Un’altra ipocrisia: le procure non fanno politica. E allora perché tutta questa attenzione sulle nomine dei procuratori ? Solo per personalismi? Ed è la prima volta che si coinvolgono dei “politici” nelle nomine delle Procure più importanti ?
Dice giustamente l’avvocato Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali: “Quando leggendo i giornali, si parla di continuità o discontinuità nella Procura di Roma, si sta parlando di orientamenti politici della procura, di politica giudiziaria di un tipo o di un altro. E allora cosa c’entra l’obbligatorietà della azione penale? È solo sulla carta, perché in realtà dipende dalla volontà, dalla scelta e dalla decisione di una persona, da un dipendente dello Stato. Ecco perché si scatena attorno a questo potere immenso, straordinario, uno scontro correntizio e politico: sappiamo tutti che con una notizia di reato, facciamo cadere un governo, dimettere un ministro, bloccare l’attività di un’azienda.”
Le correnti nella Associazione Nazionale Magistrati ci sono sempre state: non sono queste il demone, esse rappresentano motivazioni e punti di vista, culturali e politici, diversi sul funzionamento della giustizia. “È la degenerazione del correntismo che conosciamo da molti lustri e non la scopriamo adesso”
Le nomine venivano e vengono fatte con il bilancino: se devono nominare la procura di Roma, aspettano che scada anche la procura di Torino, di Maccastorna, di Belsedere e le dividono in modo equo tra le correnti. Se si incontrano in albergo e di notte, o di giorno e in un ufficio, non fa differenza, sono accordi politici: è inutile stupirsi. Anzi, c’è da stupirsi e molto, perché 24 anni fa, il procuratore aggiunto di Milano (poi dal 2006 al 2013 senatore del Partito Democratico-L’Ulivo) definì sui giornali “la lottizzazione, anticamera di Tangentopoli”. E sulla base di questa motivazione, con il sostegno mediatico dei giornali, avviò una inchiesta sulla Giunta regionale della Lombardia accusata di “abuso d’ufficio a fini non patrimoniali” perché aveva “lottizzato” le “nomine alla carica di direttore generale delle USL in virtù di criteri di appartenenza politica in luogo di criteri di ottimali caratteristiche manageriali, con la finalità di promozione politica personale per ciascuno degli amministratori regionali anche in vista delle elezioni amministrative prossime”. Sic! Proprio così, una roba da manicomio: così dichiarai allora la “Corriere della Sera”.
Personalmente, mi rifiutai di parlarne con il Pubblico Ministero e chiesi di affrontare la questione solo in sede processuale: durante il dibattimento, sostenni che la definizione delle “ottimali caratteristiche manageriali” era di competenza non del pubblico ministero, ma del “politico” il quale delle sue scelte rispondeva agli elettori; che cercare di fare bene l’amministratore e ottenere il consenso elettorale non poteva essere considerato un reato, in un sistema democratico; che mi sarebbe piaciuto sapere come facevano i magistrati a mettersi d’accordo sulle nomine della Corte costituzionale, del CSM, delle Procure, dei Presidenti dei Tribunali e delle Corti di Appello, senza una intesa, o lottizzazione che dir si voglia, tra le correnti della ANM. Per inciso, la Giunta regionale è stata assolta in primo grado, in appello e in ultimo, dopo 7 anni dai fatti contestati, in Cassazione: la vicenda giudiziaria però è costata al contribuente italiano oltre un milione di euro.
Altra ipocrisia: la pretesa neutralità della amministrazione della giustizia che dovrebbe seguire solo dei criteri di merito, di carriera, di curriculum. Verrebbe da dire con Indro Montanelli che «Il bordello era l’unica istituzione italiana dove la competenza era premiata e il merito riconosciuto»
In realtà, fuori da ogni ipocrisia, “sono scelte politiche: avete mai sentito scontri in ordine alla designazione alla dirigenza di uffici giudicanti, Presidenze di Tribunali o Presidenze di Corti d’Appello? Lo scontro è sulle procure perché il potere giudiziario è lì, non è altrove. Sono gli inquirenti che dominano l’intera magistratura, pur rappresentando solo il 20% dei magistrati.”
Giustamente a mio parere, l’Unione delle camere Penali ha posto il problema: “Il feticcio della azione penale obbligatoria va chiarito, nel senso che essa permane ma le priorità devono essere decise dal Parlamento, dalla legge, da un organo politico, che risponde delle sue scelte al popolo sovrano, non da un funzionario o da funzionari dello Stato che non rispondono a nessuno.”
““La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi.” Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(giovedì 7 giugno 2019 )