La storia serve per conoscere il passato, non per comprendere il presente. Il percorso fatto di collegamenti storici espone al rischio di giungere a risultati apparentemente ineluttabili divaricati però dal presente reale. 1+3+4+6 fa 14. Bene. Ma il modello matematico non funziona per analizzare una somma o concatenazione meccanica di eventi storici già comunque (al contrario degli addendi) soggetti a riletture, interpretazioni e opinioni. Si rischia un’adesione circostanziale che poco ha a che vedere con la comprensione del presente. Il modello per la comprensione della situazione attuale deve lasciare spazio all’intuito, alla conoscenza degli esiti, al “cui prodest”, a ragionamenti svincolati dalla storia come lo sono gli atti dei pirati che della storia se ne fregano. Altrimenti la battaglia tra chi è legato alla storia e chi dalla storia è libero, sarebbe necessariamente, dai primi, persa. Un pò come parlare di etica a un immorale: è inutile. Molti desidererebbero che fosse la Storia a determinare il futuro, così sarebbe più facile capirlo, influenzarlo, forse anche gestirlo… ma non è così. Innanzitutto perché è sbagliato parlare di futuro: esso non esiste al di la’ di figurazioni retoriche.
Noi non possiamo determinare il futuro, ma possiamo determinare, e di fatto costruire con ogni istante, il passato. Il nostro passato indelebile, che non si può cambiare, di cui siamo pienamente responsabili perché fondato sull’insieme di norme atte alla applicazione della nostra moralità: l’etica. Possiamo e dobbiamo però parlare di “passato prossimo”. E sebbene il nostro prossimo passato costituirà la nostra Storia, non ne sarà il risultato. Nessuno, in quanto storico, ha mai controllato né forse potuto comprendere appieno il presente. Tantomeno il passato prossimo.
A noi non interessa il “futuro” perché è insondabile e di fatto l’ammetterlo ce ne distanzia fornendo un alibi alle nostre responsabilità. Quello che conta e’ la nostra visione del mondo che si avvera unicamente con azioni successive programmate che prima di essere realizzate sono passato prossimo, ma che appena avuto luogo si aggiungono al nostro passato creandone ancora. Oggi manca la Visione. Quindi manca il lavoro intellettuale in grado di programmare le azioni successive atte a realizzarla. Manca quindi il lavoro vero che porta a gestire il passato prossimo affinché diventi passato, realizzando la visione. E manca la guida, il visionario, il leader che immagini e conduca da una convergenza ad una direzione anticipando il passato, aprendoci alla Visione.
Noi “siamo” prima della nostra storia, sebbene la cosciente consapevolezza del nostro passato ad oggi, sia il presente. Conoscere la nostra storia ci aiuta a formare la nostra identità ma ci lega ad essa costringendoci a interpretazioni, azioni con essa “coerenti”. Ci priva della libertà necessaria per far fronte alle azioni di un nemico libero (da scrupoli, storia, morale, princìpi..) che non sappiamo affrontare perché non lo possiamo capire. Identità, princìpi, storia, appartenenza, cultura, per lungo tempo apparsi come nostra forza costituente, oggi possono rappresentare la nostra debolezza, la struttura della nostra gabbia: invece di ricercare un equilibrio utopico tra Storia e futuro dobbiamo enuclearne uno nuovo, libero, basato sulla “visione strategica del passato prossimo”.
Fabrizio Ferri
(lunedì 11 maggio 2020)