Come ho letto nel blog de “il migliorista”, il combinato disposto dell’ideologia della decrescita (in)felice e di quella del giustizialismo ‘a prescindere’ sta massacrando il Paese.
Aggiungerei che il furore ideologico nostrano e l’ignorante indifferenza della classe politica domestica non hanno eguali in Occidente e stanno assassinando l’economia nazionale, aprendo ampi spazi a sistemi nazionali ben più solidi e razionali del nostro.
Mentre noi siamo ancora dibattendo su come buttare altri miliardi di soldi pubblici nella voragine Alitalia, i francesi si prendono FCA con Peugeot, puntano alla cantieristica, governano ampie porzioni del sistema bancario e assicurativo italiano, hanno soppiantano Leonardo (ex Finmeccanica) in mercati lucrosi e hanno messo da tempo nel mirino l’ENI che ha estromesso la TOTAL dall’Africa, dal Golfo e da altre regioni dove i francesi erano padroni. E mentre questo accade, l’ENI, unica multinazionale italiana leader nel mondo e impegnata in una vera e completa virata verso l’economia circolare, viene inseguita dalla Procura di Milano per ipotesi di reato di presunta corruzione internazionale sulle quali indaga da anni senza giungere a conclusioni e sulle quali già il Department of Justice USA, la FBI e Scotland Yard hanno detto e scritto che non hanno trovato alcun riscontro oggettivo. Ricordiamo di passaggio che già Finmeccanica fu inseguita dalla Procura di Busto Arsizio per un presunto caso di corruzione internazionale, fu decapitata dai vertici, fu mutilata dai mercati più interessanti per danno reputazionale per poi scoprire a sei anni di distanza che il reato non c’era. Tutti assolti. Ma l’azienda non c’è più (almeno com’ era prima).
E’ chiaro che la Magistratura fa bene a inseguire i malfattori e i criminali economici e finanziari, anche se spesso con una certa fenomenologia carsico-giudiziaria (ci si potrebbe chiedere che fine hanno fatto i processi sulla Banca popolare di Vicenza o su altri casi del genere, ad esempio). Si ha però la sensazione che spesso non si valutino a sufficienza gli effetti di una persecuzione che dura anni e che si accanisce senza esito su aziende strategiche per il Paese.
Questo è il caso dell’ILVA.
Nulla da eccepire dalla politica e dalla Magistratura fin quando ILVA era statale e alimentava un fitta schiera di soggetti da indotto locale. Ma, non appena diventata privata con Emilio Riva, si è scatenata una tempesta giudiziaria che ha portato dopo anni all’esproprio dell’azienda, alla gestione commissariale e alla gara internazionale poi vinta da ArcelorMittal. Non entriamo qui nella discussione di dettaglio su quanto inquinasse l’ILVA davvero (ma non solo con la gestione Riva, già da ben prima) e sulle scelte spesso discutibili di quell’imprenditore.
Consideriamo la nuova stagione della serie. La gara internazionale di cui sopra è durata mesi. Avevano partecipato solo due soggetti – dopo che in precedenza era stata tirata dentro per i capelli la turca Erdemir che neppure si era presentata in audizione con il Governo – di cui una offriva minori garanzie e minor valore per le casse dello Stato: ArcelorMittal fu considerata più affidabile e offriva di più. Questi i fatti.
Il contratto con il quale ArcelorMittal ha rilevato la gestione di ILVA (per il momento in affitto) e stipulato con il Governo in carica allora (presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio) prevedeva due cose sostanzialmente: l’impegno al risanamento ambientale dell’area industriale entro certi parametri e certi tempi stabiliti dell’AIA e, correlata a questo piano, la protezione legale prevista dall’articolo 25,9 del Contratto a tutela del nuovo management per tutto quanto potesse venir provocato da una situazione pregressa e non ancora sanata e una serie di investimenti di miglioramento degli assetti produttivi e di innovazione dei processi. La clausola di salvaguardia era a tempo, dunque, con una scadenza, e condizionata dall’esecuzione del piano di risanamento. Non una immunità penale fine a sé stessa e illimitata. Ne sa qualche cosa il prefetto Ferrante che, operando prima che una clausola di questo tipo venisse adottata anche per i commissari, sta passando seri guai giudiziari.
Ora, questa clausola è saltata per volontà del Governo attuale e della maggioranza che lo sostiene che, però, nel frattempo è cambiata. Infatti, hanno votato a favore dell’abolizione della clausola di salvaguardia il Movimento 5 Stelle, il PD e Italia Viva. Ma anche la Lega ha votato in Parlamento per l’abolizione della clausola . Ora tutti nascondono la mano, ma hanno consapevolmente votato per banali ragioni elettorali. O questi politici vivono in un mondo di panna montata, da talk show permanente e pensano davvero che questi gesti non abbiano conseguenze come le chiacchiere che si scambiano in televisione?
Come dimenticare, ad esempio, le bordate di Michele Emiliano contro l’industria in generale e contro ILVA/ArcelorMittal in particolare? Come dimenticare quelle del suo sodale Francesco Boccia (oggi Ministro di questo Governo) che si accodava e che non più tardi di pochi giorni fa a proposito dell’investitore ArcelorMittal dichiarava con orgoglio “tornino da dove sono venuti”? Non meno irresponsabile, il loro, dell’atteggiamento costante del Movimento 5 Stelle, sia all’opposizione, prima, che al Governo, poi.
Il pregiudizio antindustriale, in sostanza un pregiudizio antisviluppo, è ben radicato in modo trasversale nella nostra classe politica che alla fin fine è statalista, assistenzialista e per nulla liberista. Non sembra possedere nemmeno più una cultura giuridica: “pacta sunt servanda” è un motto desueto.
Ma se vengono massacrati i campioni nazionali dell’economia, se si spaventano e si irridono gli investitori internazionali (quelli veri, che portano soldi, know how e progetti), che futuro sta realizzando la nostra classe politica per questo Paese?
Un futuro da Paese colonizzato, depauperato, depresso. La depressione porta a gesti insani, come a negare la democrazia in un mondo che invece la pretende, a invocare soluzioni sovraniste in un mondo globalizzato e a idealizzare la decrescita in comunità chiuse in un mondo sempre più aperto, mobile e affamato di sviluppo.
Pepito Sbazzeguti
(martedì 5 novembre 2019)