Per me, Salvatore, e sua moglie Valeria Termini, sono parte della mia vita. Sapere della improvvisa scomparsa di Salvatore è un dolore indicibile, che mi toglie il fiato, mi crea una confusione totale e mi fa imprecare contro la ingiustizia della morte.
Ci sarebbero tante cose da dire, ma non aggiungo altro: la sua biografia, scritta da lui stesso, racconta tante cose di lui, comprese le amarezze politiche che ha dovuto sopportare.
Un grande abbraccio a Valeria, ad Alessandro e a Ludovico.
Il mio iter e il mio debito intellettuale
– La formazione universitaria è avvenuta a Scienze Statistiche a Roma. Poi si é completata a Cambridge in Gran Bretagna presso la Faculty of Economics.
– Dopo la laurea, a Roma (con tesi in Econometria) sono stato assistente di Sylos Labini, di cui ho sicuramente assorbito l’approccio allo studio dell’economia. Considero a ritroso che Sylos abbia avuto una influenza importantissima nella mia formazione di economista. Forse più grande di quella che hanno avuto altri giganti. In Gran Bretagna sono stato supervisionato da Maurice Dobb, ma ho assorbito soprattutto l’insegnamento di Joan Robinson e Nicholas Kaldor, e attraverso loro, dei classici del keynesianesimo. Quello che era peculiare in Sylos – come scriverò nel suo ricordo – è “l’interesse per modalità in cui le interconnessione tra le variabili e tra decisioni dei singoli attori generano la dinamica dell’economia (soprattutto della produzione e della produttività), il ciclo la distribuzione del reddito. Dentro l’interconnessione tra macrovariabili é possibile, però, cogliere in azione un pullulare di soggetti che generano quotidianamente e singolarmente scambio, produzione, consumo e idee; il comporsi della loro attività; la pluralità di motivazioni e impulsi che prendono forma a livello disaggregato; il formicolare di reazioni diverse agli eventi di cui ciascuno é partecipe, ma che ciascuno vive come eventi esterni che lo condizionano. Attraverso la sua analisi trovano sistemazione e spiegazione le informazioni più aneddotiche e i fatti più dispersi della vita sociale. L’operare della politica e delle istituzioni è sempre presente; ogni processo ha poi ha una prospettiva storica in cui viene inquadrato: i percorsi precedenti proiettano i loro condizionamenti sugli sviluppi successivi”, Una grande scuola. Più avanti, ho aggiunto la finanza in questo quadro e mi sono convinto che dalla dinamica nascono fatti, istituzioni, mercati e quant’altro che non sono il prodotto consapevole di nessuno, ma agiscono come forze condizionanti per tutti (le “forze coercitive esterne” di Marx).
Devo aggiungere che ho considerato a posteriori come studiosi che hanno effettivamente aggiunto qualcosa alle acquisizioni metodologiche e di impostazione (tantissimi economisti hanno aggiunto conoscenze, teorie, analisi e idee illuminanti, ma l’impostazione é un’altra cosa) Arthur Okun un economista che morì giovane e, con l’andazzo che ha preso la teoria economica, é ora quasi dimenticato e Hyman Minsky (con il quale ho avuto una indimenticabile consuetudine). Devo aggiungere anche l’influenza che hanno avuto gli economisti “modenesi”, di cui parlerò più avanti. Claudio Napoleoni, invece, che ho avuto come direttore del corso Svimez frequentato post laurea, che tanta influenza ha avuto su studiosi giovani della mia generazione, non ne ha avuta molta su di me, pur ammirandolo.
– La Gran Bretagna è stata importante anche nella mia formazione politica. Ero partito con una visione socialista del mondo un po’ libresca e idealistica. L’osservazione della prassi, mentalità e realizzazioni, allora e nella sua storia, del partito laburista britannico, con cui sono venuto in contatto nei tre anni passati a Cambridge e cui sono rimasto legato (in Gran Bretagna sono poi tornato per ricerche tutti gli anni ininterrottamente per periodi variabili fino al 1996) hanno cambiato la mia prospettiva di vedere la politica e mi hanno introdotto a una cultura positivista e sociologica, da cui la sinistra italiana, intrisa di crocianesimo e escatologia, specie nel Pci, era allora molto lontana. Da giovane, ancora studente universitario, ho militato nella corrente bassiana del Psi. Basso era sicuramente un educatore, di cui ho subito il fascino e la prospettiva di analisi politica; ma col tempo ho percepito anche l’astrattezza del suo impianto e il massimalismo (riconciliandomi poi successivamente col suo costituzionalismo, che allora non percepivo). Sul piano puramente analitico del capitalismo e della società italiana, ho successivamente trovato l’impianto di Togliatti superiore e più aderente alla realtà.
