Rispondendo ad una domanda di uno studente dell’Università Bocconi nel corso di un incontro pubblico di presentazione di Tosca, Riccardo Chailly ha definito, con un sorriso, i direttori d’orchestra “autoreferenziali” in termini di scelte interpretative. Ma un conto sono i direttori. Un conto sono i solisti. Un conto sono i compositori. Categorie alle quali tutto si perdona.
Ma quando si parla – e se ne è parlato molto nei giorni passati di “spettacolo dal vivo”, comprendendo Musica e Teatro – si è anche detto “il mondo della Musica”. Ma esiste “il mondo della Musica” in Italia? Molti e molti anni fa il direttore artistico del Teatro del Giglio di Lucca invitò i responsabili degli altri teatri lirici della Toscana ad un incontro: per fare cartello?, come si direbbe per aziende diverse di uno stesso settore. No, semplicemente per coordinare insieme la programmazione, per evitare che a 100 km di distanza si producessero due Traviate, semmai per co-produrre gli spettacoli. Il risultato fu nullo: cioè non si presentò nessuno. E questo è uno dei mali del “mondo dello Spettacolo”, uno dei mali del “mondo della Musica”.
Nulla è cambiato negli anni, se non pochissimo (il Sistema Musica del Piemonte). Pochi mesi fa è arrivato il Covid. Da un secolo il mondo intero non veniva aggredito da una pandemia di tale virulenza: tale da far saltare molte convenzioni, tutti i protocolli, da mandare in confusione governi e scoperchiare le fragilità del nostro sistema, della nostra Europa, dei Paesi non europei: insomma, di tutti. Si dice che una pandemia, un terremoto, una guerra, diano luogo alle palingenesi, ai mutamenti epocali. Ma, purtroppo, all’ipotetico ed esteso tavolo di coordinamento ancora una volta non si è presentato nessuno. Anzi, il tavolo non è stato nemmeno convocato, e forse a nessuno è venuto in mente di convocarlo e forse nessuno sarebbe interessato presentarsi: meglio andare in ordine sparso, come sempre. Eppure il presentarsi compatti avrebbe permesso al “mondo della Musica” (ed a quello del Teatro, o a tutti e due insieme, perché no?) di non chiedere semplicemente sovvenzioni, sostegni, aiuti a pioggia, di non spintonare e trovare la via giusta per ottenere di più sottraendo risorse ad altri. Ma di invocare una vera politica culturale: per la ripresa, la rinascita, la rifondazione del sistema, chiamiamola come vogliano.
Per gridare al mondo ed alla nazione – non attraverso i quadratini del web, o di Facebook – che il nostro Paese è la Cultura. Che se cancelliamo la Cultura (nelle sue diverse espressioni: da Monteverdi al Rinascimento, da Da Ponte a Pirandello, da Michelangelo a Pomodoro, da Verdi ai compositori d’oggi) nulla rimane della nostra Storia, del nostro Dna, della nostra gloria e del nostro orgoglio. E i personaggi che avrebbero potuto farsi portavoce li abbiamo: li abbiamo in Italia e molti sono noti ed apprezzati in tutto il mondo. Si potrà dire: ma i sostegni al reddito servono, servono gli aiuti per i molti disoccupati del settore, per i precari, per le maschere dei teatri, per gli elettricisti a cottimo, per tantissimi giovani che suonano a gettone. Certo, ovvio. Ma da qui ad invocare i soldi a pioggia ne corre. Da qui a passare a quell’assistenzialismo che nel passato già ha fatto tanti danni – spesso privilegiando l’amico dell’amico, o dimenticando e cancellando le realtà più meritevoli, in favore di quelle che si sono permesse sprechi e stagioni per pochi intimi – ne corre.
Una politica culturale non la si improvvisa: è poco ma sicuro. E nella situazione qualche cenno di prospettive per il futuro lo si è visto: come l’uso dell’online, che più o meno tutti hanno capito essere uno strumento che integra e completa la proposta dal vivo, sola ragione d’essere delle forme d’arte. Ma – ormai “a posteriori” – vengono in mente almeno tre elementi che avrebbero potuto rientrare in un progetto organico.
Il primo non pare essere stato tirato in ballo in alcun modo: la Rai. Cioè il servizio pubblico. Perché una volta per tutte non chiamarlo in causa perché la definizione corrisponda alla missione? Quanto spreca il servizio pubblico in soubrette, pseudo comici, riprese e produzioni miliardarie e tutto quanto sappiamo, lasciando che le poche – ad a volte bellissime – trasmissioni di cultura siano prodotte con scarsi mezzi, quasi a spese dei conduttori ed ideatori? Quanto potrebbe fare la Rai nel sostegno delle produzioni culturali – di Musica, Teatro, Arte – dando anche lavoro a giovani (pensiamo alle orchestre giovanili), artisti, istituzioni, Festival? E teniamo anche conto del fatto che alcuni di questi investimenti avrebbero ritorno, potrebbero essere venduti nel mondo (visto l’interesse per l’Italia).
