In Umbria ha vinto il centrodestra come facilmente prevedibile (una débâcle di Forza Italia e il raddoppio dei voti di Fratelli d’Italia). Il centrodestra già governava in due terzi dei comuni umbri. La Lega dunque è il primo partito con 60.000 voti ovvero il 15% in più del PD secondo partito, (alle politiche 2018 il PD era ancora il primo partito); terzo partito Fratelli d’Italia con 43.000 voti e il 10% dei voti validi. Le 5 stelle hanno dimezzato i loro voti: sono al 7,5%: del resto era evidente che non credevano nell’accordo e palese era il loro disimpegno nella campagna elettorale.
Come al solito, in omaggio a una antica e sbagliata consuetudine, retaggio di una cultura politica e istituzionale primitiva, il voto di qualsiasi località dell’Italia vale come voto nazionale: anche se si vota a Maccastorna, si traggono conclusioni per il quadro politico nazionale. In Germania non chiedono le dimissioni del governo Merkel dopo le elezioni in Turingia: si interrogano giustamente, cosa che dovremmo fare anche noi europei, sullo scenario particolare delle elezioni in un Land, al centro della Germania con quasi tre volte gli abitanti dell’Umbria e grande il doppio: forse dice qualcosa il nome di Erfurt, di Eisenach, di Weimar, di Buchenwald. Qualche rilievo maggiore dell’Umbria ce l’ha (e non me ne vogliano gli umbri), questa regione nel cuore dell’Europa, a cui dovremmo prestare maggiore attenzione, come del resto agli altri fatti del mondo. Dalla morte del capo dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, alle elezioni in Argentina, dove ci sono quasi settecentomila italiani (come gli aventi diritto al voto in Umbria) che votano sia per il presidente che per il parlamento italiano.
Certo, il voto in Umbria si è caricato di significati extraregionali, quando si è inventata la coalizione PD-5S a seguito della formazione del governo: mettersi con quelli che chiedevano le dimissioni del presidente PD uscente non è stata una grande furbata, anzi è stata la mossa del disperato che sta annegando. Del resto, anche la sfilata finale, a Narni, quando tutti sapevano della sicura sconfitta, non mi è sembrata una genialata. La vicenda della richiesta delle dimissioni della Presidente Marini, da parte del PD, mi ha ricordato un film già visto: a Roma, con le dimissioni di Marino, si è aperta la strada alle 5S, e qui in Umbria alla Lega e al centrodestra. E se si decide che il Presidente deve dimettersi, per una inchiesta della magistratura inquirente e prima ancora che la vicenda sia conclusa con una sentenza della magistratura giudicante, allora si deve fare una campagna diffusa e insistente per spiegare a tutti i cittadini umbri, comune per comune, la scelta, altrimenti diventa una “accusatio manifesta” e significa darsi una mazzata sui piedi da soli. Tutta la vicenda del tira e molla sulle dimissioni, sul ritiro, e poi di nuovo sulle dimissioni non ha certo deposto a favore del PD, che ha dimostrato un totale stato confusionale: “una condizione in cui non si riesce a ragionare in modo chiaro e rapido. E che può presentarsi come un senso di disorientamento oppure con l’incapacità di rimanere concentrati, di ricordare eventi o di prendere decisioni, e può essere associato a comportamenti inconsueti”
I “governisti”, a tutti i costi, pensano che Di Maio non sia male (studia, si applica) e che la alleanza con le 5S formi “un campo progressista”, una alleanza strategica per il futuro, facendo balenare un elettorato sovrapponibile, coincidente, collimante dei due partiti: “mischiare gli elettorati“, sic!
E gli elettori ligi ai dettami di Bettini hanno eseguito: i 5S votano di più la Lega che il PD. È un caso solo dell’Umbria? O forse sono più ”contigui” i voti tra Lega e Pd ? Basta vedere che la Lega va meglio nei comuni piccoli e medi, mentre il PD va meglio nei Comuni sopra i 15.000 abitanti: il voto del Pd decresce dal centro dei grandi Comuni verso le periferie.
“Solo allargando il campo democratico si può sfidare Salvini”, dice Bettini ed è una affermazione quanto mai discutibile: che vuol dire campo democratico ? Salvini non è nel campo democratico ?
Un altro, che vuol fare il Ministro e vuole dettare la linea politica, afferma che nonostante il cattivo esempio dell’Umbria, bisogna andare avanti con l’alleanza con le 5S: “L’onda di destra si ferma con il buon governo e con l’allargamento e l’apertura delle alleanze, non di certo ridividendoci”. Sull’onda di destra vale la pena tronare ma non credo ci sia da dolersi se le 5S non vogliono fare alleanze locali con il PD: nelle regioni sono sempre andati male e, se le 5S fanno “liste civiche”, buon pro sarà anche per il PD.
Mi permetto di dire che il segretario del PD farebbe bene ad affermare subito, a scanso di equivoci ferraresi, che il candidato in Emilia Romagna è Stefano Bonaccini; si possono fare tutte le alleanze del mondo, ma con un dato certo: la riconferma del Presidente uscente dell’Emilia Romagna.
Quella con le 5S non può essere una alleanza strategica, e sarà bene che qualcuno del PD se ne faccia una ragione. Ha ragione Cerasa quando dice che “la forza della Lega di Salvini non è la conseguenza di questo governo ma è la causa. Il governo è nato per non dare pieni poteri a Salvini”. Aggiungo che non è nato neanche per dare tutto il potere di veto o di interdizione a Di Maio o a Renzi, o nemmeno per essere in balia di chi vuole mettere le bandierine. Lo spettacolo della discussione sulla manovra economica è stato inverecondo: 5S e Renzi che tirano la coperta da una parte e dall’altra, e sull’abbrivio della scissione qualcuno si è lanciato a definire il PD il “partito delle tasse”, tanto per non farci mancare niente a sinistra e dando un assist a Salvini.
Giustamente Zingaretti ha detto che “non si può governare tra avversari e nemici. Occorre voltare pagina: l’alleanza non può essere un campo di battaglia quotidiana”. Ed è bene che i Ministri facciano i Ministri e lascino la politica ai partiti e ai gruppi parlamentari. Troppo spesso invece i Ministri lasciano campo libero ai segretari generali dei Ministeri e loro si dedicano a coltivare le loro ambizioni personali, il loro ruolo politico, e non parlo solo di Di Maio (la funzione di capo politico e di Ministro non è compatibile in un sano “campo democratico e istituzionale”).
Dieci giorni fa, avevo suggerito al segretario del PD di fare una contromossa, di fronte a quelli che tendevano a smarcarsi dalla manovra di bilancio: ritirare la delegazione dal governo e appoggiare dall’esterno il governo Conte II. Nel contempo, promuovere un congresso straordinario, per realizzare un vero dibattito tra iscritti e simpatizzanti, su valori e ideali, su progetti e programmi, su istituzioni e politica, su regionalismo ed europeismo: quello che non c’è mai stato, a mia memoria.
Capisco che è difficile schiodare alcuni dai loro posti di Ministro, ma, allo stato delle cose, dei continuo distinguo degli alleati che finiscono per dare l’immagine di un governo, confuso e debole, è un passaggio necessario, anche per mettere tutti di fronte alle proprie responsabilità.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(mercoledì 30 ottobre 2019)