Nella mia visione del mondo ha sempre giocato, poi, una frase pronunciata da Pasquale Saraceno (che ho avuto docente al corso Svimez) in un seminario a Modena, che per “ogni anno passato a Oxford, i giovani studiosi italiani ne avrebbero dovuto passare cinque a Nuoro”.
– Dopo la Libero Docenza, ho avuto a Modena il mio primo incarico universitario (Economia Internazionale) nel 1970 e lì sono rimasto fino al 1983. Ho insegnato contemporaneamente anche Economia Politica nella Facoltà di Lettere a Roma dal 1971 al 1974, per puro divertissment. Modena era percorsa da un fervore di ricerca e riflessione che portava un gruppo di giovani docenti di economia, storia, sociologia a essere in continuo confronto tra loro, e a aprirsi all’esterno al sindacato, a cultori di varie materie, alla società politica nazionale e modenese. Tutti, post sessantottini, ma fortemente ancorati al rigore della professione accademica. Da Modena sono passate, per seminari e Convegni, tutte le migliori personalità di allora (anche per il concorso di due importantissimi Istituzioni culturali). Il clima culturale era ultrastimolante. Ricordo alcuni docenti (Salvati, Brusco, Vianello, Ginzburg, Collotti, Mori, Onado, Bisoni, Rescigno, Lippi, Parboni, P. Santi, Foa, ecc). In particolare, Brusco ha sicuramente aggiunto la prospettiva dell’Italia molecolare alla mia impostazione; Salvati l’ha allargata continuamente in varie direzioni economiche e sociologiche. Con lui, mi sono ritrovato in tutte le tappe della mia vita (prima a Cambridge, poi, entrambi assistenti di Sylos, quindi a Modena; abbiamo abbandonato Modena quasi contemporaneamente; egli ha scritto il primo programma del Pds, io (con altri) il secondo; insieme abbiamo partecipato alla fase gloriosa del Cespe (91-94), di cui parlerò; ci siamo ritrovati insieme in Parlamento nella XIII Legislatura). Poi – peccato! – non abbiamo condiviso la critica alla cultura neo liberista da cui finiva per essere influenzato il pensiero della sinistra ufficiale, né il giudizio su chi la rappresentasse. La Scuola di Modena in quanto tale, invece, non é mai esistita (personalmente sono stato sempre freddo e diffidente circa le potenzialità analitiche e interpretative della critica di Sraffa).
– Acquisizioni, tappe e gratificazioni sono, per un lungo tratto della mia vita, maturate pressoché esclusivamente nella vita accademica (rinvio al curriculum specifico), anche se questa è stata attraversata da interessi e rapporti politici. Ma la politica era allora secondaria. Del mio curriculum accademico, ricordo che sono andato in cattedra molto giovane, nel 1975 (pur con una interruzione che vi fu di cinque anni nel bando dei concorsi a cattedra), ho avuto il premio St Vincent per l’economia nel 1981, sono stato in due intervalli membro del Direttivo e poi vicepresidente della Società Italiana degli Economisti (in quest’ambito, ritengo un privilegio aver avuto preziosa consuetudine con Baffi e Becattini, i presidenti nei due mandati). Relatore e correlatore in numerosi convegni, membro fin da giovane di commissioni per concorsi a cattedra (vedi nel cv i promossi), Direttore di Dipartimento, ecc. Sono tornato all’Università La Sapienza di Roma nel 1983 e rimasto lì ininterrottamente nel Dipartimento di Economia (che allora comprendeva Sylos, Spaventa, Roncaglia, M. T. Salvemini, Lippi, Dosi, Amendola, e, per un breve periodo, Gandolfo, Padoan, F. Vicarelli, De Cecco. ecc.)
