Ci avete badato? Un po’ tutti i leader politici danno per scontato che ci siano 40 miliardi di extraprofitti delle imprese energetiche, maturati nell’ultimo trimestre del 2021 e nel primo del 2022, meritevoli di un prelievo fiscale. Il Governo lo quantifica nel 10%, l’Avvocato del Popolo, ovviamente, alza l’asticella: 25%.
In un regime democratico, la politica ha tutto il diritto di azionare la leva fiscale nel modo che ritiene migliore per il Paese.Saranno gli elettori a premiare o punire con il voto chi la indovina e chi no, avendo come cartina di tornasole gli effetti delle manovra sull’economia e sulla società.
Quello a cui la politica non ha diritto è inventarsi basi imponibili che non esistono, perché poi tutto diventa una farsa. Nel decreto, ancora da convertire in legge, si individua l’extraprofitto delle aziende energetiche nella differenza tra entrate e uscite soggette a IVA quando superi di una certa percentuale il saldo precedente (fatto in piena pandemia) nei sei mesi precedenti. Dunque, anche se non ben specificato, si intende colpire le attività italiane. Per capirci, quanto guadagni o non guadagni l’Enel in Cile o in Texas non interessa al Fisco italiano. Idem per l’Eni in Egitto o in Angola. Bene, ma limitarsi al consolidato IVA può rivelarsi fuorviante. Esso, evidentemente, non rappresenta il bilancio di una società nel suo complesso. E non tiene conto nemmeno dei miglioramenti che il management può aver introdotto, svolgendo il compito per il quale viene pagato. Tutto extra? Ma non facciamola troppo lunga.
Stiamo agli utili consolidati (dunque comprensivi dell’estero) di Enel ed Eni. Per il volgo, l’extraprofitto è un qualcosa che si aggiunge al profitto per così dire normale. In ogni caso, essendo la somma di profitto normale ed extraprofitto, l’utile netto ufficiale dovrebbe essere maggiore di ciascuno dei due addendi. Ebbene, nel 2021, Enel dichiara un utile netto di 3,2 miliardi, con un margine operativo che migliora un po’, ma solo un po’, grazie al guadagno fatto vendendo la partecipazione in Open Fiber. Con ogni probabilità, le centrali idroelettriche italiane hanno reso molto, potendo vendere l’energia elettrica al prezzo che, nel nostro sistema, viene determinato dalle centrali a gas. Il “costo dell’acqua” è stabile, quello del gas no. E adesso vola. Ma il margine operativo è quello che è. Vorrà dire che gli altri affari dell’Enel non sono andati altrettanto bene. Prima di dire che Enel ha fatto extraprofitti, bisognerebbe guardare al bilancio nel suo complesso. Oppure, ma questo riguarda il futuro, cambiare le regole del mercato elettrico.
Eni dichiara un utile netto di 4,7 miliardi. L’impennata dei prezzi dell’oil&gas gli ha certamente giovato così come in altri tempi i prezzi dell’oil&gas al ribasso l’avevano penalizzato. Eni migliora nettamente il margine globale, realizzato per lo più all’estero. D’altra parte, com’è noto da anni, le attività italiane del Cane a sei zampe non rendono granché. Sarebbero da vendere, se la politica non lo impedisse. Si può comunque immaginare un certo miglioramento delle vendite dei prodotti petroliferi in Italia. Ma insomma…
Terna e Snam sono remunerate a RAB (Regulated Asset Base), dunque non dovrebbero essere toccate dall’andamento dei prezzi dell’oil&gas e dell’elettricità. Se tuttavia si ritiene troppo generosa la individuazione della RAB e la sua remunerazione, la si riduca, ma senza parlare di extraprofitti legati alla congiuntura dell’oil&gas.
Più o meno lo stesso si può dire di Italgas. Poi ci sono le altre aziende del settore elettrico: Edison, Hera, A2A, Acea, Iren, le ex municipalizzate minori, Erg, Falck Renewables. Hanno guadagnato bene, ma sono molto più piccole di Enel ed Eni. Sommando tutti i loro utili si superano di poco i 2 miliardi. Infine, ci sono le filiali italiane delle oil company internazionali Esso, Shell, Total, Repsol, etc., che hanno le loro catene di distribuzione qui come in tanti altri Paesi. Ma è noto che le filiali pagano il rifornimento alle case madri ai prezzi di mercato trattenendo un margine minimo.
Pertanto, se pure con impeto giacobino considerasse extraprofitto l’intero utile netto di tutte queste società, il Fisco avrebbe una base imponibile di 10-12 miliardi, larghissimamente inferiore ai famosi 40 miliardi di cui si parla, per questa speciale imposta che si aggiungerebbe a Ires, IRAP e imposte locali.
Se a questa somma forzosa degli utili, rinominati extraprofitti, il Fisco applicasse l’aliquota del 10%, di cui al decreto citato, il Tesoro incasserebbe un miliardo o giù di lì invece dei 4 sbandierati. Naturalmente, il consolidato IVA darà numeri diversi. Siamo curiosi di vederli nel quadro dei bilanci.
E senza dimenticare la vicenda della Robin Hood Tax. Ricordate? Era quello un prelievo sui ricavi delle società energetiche. Con tale prelievo, che era comunque più chiaro di questo, il ministro Tremonti voleva puntellare i conti pubblici. La Corte Costituzionale stabilì che il prelievo non poteva essere applicato prima dell’entrata in vigore della norma. Il Tesoro si trovò a dover rimborsare qualcosa. Avrà cambiato parere, la Suprema Corte, con Mario Draghi al governo? Forse, se serve un contributo straordinario delle imprese, di tutte, non solo di quelle energetiche, sarebbe meglio varare un’imposta speciale una tantum quale contributo di solidarietà. A parità di aliquota avrebbe pure un gettito maggiore.
Devil
(lunedì 11 aprile 2022)