Quest’anno Delman avrebbe cento anni, era nato il 26 gennaio 1923, almeno secondo il passaporto dello Stato Italiano. Ma non escludo che abbia scritto una data non vera nelle domande con cui ha chiesto la nazionalità italiana, anche perché i suoi documenti originali erano tutti con grandi sbavature, macchiati di alcool denaturato, con cui si lavava le mani o disinfettava tutto quello che doveva toccare.
In generale, cercava di non toccare nulla. E per esempio, era un incubo per i tassisti: l’albergo Centro (non esiste più) in via Broletto chiamava il taxi (alcuni tassisti dicevano che, se era per il “pazzo”, loro rifiutavano di venire a prenderlo); lui aspettava in strada il taxi, con la mano destra nella tasca e con un sacchetto di plastica che pendeva dalla mano sinistra; quando arrivava il taxi, lui non si muoveva finchè il tassista non capiva che doveva aprirgli lui la porta, perché Delman non voleva toccare la porta dell’auto; Delman si sistemava, senza toccare nulla, e il tassista doveva girarsi per chiudere la porta; una volta arrivato al Conservatorio, Delman porgeva al tassista i soldi, che spuntavano nel sacchetto di plastica ( il sacchetto si poteva disinfettare con l’alcool, i soldi no); il tassista metteva nel sacchetto il resto, e Delman dava un colpo per far sparire alla vista i soldi e aspettava che il tassista gli aprisse la porta; a quel punto scendeva e scalciava con un colpo di tacco per chiudere la portiera e quello era il momento in cui il tassista dava in escandescenze; ma Delman si era già allontanato, come se niente fosse.
C’è anche un altro particolare: a un certo punto della lunga trafila per diventare cittadino italiano, dopo il decimo documento da compilare, ha incominciato a firmare in cirillico corsivo, ma non era la sua firma, erano vari tipi di insulti, il più gentile era “coglioni”. Di fronte alla preoccupazione che lo scoprissero, rispondeva “ma chi conosce il cirillico corsivo in questura?”
Delman mi ha sempre detto che una volta che entri dentro nei meccanismi del far musica con una orchestra, non riesci più a liberartene, si crea una dipendenza per cui, nonostante le difficoltà, non puoi stare lontano dalle emozioni, dalla dimensione sociale e affettiva dell’orchestra. Diventa una “droga”, diceva lui, che ti costerà lacrime e sangue, ma che ti darà soddisfazioni immense, smisurate.
Delman ha spiegato all’ignorante che è in me, che la disposizione dell’orchestra ha un immediato riscontro nel suono. Un po’ l’avevo intuito andando ai concerti, ma lui me lo dimostrò nei fatti.
Nel primo concerto de laVerdi, Delman aveva adottato una disposizione del tutto particolare della orchestra, fuori da tutti i modelli. Di solito le orchestre si dispongono secondo un modello chiamato “all’italiana” (qualcuno dice che in realtà è “all’americana”) o uno “alla tedesca”.
Delman invece voleva una disposizione del tutto diversa: i contrabbassi, in fronte al pubblico, davanti al direttore, e dietro tutti gli altri strumenti; e da sinistra a destra, violini primi, violini secondi, violoncelli, viole: dietro le viole, le percussioni e i timpani; dietro i violini secondi arpa, celesta e pianoforte.
Ovviamente, davanti al direttore, su gradoni ascendenti, i legni, da destra a sinistra ottavino, flauti, oboi, e ottavino; poi, dietro , corni, clarinetti, fagotti, controfagotto, trombe, tromboni, tuba.
La sua tesi era che chi fa il suono dell’orchestra, il “timbro” dell’orchestra, sono i contrabbassi, seguiti da violoncelli e da viole; il suono dei contrabbassi e dei violoncelli deve andare diretto, verso il pubblico; e su questo tappeto sonoro, si innesta il suono di tutti gli altri strumenti dell’orchestra, le sonorità dei quali si fondono su uno strato di suono che diventa più omogeno, avvolgente e ampio, facendo uscire con naturalezza, quasi con ovvietà, le parti solistiche, previste nelle partiture. Ogni orchestra ha il suo “suono”: Delman voleva creare una orchestra che avesse un suo proprio inconfondibile “timbro”: come il timbro di un violino è diverso da quello della viola, o quello di un clarinetto è diverso da quello di un fagotto, così il “timbro” della Verdi doveva essere proprio della Verdi, il suo marchio originale. E quella disposizione era quella de laVerdi, per il suo suono.
