Vladimir Delman scompariva venticinque anni fa, a Bologna. Con lui moriva un amico che mi ha cambiato la vita: mi diceva sempre che “la musica per te diventerà come una droga: non potrai farne a meno per tutta la vita”. Ed è stato proprio così: Volodia mi ha fatto amare la musica in un modo straordinario. Mi ha fatto conoscere autori che io sottovalutavo, mi costringeva ad andare con lui a sentire concerti diretti da altri direttori e poi mi spiegava meriti e pregi della direzione d’orchestra. Amava talmente la musica, in maniera esclusiva ed ossessiva, da non accettare alcun compromesso: se le regie d’opera non gli piacevano, abbandonava il teatro; se non gli davano il numero di prove che lui desiderava, non andava a dirigere, anche se l’orchestra era blasonata. Dicevano che aveva un carattere difficile, ma in realtà diventava tenerissimo quando si parlava di musica: per la seconda stagione della Verdi voleva eseguire la Passione secondo Giovanni di Bach, che insieme alla Nona di Beethoven, considerava il vertice della letteratura musicale. Dopo il primo concerto della Verdi, gli regalai la copia fotostatica della partitura della Nona e lui mi rispose che non poteva aprire quel libro finché non avesse avuto “il cuore e la mente puliti”. Non gli interessavano i soldi, non li voleva: bastavano pranzo, cena e l’albergo, per il resto erano le prove d’orchestra il suo compenso. E lì diventava esigente fino allo sfinimento. Per lui non si dovevano suonare le note, bisognava fare musica. Se hai scelto di fare il musicista (professore d’orchestra, solista, direttore), devi portare la croce: studiare sempre per ottenere musica, per trasmettere sentimenti, emozioni, paure, angosce, gioie, amore e delusione; non sei un impiegato, sei una persona che deve trasmettere, attraverso le note, la musica, la vita. Mi ripeteva: “Pensa se nella nostra vita non ci fosse la musica; sarebbe la morte di ogni emozione”. Voleva un orchestra di giovani per fare musica, per fare una vera orchestra sinfonica, che a suo dire mancava in Italia. Le orchestre esistenti pensavano solo alle questioni sindacali, ai soldi, alle ore di prova, alle ferie, ai riposi: non pensano alla musica – diceva – non pensano alla qualità. Non pensano a quello che devono trasmettere al pubblico: quando una orchestra non pensa più a quelli che ti vengono a sentire, ma pensa che sia un lavoro, affrontato anche con un certo fastidio – uffa, anche stasera un concerto -, allora l’orchestra è finita, perché il pubblico avverte subito che non stai facendo musica, non trasmetti emozioni. Cercava, in tutte le maniere, le sfumature, i colori, dai pianissimi che più piano non si può, ai fortissimi, con tutte le varianti dal mezzo piano al mezzo forte, ai silenzi. Per lui una vera orchestra doveva saper dominare tutte le espressioni della vita: noi parliamo, gridiamo, sussurriamo, piangiamo, sorridiamo, gioiamo, siamo tristi, preoccupati, angosciati, innamorati, felici – poche volte – e la musica deve saper essere tutte queste cose. Basta ascoltare il suo amato Ciaikovskij, le “Sei magnifiche”, per capire cosa intendeva Delman: e non era solo il suo spirito slavo che emergeva, fatto anche di una triste dolcezza, era il suo amore per la vita, per la musica nella sua massima espressione. Ascoltate il suo Oneghin, indimenticabile, con una grandissima Mirella Freni, e un’opera tanto amata da Delman quanto poco eseguita: “Iolanta”.
Per quattro anni, Volodia, quasi ogni giorno, mi parlava della necessità di fare una orchestra di giovani, e, a suo modo, agitava la sua testa bianca e la sua lunga barba bianca, argomentando con ragioni sociali, politiche, musicali e artistiche. Aveva una passione per la politica, e mi diceva che il comunismo, non quello dell’Urss, era una buona cosa, che noi in Italia buttavano via tutta la nostra storia e la fortuna che il buon Dio e la mamma ci avevano dato. Per questo, bisognava fare una orchestra di giovani: tra le prime venti orchestre del mondo non c’è nessuna orchestra italiana, e con il lavoro, per i primi dieci anni a farli suonare insieme, per i secondi dieci anni a formare l’orchestra, faremo un complesso sinfonico fra i primi nel mondo.
A me Volodia è mancato come amico, ma alla cultura e alla musica è mancato un Maestro.
Luigi Corbani
E’ stato un grande direttore d’orchestra.