Un secondo ambito, abbastanza ovvio: il Turismo. Giusto sostenere il sistema alberghiero: ma perché non inserire nel quadro delle politiche per la cultura sinergie che consentano veramente promozioni ed interazioni fra i due universi. Promozioni che già ci sono, ma sono lasciate all’iniziativa degli Enti locali, e spesso si riducono a spot ed immagini patinate.
C’è forse un terzo ambito, o settore, che da questa drammatica pandemia avrebbe potuto godere di nuovo slancio e considerazione, se inserito in un quadro di interventi: quello della pratica musicale. In Italia si fa troppo poca pratica musicale. Ci sono gli spritz della sera, ma a nessuno viene in mente quanto sarebbe più bello trovarsi a suonare insieme (non importa quale musica). Eppure la pratica musicale fa molto bene: al cervello, perché lo sviluppa; alla socializzazione, perché la si fa insieme; alla conoscenza, perché allarga gli orizzonti; all’industria degli strumenti, perché un pianoforte, una chitarra o una tastiera non fanno mai male a nessuno; all’occupazione, perché darebbe a tanti studenti e poi diplomati di conservatorio e scuole civiche un’ulteriore opportunità di lavoro: l’insegnamento: ai bambini, ai dilettanti, agli anziani. Non è un “abbassarsi” per uno strumentista. È un innalzarsi: lo facevano Chopin e Schubert. Lo faceva Arturo Benedetti Michelangeli.
Giorgio Vitali
(domenica 31 maggio 2020)
Sono d’accordo sulla interessante riflessione e credo in uno con l’estensione che sia proprio il mondo dello spettacolo a non voler creare sinergie e reti operative che possano scrivere una nuova pagina di valore strategico e al passo con i tempi. Ma per far questo ci vuole coraggio e determinazione. Purtroppo è molto difficile coniugare il coraggio di osare di progredire con i numeri che ci vengono costantemente richiesti da tutti gli interlocutori, non idee non fantasie ma numeri. Dobbiamo sdoganarli da questo vincolo anche perché eviteremmo di creare un surplus di offerta che non ha domanda.
Voglio segnalarle che in Lombardia esiste un circuito lirico oggi operalombardia da 42 anni cistituito dai teatri di tradizione di Pavia, Como, Cremona, Brescia e Bergamo. La sua longevità è la testimonianza di una buona idea e di buone pratiche coproduttive che danno vita ad una impresa consortile che produce 50 recite liriche, mette a disposizione circa 4000 posti e fornisce molto lavoro a artisti, tecnici, masse corali e orchestrali, prevalentemente giovanili. E’ un buon esempio che bisognerebbe ricordare più spesso.
Di cultura si mangia eccome!
Fiorenzo Grassi
Verissimo! Ma temo che quel “pochissimo” che ho scritto conti davvero solo qualche altro esempio. Il Circuito lombardo dei Teatri di tradizione comunque è sicuramente un esempio virtuoso: e che è andato proprio nella direzione auspicata della collaborazione, dello scambio e della coproduzione. La creazione di un “sistema” (potremmo usare anche altri termini, è solo per intenderci) però dovrebbe essere più “trasversale” come si usa dire oggi: coinvolgere più generi, più tipologie di musica di proposta. Faccio un ulteriore esempio. Molti, molti anni fa proposi per conto di un’Associazione all’Agis di coordinare la comunica
zione delle istituzioni musicali. In pratica di creare un calendario consultabile da tutte per evitare sovrapposizioni di conferenze-stampa (da giornalista mi è capitato di ricevere tre inviti in luoghi diversi ed orari identici). L’Agis fu d’accordo. Crede che le Istituzioni abbiano aderito?
Come le ho detto è l’egocentrismo che domina tuttora le nostre imprese di spettacolo. Ma sulle conferenze stampa qualche miglioramento è stato fatto
Sono perfettamente d’accordo con Giorgio. Anni fa io avevo proposto di istituire a Milano in seno al Comune un tavolo per coordinare le attività musicali sinfoniche e cameristiche. Alcune persone dissero che era u’ottima idea, ma poi tutto cadde nel vuoto. Ora più che mai ci sarebbe necessità di un tale coordinamento.