E poi anche in quel primo concerto si notavano subito alcune caratteristiche della direzione d’orchestra di Delman: lui lascia andare l’orchestra, il suo gesto è dentro il suono dell’orchestra, raramente si sovrappone. E poi non muove mai i piedi. Per lui si dirige, non tanto con i movimenti fisici del direttore, né con la bacchetta, ma con gli occhi, con lo sguardo.
Con Delman negli anni siamo andati a sentire tante orchestre e a vedere tanti direttori di orchestra, e ogni volta commentava anche a voce alta gesti e suoni. Ne parleremo.
Per Delman il concerto era la naturale conseguenza delle prove: il vero lavoro era nelle prove; se il lavoro viene fatto bene, poi l’orchestra va. La musica che si trasmette al pubblico si fa nelle prove: guai a quei direttori che pensano di risolvere durante i concerti i problemi emersi nelle prove. Nel concerto si fa musica, non si suona. E bisogna eliminare tutti i gesti che i direttori fanno per affascinare, da istrioni, il pubblico. Spesso, mi diceva, anch’io sollevo un braccio in alto, in occasione dei fortissimi, ma non lo faccio per l’orchestra, che sa che deve suonare fortissimo, lo faccio per il pubblico che è affascinato da quel gesto. Il gesto deve essere essenziale, dentro la musica, non sopra la musica.
Ed anche per questo, liquidò in un quarto d’ora la promessa che gli avevo strappato: se la operazione “orchestra” fosse partita, lui doveva darmi lezioni di direzione d’orchestra.
Dopo qualche mese, una domenica del gennaio 1994, ci fermammo nella sala grande del Conservatorio, e lui mi diede lezione.
Primo, “tu devi fare come Karajan che io sono andato a vedere la prima volta che è venuto a Mosca; non devi muoverti: fai sul podio un segno con il gesso, contornando le tue scarpe, alla fine del concerto non ci deve essere alcuna sbavatura”
Secondo, “l’inizio di ogni battuta di solito è in battere, e la fine in levare.”
Terzo. “Dopo l’attacco, non fare più niente, ogni gesto disturba l’orchestra; se è una orchestra, sa quello che deve fare e i tuoi gesti disturbano i musicisti, fanno solo casino. Se l’orchestra non è capace di andare da sola, significa che il direttore non ha fatto bene le prove e allora ti puoi agitare quanti vuoi, per distogliere il pubblico dal suono e farlo concentrare sul “menapasta” che è sul podio”
In cinque minuti, Volodja mi aveva insegnato molto per il futuro.
Stanco di tutto, imploro la pace della morte,
stanco di vedere il merito nascere sempre mendico,
ed a festa parati i buoni a nulla,
e la più pura fede sciaguratamente tradita,
e svergognatamente gli alti onori male attribuiti,
e la casta virtù con brutalità prostituita,
ed in disgrazia iniqua l’integra rettitudine calpesta,
e fiaccata da colpi mancini l’energia,
e dall’autorità messo all’arte il bavaglio
e regola dettata all’estro da dottoreggiante pazzia,
e la semplice verità scambiata per semplicità,
e al male capitàno, subordinato il bene in servitù:
Stanco di tutto, vorrei andarmene vorrei da tutto
Se, morendo, il mio amore non dovessi lasciare solo.
(William Shakespeare, Sonetto, LXVI,
traduzione di Giuseppe Ungaretti, Oscar Mondadori 1967)
Luigi Corbani
(martedì 5 dicembre 2023)
Segue
Il sonetto di Shakespeare conclude un commovente ricordo della Verdi agli albori e dei due capitani: Corbani e Dellmann. E qui mi accorgo
Che “quella”serata al Conservatorio me la ricordo benissimo. Nasceva un’avventura nuova di musica che avrebbe coinvolto con il suo entusiasmo tutti quelli che vi avessero accettato di partecipare.Tante difficoltà, tanto lavoro, fatica anche ma per me è stata una “summa” di amicizie, di piaceri che mi hanno salvato la vita.
Indimenticabile Volodia….
Una dei più straordinari eventi umani e culturali che hanno reso ancora più grande Milano.
Dobbiamo vederci e parlare un po’ finche siamo ancora in tempo. Volodja grande. Pensa che io ogni tanto dimentico di lavare le mani!!!
Grazie Luigi per aver condiviso questi meravigliosi ricordi. Aspetto il seguito.
Grazie per aver condiviso i suoi meravigliosi ricordi che, in parte, sono anche i miei…