– Alla politica attiva, quella che impegna parte della giornata, porta a responsabilità, pone in contatto frequente con i dirigenti, sono arrivato tardi (che – ho razionalizzato in seguito – é il prezzo per arrivarci professionalizzato e con un apparato analitico alle spalle). La Presidenza del Cespe dal 1991 al 1994 (facevo parte del direttivo dal 1976) é stato un momento esaltante e straordinario. Lì impostammo un lavoro di costruzione dell’agenda per il governo del paese, condotto raccogliendo e selezionando le testimonianze, le riflessioni e gli studi di un numero molto esteso di competenze, le migliori nei vari campi. Da lì sono venute le idee che si trasfusero nel programma elettorale di stampo riformatore/liberal del Pds nel 1994, ma che, trattate con la sufficienza tipica della dirigenza di questo partito di allora, furono poco più che un esercizio intellettuale. Rimasero tuttavia in campo (spesso senza paternità) a costituire il programma elettorale, e poi di governo, dell’Ulivo del 1996. Dal Cespe di allora sono passati gran parte di coloro che hanno costituito la nervatura dei vari gradi di dirigenza economica in questo Paese durante il governo dell’Ulivo. Il Direttivo che si impegnò in questa impresa (per capirne la caratura) era formato da: Accornero, Andriani, Artoni, Bagnasco, Biasco (presidente) Cavazzuti, De Vincenti (direttore), Fabiani, Paci, Reichlin, Rodano, Salvati, Visco.. A tutt’oggi, pur partecipando in questo momento direttamente a una decina di imprese culturali e politico-scientifiche, molte indubbiamente pregevoli, trovo che nessuna si avvicina a quella per dimensioni e senso di missione, qualità dello scambio, interesse, identificazione e entusiasmo di coloro che gli ruotano intorno. Inutile dire che il socio fondatore del Cespe (il Pds, allora governato da Occhetto) non ne percepì neppure alla lontana il valore e l’utilità.
– Dal Cespe mi dimisi nel 1994, perché interferiva troppo con la vita universitaria, che si svolgeva in parallelo e che non meritava che io approfittassi – come fanno tanti docenti (e come non avevo mai fatto) – della libertà che mi lasciava. Non era stato, poi, gratificante lavorare per un partito in cui si avvertiva palpabilmente che non avevo chances di essere inter pares perché mi mancava il pedigree per una accettazione piena, quello di aver militato nel partito comunista.
– Dopo esser tornato al 100% alla vita universitaria, nel 1996 questa si interruppe di nuovo, perché accettai la candidatura che mi era stata offerta dal Pds nelle liste dell’Ulivo. Era la seconda volta che ricevevo questa offerta, la prima nel 1983 nelle liste di Modena del Pci (l’anno in cui avrei dovuto entrare in Parlamento, come indipendente di sinistra, con Visco, Cavazzuti, Momigliano, che rifiutò, Caffé, che rifiutò). Allora, dopo aver in un primo momento accettato, finii per rifiutare (nella mia testa era solo un rinvio breve) perché pensavo di dover, in alternativa, partecipare a una “grande” impresa culturale di carattere accademico, che vedeva unificati tutti i dipartimenti di economia alla Sapienza (da Caffè, a Steve, a Sylos, a Spaventa), che poi fallì. Il puro caso e nient’altro ha voluto che finissi nel 1996 nel collegio di Modena centro, la mia città di elezione, la città-laboratorio alla quale ero tributario di molte idee. In Parlamento ho presieduto la Commissione Bicamerale per la Riforma Fiscale (detta dei Trenta). Per la funzione che ha avuto, mi sono sentito più parte di una attività di governo che di una attività strettamente parlamentare. Anche qui, a contatto con l’Italia profonda degli interessi più minuti e del loro rapporto con le istituzioni, penso di aver fatto un’esperienza straordinaria, che univa attività decisionale a attività conoscitiva e di inchiesta; la seconda indispensabile a guidare la prima. Sono stato il membro designato dai Ds nella Commissione per il programma elettorale dell’Ulivo del 2001.
– Mentre ero intento a questo compito ho appreso (da terzi) che il mio collegio, nel poco edificante assalto alla diligenza che ha caratterizzato la fase delle candidature, era stato assegnato ad altri per convenienze e equilibrismi, né sarei stato recuperato altrove (responsabili delle liste dei Ds erano quei personaggi di “grandi vedute e levatura”, che corrispondo ai nomi di Folena, Lolli, Fumagalli e non ricordo quale altro poveretto – anche se Veltroni, il segretario, che si era eclissato per non prendersi la responsabilità della sconfitta e concorreva a sindaco di Roma, – non era senza responsabilità, né ignaro del fatto). A tutt’oggi, nessuno dei dirigenti di allora (e di oggi) del mio partito mi ha mai telefonato per comunicarmelo, né per rammaricarsi. Uniche eccezioni, Napolitano e Bersani. A tutt’oggi mi ritengo immodestamente uno dei quadri migliori che la sinistra avrebbe sperato di avere in Parlamento per ampiezza di temi che domino in profondità (dal welfare, al bilancio pubblico, al tessuto produttivo, al diritto societario, fisco, ecc.) che si unisce a una visione politica e alla capacità di concettualizzazione e proposizione politica.
