Quando sentii suonare il telefono (fisso) alle 7 di un sabato mattina, pensai subito a qualche notizia non piacevole, ai tuoi genitori o ai tuoi suoceri che non stanno bene, oppure a Volodia. Sì, perché Vladimir Isakovič Delman era abituato a chiamare a tutte le ore, anche alle due o alle tre di notte.
E in effetti era il Maestro Delman, che voleva dirmi che il concerto inaugurale della Verdi non si poteva fare, l’orchestra non era pronta, ci voleva ancora una settimana di prove. Gli risposi che non era possibile, che il concerto si doveva fare quella sera, sabato 13 novembre 1993, oppure si sarebbe chiuso tutto e la cosa finiva ancora prima di cominciare. Naturalmente mi accusò di non capire nulla, che dovevo ascoltarlo, poiché lui sapeva benissimo quando sarebbero stati pronti i pezzi che aveva scelto per la inaugurazione: la “Serenata in Do maggiore per orchestra di archi” di Pötr Ilič Čajkovskij (prima esecuzione San Pietroburgo 30 ottobre 1881) e la “Symphonie fantastique op. 14. Épisodes de la vie d’un artiste“ di Hector Berlioz (dedicata a Nicola I, zar di Russia, eseguita al Conservatorio di Parigi il 5 dicembre 1830).
Entrambi i brani erano un ottimo esercizio per gli archi (20 primi violini, 18 secondi violini, 15 viole, 14 violoncelli e 12 contrabbassi), in totale settantanove archi. Il secondo brano era ottimo per fiati e percussioni (35 in tutto).
In sostanza, mi diceva che dovevo rinviare il concerto. Non voleva sentire ragioni: gli dissi che se era così, lui aveva sbagliato la scelta dei musicisti, perché, se, dopo quasi quaranta giorni di prova, non erano in grado di eseguire bene i due brani, non sarebbe bastata una settimana in più. Quindi dopo una vivace discussione, mi disse che lui non avrebbe diretto e quindi di arrangiarmi e attaccò il telefono con il suo classico invito “fanculo!”
I musicisti avevano provato tutti i giorni, sabato e domenica compresi, nelle pause delle prove della orchestra della Rai, dell’orchestra dei Pomeriggi musicali, dei solisti di Serate musicali, della Società del Quartetto, della Società dei concerti e nei giorni in cui non c’erano i concerti di quelle organizzazioni. Infatti abbiamo dovuto scegliere, per i concerti, il sabato sera alle 21 e la domenica mattina alle ore 11 che erano gli unici spazi vuoti nell’unica sala da concerto di Milano, la Sala grande del Conservatorio.
Naturalmente a Volodia, non avevo detto che c’era anche un problema economico: il primo stipendio dell’orchestra, era stato pagato con i soldi della mia liquidazione quando mi ero dimesso dalla Lega delle Cooperative, (ma questo è un altro capitolo di questa storia); adesso avevamo incassato dei soldi della campagna abbonamenti per i 14 concerti programmati fino a giugno 1994 e avevamo venduto i biglietti per la stessa serata di sabato e per la giornata di domenica 14 novembre.
Non era insensibile ai soldi per l’orchestra, ma per lui la qualità musicale veniva prima di tutto. E quella era la sua determinazione per quella sera e quindi, se seguivo il suo diktat, avremmo dovuto rimborsare i soldi ad abbonati e paganti. Poco male, ma la figura era barbina: il primo concerto viene rinviato!
Non ci siamo sentiti per tutto il giorno e ho passato tutto il giorno in Conservatorio dove nel tardo pomeriggio Trussardi, che aveva fornito gratuitamente i vestiti per l’orchestra, aveva anche allestito una seduta di trucco per le musiciste.
Verso le 19, io ero dall’altra parte del cortile, vidi entrare Delman, che andava verso il camerino, con il suo passo inconfondibile e il suo sacco ( quello nero della raccolta di immondizia) che conteneva l’alcool per lavarsi le mani. La cosa importante era che, sotto il grosso e lungo maglione, aveva il frac. Quindi, pensai, il concerto si sarebbe fatto.
