Sento che molti si dichiarano scettici, pessimisti o ottimisti sul presente e sul futuro di questo governo. Penso che bisogna essere realisti: nelle condizioni date, è la soluzione migliore possibile. Certo, era preferibile che non fossero confermati, allo stesso incarico, ministri del precedente governo. E non vale solo per le 5S, ma anche per il PD: Franceschini addirittura vuole riformare la stessa squadra allo stesso ministero, come se le elezioni le avessero perse solo Renzi e Gentiloni. Un po’ di buon gusto e di modestia non sarebbe guastato. Così non è stato un gesto politicamente distensivo, sia verso Conte che verso l’alleato PD, la riunione dei ministri 5S alla Farnesina, con tanto di foto distribuita sui social. I partiti e i movimenti fanno le riunioni nelle loro sedi, non nelle sedi istituzionali: dare rilievo propagandistico a tali riunioni vuol dire non avere capito nulla della lezione del governo bicefalo o tricefalo precedente. Il governo è uno solo e il ministro non parla come rappresentante del suo partito, anche se ne è il capo politico, ma come Ministro della Repubblica Italiana. I ministri hanno una sede loro di confronto che è il Consiglio dei ministri, dove si forma la volontà collegiale e l’indirizzo unitario della azione di governo.
Zingaretti ha ragione: bisogna chiudere la stagione dell’odio e del rancore. Ma bisogna darsi anche comportamenti più adeguati ai ruoli istituzionali: basta coi selfie, ma basta anche con i twitter, le pagine facebook. Una buona regola sarebbe quella che i Ministri parlino solo in presenza di atti concreti (proposte di legge, decreti ministeriali, ecc. ).
Se le discussioni fossero lasciate ai rappresentanti dei partiti o alle aule parlamentari, si aprirebbe una sana stagione democratica, in cui ciascuno fa il suo mestiere. Una qualche discrezione e qualche riserbo prima della ufficialità degli atti sarebbe gradita e utile ad evitare tensioni inutili per il governo. Capisco la pressione dei media, lo stato di impaziente eccitazione per l’apparizione nei telegiornali, nei talk show: per molti è difficile, se non impossibile, resistere alle sirene dei media.
Sarebbe bene lasciare ai partiti, ai loro rappresentanti, il confronto sulle linee programmatiche, sui progetti di legge: la dialettica politica dovrebbe appartenere alla sfera dei partiti, come entità organizzate “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, come recita l’articolo 49 della Costituzione. Ritengo che sarebbe una seria riforma democratica riportare alle sedi parlamentari il vero confronto sulle scelte, sui programmi, sugli indirizzi generali.
E pensate che rivoluzione sarebbe quella di evitare i dibattiti, general generici, nei talk show o nelle dichiarazioni ai giornali: invece, ogni ministro, dopo la fiducia delle Camere al governo, dovrebbe presentare le linee guida del proprio ministero in Parlamento con l’indicazione dei provvedimenti che intende portare avanti con il consenso del Consiglio dei Ministri.
Questo costringerebbe anche i media a parlare di fatti e cose concrete, , invece che di rapporti tra i partiti, di scenari di alleanze o di future alleanze, di bipolarismo, di tripolarismo, di maggioritario o proporzionale.
E invece di leggere i sondaggi settimanali, non considerando mai che comunque il 35-45 per cento delle persone dichiara di non votare, sarebbe utile che si tornasse a fare incontri con i cittadini, con le categorie sindacali, imprenditoriali, culturali e professionali, promossi in giro per l’Italia: una “grande consultazione nazionale” continuativa per i prossimi anni, non momentanea come ha fatto Macron per smontare il fenomeno dei “gilets jaunes” o dei “foulards rouges”.
Bisogna che si apra la stagione del confronto sui fatti, sulla realtà, rimuovendo il triste periodo delle bugie, delle fandonie, della corsa a chi la spara più grossa, degli insulti, delle trasformazione dell’avversario politico in nemico, ricorrendo anche all’attacco sul suo aspetto fisico o ai problemi della famiglia. Finiamola con la denigrazione, la calunnia, la diffamazione, l’insinuazione, con il condimento di un certo giustizialismo che colpisce anche persone estranee alla lotta politica.
Un consiglio all’avvocato Conte, presidente del Consiglio. Questa estate il saggio comandante di una barca mi ha detto: “Speriamo che non facciano altre leggi. Siamo pieni di leggi, che poi non si rispettano”. Non parlava di nautica: questo esecutivo non solo non dovrebbe fare nuove leggi, ma dovrebbe impegnarsi a togliere almeno metà delle vigenti leggi e per quelle rimanenti a farne dei testi comprensibili senza continui rimandi ad una infinità di altre leggi.
Isocrate diceva che “il numero delle leggi e la loro minuziosità sono l’indizio di una città di cattivi costumi e male amministrata. E una tale città, per porre argine alle colpe e ai reati, continua a produrre leggi in gran quantità. Per un buono e ordinato vivere civico, non servono tante leggi ma la rettitudine d’animo dei cittadini”. La tesi di Isocrate era dunque che la forza di uno stato non sta nelle sue armi o nelle sue leggi, ma nella qualità dei suoi cittadini. E a questo servono i partiti, i sindacati e tutte le organizzazioni intermedie: a far crescere e diffondere il senso di cittadinanza e la partecipazione democratica.
“”La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi”. Buona notte, e buona fortuna,”
Luigi Corbani
(sabato 7 settembre 2019)
Tutti commenti giusti e pienamente condivisibili. L’ultimo, sulla necessità di sfoltire le troppe leggi è uno dei bisogni fondamentali del Paese.
La nostra burocrazia già strutturalmente inefficiente deve muoversi per di più in un groviglio assurdo di norme che fanno si che si strozzi tutta l’iniziativa della comunità. E scoraggia gli investimenti esteri.