Sarà per il mio pregiudizio antimonarchico o la mia ostilità ad ogni cosa che evochi l’aristocrazia – colpa delle mie origini proletarie e della mia passione laica per la rivoluzione francese – ma il nostro Premier Conte, nomen omen, non lo digerisco proprio.
Apprezzo la sua eleganza, la sua sobrietà nei gesti, negli atteggiamenti così in contrasto, e meno male, con i modi rustici e buzzurri del suo vice legaiolo, così insopportabili da ogni persona civile, o con lo stato di confusione mentale che caratterizza l’altro suo vice grillino.
Quello che proprio colpisce è il vuoto di pensiero, per non dire di azione. Beh, forse non è neppure proprio vero, considerata la sua ostentazione del culto per Padre Pio
Va riconosciuto, anche, in effetti, che ci vuole una certa abilità per riuscire a parlare senza dire nulla. Non dice niente, ma lo dice bene. Una volta, nella prima repubblica, solo Forlani ci riusciva, vantandosene. Una caratteristica, questa, che ritroviamo anche nella sua stoica opera di mediazione del nulla, che ha il solo scopo di rassicurare che va sempre tutto bene.
La stessa soluzione, finalmente arrivata oggi, per i danneggiati delle banche, aldilà di quello che se ne può pensare, è di Tria e solo di lui. Eppure mentre i vice lo maltrattano ingenerosamente, Conte si affanna a prendersene il merito…una cosa non proprio nobile…
In verità va detto che, ogni tanto, soprattutto sulle questioni più controverse, ripete che sarà lui a decidere. E si spinge fino a dare anche delle scadenze, che sistematicamente non rispetta. Ed è evidente che lo fa per convincersi che il premier è lui, pensando che basti. Ma se non prende lui le decisioni, che è il capo del governo, chi dovrebbe prenderle, l’usciere di Palazzo Chigi?
In verità è noto che quel poco che si decide nel governo gialloverde, nel bene, poco, o nel male, tanto, lo si deve ai suoi due vice, i veri driver che fanno, come è stato già scritto sul “Migliorista”, come i ladri di Pisa: il giorno litigano, la notte vanno a rubare assieme.
Lui no. Lui non entra mai nella rissa. Media, media, media con parole senza senso, come ogni giorno ci ricordano, in RadioUNO, quelli di “Un giorno da pecora”. In compenso lo fa con l’aplomb di quell’aura vagamente nobile, di quelli che vestono abiti di sartoria, ma sono notoriamente privi di consistenza e soprattutto di senso della realtà. E qualche volta anche del ridicolo.
Con questa vaghezza però gira il mondo, incontra i potenti, molto più scafati di lui, ai quali si presenta bene, e che quindi ricambiano cortesia, sapendo bene però che non conta nulla. Una situazione, anche psicologica, che talvolta, per tirarsi un po’ su, si vede costretto a vantare come successi, autentici disastri.
Chi non ricorda il suo esordio al Consiglio europeo, quando accettò un accordo col quale si trasformava il ricollocamento obbligatorio degli immigrati, che con fatica era stato ottenuto dal precedente governo, in ricollocamento volontario, vantandolo come un grande successo… O come nella intricata crisi libica, dopo il flop della conferenza di Palermo così malamente preparata, lasciava intendere, con un dilettantismo inaudito, di averla praticamente risolta. Talmente risolta che ormai siamo alla guerra civile.
Per non parlare di Tav, di Diciotti, della penosa esibizione del cartello inneggiante al “decreto Salvini”, non del governo…, sulla sicurezza…sicurezza si fa per dire. Per non parlare d’altro.
Tutto sommato in questo stile di immagine e di “innovazione” di look politico, possiamo vedere, con qualche sforzo, la sua interpretazione della virtù grillina dell’onestà, del perbenismo anticasta, e quindi del “cambiamento epocale”, come dice facendo eco a Di Maio, verso le magnifiche sorti e progressive…. di questo paese che, dice, avrà un anno bellissimo, ma che, lui e i suoi accoliti, stanno mandando a ramengo… Un ossimoro, che potrebbe far pensare male, ma che invece sarà segnato dalla felicità dell’incoscienza e, quindi, inevitabilmente dell’impoverimento generale. E meno male che c’è il reddito di cittadinanza!
Mi viene da pensare però che ci possono essere anche storie ed esempi di vera nobiltà, e vera onestà, molto belle e anche divertenti.
Era sindaco del comune di Foiano della Chiana, nel contado aretino della Toscana degli anni 60 e 70, un personaggio del vecchio PCI divenuto anche parlamentare. Un uomo molto amato e stimato dalla sua gente.
Ancorché di cultura precaria, era amato e stimato non solo per la sua integerrima onestà, ma anche perché era sempre impegnato, attivo, instancabile, costantemente presente sui bisogni della sua comunità. E per quanto ideologicamente e rigorosamente collocato, come lo erano allora saldamente i funzionari del PCI, per il bene della sua comunità, non disdegnava accordi con interlocutori socialmente e ideologicamente distanti da lui. Non mancava di senso pratico e della realtà, e per il bene della sua comunità, era disposto a superare ogni steccato posto dal pensiero politico che aveva sposato.
E così, tra le tante cose, promosse anche la realizzazione di una scuola materna, grazie ad una donazione della contessa storicamente e solidamente insediata nella zona. Un incontro, insomma, di valori morali e sociali, in un’opera socialmente importante, fra due figure che più diverse non si potevano immaginare, ma che avevano finito per convergere su una buona impresa.
Un tosto sindaco comunista e una nobile contessa di alto rango nobiliare, oltreché di grandi proprietà nel territorio, ma anche di sensibilità umana. Ma all’inaugurazione accadde una cosa buffa.
Nel discorso al momento del taglio del nastro, il sindaco si rivolse alla contessa esprimendole tutta la sua gratitudine, dicendole che lei era la “grande meretrice del paese”: “Ma cosa dice signor Sindaco”, si risentì subito la contessa. Lui, però, sincero e convinto, quanto inconsapevole, insisteva mettendo un altro carico nella gaffe. “Lo lasci dire a me, contessa, che la conosco molto bene, lei è davvero la nostra grande meretrice”.
Chissà se mai la cosa sia stata chiarita al sindaco, ma è da supporre di sì.
Di certo onestà, valori e ranghi sociali, nobiltà o …miseria plebea, ideologie, politiche, tolleranza, ma soprattutto senso del bene comune possono davvero essere fattori di cambiamento e di progresso vero, se mossi da onestà di intenti e non da cinismo, quando si misurano sui bisogni veri delle persone e non sulle chiacchiere e le fanfaronate.
Anonimus