Non ho fatto in tempo a rallegrarmi che arriva al bar del Conservatorio un musicista, agitato, che mi dice che gli hanno rubato la tuba, che lui aveva lasciato nello spogliatoio dei musicisti sotto il palco. Stupore (ma come è possibile che rubino in Conservatorio?), irritazione (ma come si può lasciare incustodito uno strumento così?), apprensione (cosa faccio?). In camerino da Delman non si poteva andare prima del concerto e durante la pausa: per lui portava iella, figuriamoci se dopo la telefonata del mattino andavo a dirgli che mancava una tuba: “vedi, il concerto non si può fare” sarebbe stata sicuramente la sua risposta. In Berlioz ci sono due tube che suonano nel quarto movimento “Marche au supplice” e nel quinto movimento “Songe d’une nuit de Sabbat”
Nel concerto prima veniva eseguita la Serenata che non ha bisogno dei fiati, poi l’intervallo, quindi avevamo tempo fino alle dieci. A quel punto l’unica cosa da fare era trovare una tuba, e così con il musicista e con Marcello Abbado, direttore del Conservatorio, unico a cui avevo detto la cosa, ci siamo messi a telefonare a professori di tuba, all’orchestra della Rai di Milano, a quella di Torino, ai Pomeriggi musicali, alla Scala, alla orchestra di Lugano. Niente di niente: nessuno poteva imprestarci una tuba.
Quindi l’angoscia e la tensione aumentavano, ma quando sei sotto pressione, ti balenano delle idee. Mi sono ricordato che avevo invitato al concerto Anna Bosoni, del mitico negozio di strumenti musicali in Corso Monforte, che purtroppo oggi non esiste più. Magari ha una tuba in negozio, pensavo, come ultima possibilità. La cerco a casa, ma non c’è. Intanto il concerto inizia con la “Serenata” e sperando che Anna fosse solo in ritardo ma che venisse al concerto, mi porto fuori, con il tubista, all’ingresso del Conservatorio, sotto l’androne, visto che pioveva. Aveva sempre piovuto dall’inizio delle prove: che fosse un segnale del destino che ci aspettava?
E per una combinazione astrale unica, ecco che vedo Anna, che mi ringrazia per averla attesa all’ingresso: le chiedo subito se ha una tuba in negozio e con mia immensa felicità mi dice che gli era arrivata al mattino, era ancora nella confezione. Ma nel frattempo ci serviva anche una tromba in Mi bemolle, poiché avevano rubato anche questo strumento. Quindi occorreva anche una tromba, che per fortuna Anna aveva in negozio. E aveva con sé le chiavi del negozio.
Andando verso il negozio i due musicisti mi dissero che gli avevano rubato anche le parti musicali ma che non dovevo preoccuparmi, dopo tutte quelle prove, loro le sapevano a memoria.
Anna Bosoni ci salvò. L’orchestra stava suonando ancora la “Serenata” e così i due musicisti corsero nel sottopalco a provare gli strumenti, che, dicono tutti, si possono usare solo dopo almeno tre mesi di rodaggio e di confidenza. Ma quella era una vera emergenza, della quale non ho mai parlato con Volodia. Mai!
Dopo tutta quella tensione, finito l’intervallo, quando tutta l’orchestra con i due musicisti con i nuovi strumenti entrò, non riuscivo a sedermi, e quindi stetti in piedi, nel vomitorio di destra della sala, per tutta la “fantastica”.
Alla fine, capii che era andata bene, non solo dagli applausi di una sala affollata, ma non piena, ma dal gesto di Delman, che dopo il primo rientro in palcoscenico, accarezzò la testa di Catia Guidolin, la spalla dei secondi violini.
Per Delman che non dava mai la mano a nessuno e che temeva il contatto fisico con gli altri, quella era una manifestazione di entusiasmo vero.
In quel momento capii anche, che si era avviata una operazione molto difficile e complicata. Non tanto per quello che era accaduto quella sera, ma per le manifestazioni di ostilità che avevamo avuto dal momento dell’annuncio della costituzione della orchestra Verdi.
