco, ma la dignità della politica, delle istituzioni, del Consiglio Comunale, e in definitiva di Milano. Chi comanda? Il Sindaco d’intesa con le società e le immobiliari? O il Comune con una visione che va al di là dei cinque anni di mandato del Sindaco? Sì, perché alcune decisioni prese dall’uomo solo al comando, sottoscritte da una giunta di suoi impiegati, vanno ad incidere sulla realtà cittadina ben oltre la durata del suo mandato. La vicenda di SanSiro avrà ricadute ben oltre il 2026, data delle Olimpiadi e della scadenza del mandato dell’attuale Sindaco. Certo la cosa vale anche per altre vicende ed ecco perché un sistema democratico sano ha dei contrappesi di verifica e di controllo nell’organismo di rappresentanza di tutti i cittadini, che, se la legge non te li dà, non vieta che si conquistino con l’iniziativa politica.
Una volta si diceva che non si governa con il 50+1% dei voti, adesso con il 25% si dichiara, senza un minimo di senso del limite, che si comanda e si decide da solo, perché sono il Sindaco. Un Sindaco che dovrebbe discutere, confrontare le opinioni al fine di avere il massimo consenso della città e dei rappresentanti dei cittadini. Invece si lascia passare come un fatto normale che il Sindaco pro-tempore ” (con i consensi più bassi della storia di Milano dal 1946 ad oggi) possa dire, in modo sprezzante, “discutete pure, tanto decido io” o peggio “io ho già deciso”. Giustamente Pepito Sbazzeguti ci ha ricordato il Marchese de Sala “Io so’ io, e voi non siete un cazzo”.
Un amministratore, un Sindaco appunto, dovrebbe fare il Sindaco dei milanesi, non solo di quel venticinque per cento che l’ha votato: perché le sue scelte devono essere per il bene della città, e non per la sua affermazione personale.
Il Sindaco non è Creonte: “ Al poter mio/ altro confin che il voler mio non veggio. Tu il regnar non m’ìnsegni” (Vittorio Alfieri, Antigone)
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(domenica 28 novembre 2021)
Già è così e infatti non è più democrazia. Sembra anzi che sia il popolo a non volerla più.
Ovviamente infatti democrazia è partecipazione. Come sappiamo
Condivido completamente quanto scrivi. Purtroppo sembra di essere in una città dominata dal cemento e dal provinciale e banale mito del più alto. Dove ogni “parrocchia” vuole avere il suo “circo massimo”. Eppure un tempo i teatri milanesi staccavano in un anno più biglietti di Sansiro e il patrimonio museale del Comune era gratuito.
Mi rispecchio totalmente nei contenuti di questo articolo. La questione un po’ mi rattrista ma anche mi rafforza nella volontà di resistere e vincere questa terribile deriva nella quale stiamo.
Però che la voglia di partecipare salti fuori solo quando c’è di mezzo il calcio…
Concordo quasi su tutto. Però il punto non mi pare che sia “Sindaco dei milanesi” vs. “Sindaco di quel venticinque per cento che l’ha votato”: Chi l’ha votato, lo ha votato come sindaco, non per eleggere un autocrate autoreferenziale. Diventarlo, fa male allo stesso Sala.