– Nel momento migliore di ideazione, elaborazione, volontà di spendersi, credito di serietà riscosso dal mondo organizzato delle categorie produttive, sono tornato improvvisamente dietro la cattedra, al mondo accademico, che pensavo di aver abbandonato. Senza aspettarmelo. Ho ripreso diligentemente il mio lavoro, scrivendo delle dispense di Economia Internazionale, cosa che non avevo mai fatto in trent’anni di insegnamento, riprendendo a far ricerca. Non sono riuscito, però, a distaccarmi del tutto non dalla politica, il che sarebbe impossibile, ma dal rapporto diretto con l’attività legislativa, come testimoniano due impegni importanti che ho svolto successivamente. Il primo è un dossier piccole-medie imprese, che delineava le azioni di governo da indirizzare a quel mondo; dossier scaturito da un indagine estesa tra esperti e operatori da me redatto. Era destinato al programma dell’Unione per le elezioni del 2006, ma non ha avuto miglior fortuna di altri impegni del genere. L’altra è la presidenza della Commissione consultiva del Parlamento per la riforma dell’imposizione sulle società (commissione Biasco), che ha redatto un Libro Bianco (Rapporto Biasco) in materia. Tra le indicazioni del Libro Bianco e pronunciamenti della Commissione Bicamerale quando ero deputato, molta della legislazione attuale sulle società è stata varata col mio concorso. Recentemente ho ripreso la tematica della azioni di governo in uno scritto che tenta di indurre la sinistra a guardare all’Italia in termini di progetto di lungo periodo. Nel frattempo sono stato relatore all’incontro dei Parlamenti europei, organizzato dall’Italia e tenuto alla Camera sulla concorrenza fiscale in Europa, da cui sono nati vari saggi e l’indicazione di un programma per la sinistra europea. Ponevo con anticipo il problema dell’elusione delle multinazionale e dell’economia digitale.
– All’Università ho continuato, tuttavia, a dare il massimo e allevare studenti. Né ho smesso di produrre saggi di economia internazionale che sono destinati a essere riversati in un libro organico su “Il ruolo del dollaro nel sistema monetario internazionale”, che è pronto all’80% da qualche anno, ma che devo trovare la determinazione e il tempo per portare a termine, cosa che non mi è facile per l’impegno che ho messo in questi anni a tenere viva una cultura critica nella sinistra..
– Molto tempo mi è stato sottratto da ambizioni scientifiche dall’urgenza di reinterpretare l’esperienza parlamentare in chiave politologica, con saggi sul ruolo delle organizzazioni di interesse nel processo legislativo, sul ruolo della fiducia e le aspettative nella politica, sul ruolo del Parlamento, sugli intellettuali nella politica, sul “programma e il popolo indistinto”. Ormai la politica degenerava e scadeva di qualità (anche se non era stata eccelsa prima). Il periodo di opposizione, successivo alla sostituzione dell’Ulivo nel governo del Paese, è stato il più oscuro e privo di idee., per cui non mi ha meravigliato che il Pd nascesse senza una cultura, un programma, un’organizzazione. Al velleitario tentativo di riflettere sulle linee per ricostruzione di una cultura politica critica ho dedicato tre libri, il primo nel 2009 (forse quello a cui più sono affezionato), l’ultimo (Regole, Stato e uguaglianza) a luglio 2016.
– Tempo ed energia ho dedicato e sto dedicando a un network informale (“Ripensare la cultura politica della sinistra”), nato su mia sollecitazione nel 2014, è costituito da studiosi e personalità di primo piano che si riconoscono nell’intento di mantenere viva e rinnovare la cultura critica della sinistra, proponendo analisi ed elaborazioni che vadano oltre i temi suscitati dal giorno per giorno. Il livello di elaborazione di questo network è stato altissimo. Del network continuo a animare l’attività. Ora l’impegno principale è reintrodurre nell’orizzonte politico una riflessione su come e dove identifichiamo il socialismo nelle condizioni odierne.
Sono ora in pensione ma se il giorno durasse 48 ore le impiegherei tutte (e non mi basterebbero)
Salvatore Biasco
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(giovedì 8 settembre 2022)
Ciao Salvatore