Stanco di tutto, imploro la pace della morte,
stanco di vedere il merito nascere sempre mendico,
ed a festa parati i buoni a nulla,
e la più pura fede sciaguratamente tradita,
e svergognatamente gli alti onori male attribuiti,
e la casta virtù con brutalità prostituita,
ed in disgrazia iniqua l’integra rettitudine calpesta,
e fiaccata da colpi mancini l’energia,
e dall’autorità messo all’arte il bavaglio
e regola dettata all’estro da dottoreggiante pazzia,
e la semplice verità scambiata per semplicità,
e al male capitàno, subordinato il bene in servitù:
Stanco di tutto, vorrei andarmene vorrei da tutto
Se, morendo, il mio amore non dovessi lasciare solo.
(William Shakespeare, Sonetto, LXVI,
traduzione di Giuseppe Ungaretti, Oscar Mondadori 1967)
Luigi Corbani
(domenica 12 novembre 2023)
Segue.
Fantastico racconto, rallegrati di avere siffatti ricordi e non abbandonarti al pessimismo. Hai fatto delle cose bellissime e difficilissime, sii contento e facci tanti altri bei racconti ! 💝
Commovente, intenso e integro di verità
Questa storia epica, che spero farà parte di un testo più ampio sulle tue imprese, me l’avevi raccontata ed è inclusa a pag 351-2 della mia storia di Milano, seconda edizione. Ne sono fiera. Shakespeare ci ha già detto tutto tranne una cosa: verranno tempi migliori. Non più lagne, rancori, divisioni, ma spinte creative e collaborazione. Con un po’ di fortuna forse li vedremo. Lo dico perché ieri ho parlato a lungo con una gran donna che ha trascorso l’adolescenza a nascondersi qui e là con la famiglia in quanto ebrea. Poi ha visto tempi migliori. Grazie!
In questi giorni di celebrazioni dei trent’anni della Verdi, il tuo ruolo e il tuo merito non sono stati ricordati abbastanza e qui vorrei minimamente riparare a questa ingiustizia. Grazie Luigi Corbani!
…se gli auguri van fatti a chi ha più meriti per la nascita e l’esistenza de LaVerdi non ci possono essere dubbi…. auguri Direttore Corbani…
Riporto, integrandolo, quanto commentato in altra pagina, ringraziando per questo ricordo che ha riaperto la “scatola della memoria” verso una fondazione che è riuscita a portare energia giovane in un ambito all’epoca declinante, quello sinfonico milanese. Ora “La Verdi” veleggia con altri nomi e necessita sempre più una considerazione europea oltremodo meritata.
Leggendo tutto l’articolo, furto degli strumenti e pressioni varie, mi sono tornate in mente bene le sensazioni di quel periodo: da un lato un affetto sempre maggiore per la neonata orchestra da parte del pubblico, dall’altro la campagna di astio verso la stessa in molte recensioni dove la si invitava a studiare di più. La scomparsa di Delman quando avrebbe avuto moltissimo da dare è stata tristissima ma forse in linea con la vita di quest’uomo così complicato ed umano. Occorreva essere in quel periodo travagliato per capire cosa volesse dire fondare da zero una nuova orchestra a Milano, di giovani, partendo dal nulla e con le pressioni egemoniche che c’erano a livello musicale. Sul genio (e complessità) di Delman ci restano fortunatamente qualche video e rare incisioni. Il ricordo del secondo concerto, bruckneriano, con una Ottava “disperata” dal colore brunito, salvo l’oasi di affranta desolazione dell’Adagio, è indelebile (peccato non ci sia conservata la registrazione). La capacità di Delman di lasciar suonare l’orchestra è stata sua caratteristica e di tutti i grandi interpreti che sanno quando è il momento di far correre le note da parte degli strumentisti. E oggi grazie a voi abbiamo questo gioiello che regala ancora serata di musica con programmazione ad ampio respiro.
Chi è infelice nel mondo attuale, chi non trova ciò che cerca, entri nel mondo dei libri e dell arte eternamente antica e in pari tempo moderna
Novalis, Frammenti
Grazie Luigi, ci hai offerto felicità
Ho un ricordo molto nitido di quelle settimane, di quel concerto e di quelli che sono succeduti. Eravamo giovani, spesso inesperti, ma valorizzati e tenuti in considerazione. Potevamo contribuire ad un grande progetto e questo era esaltante.