La vicenda delle legge elettorali in Italia, negli ultimi trent’anni, è la manifestazione palese della confusione politica, che trascina con sé il deterioramento delle istituzioni democratiche. Abbiamo avuto dal 1946 al 1993 un sistema proporzionale con cui abbiamo votato per undici elezioni del Parlamento e per i Consigli comunali, regionali e provinciali. In questo periodo l’Italia è passata dalla condizione miserabile del dopo guerra ad essere una delle dieci più grandi economie del mondo.
Dal 1994 stentiamo a stare al passo con gli altri Paesi, siamo sempre tra recessione e stagnazione, ma grazie a un sistema fiscale che fa acqua da tutte le parti, ai condoni, alle sanatorie, all’assistenzialismo di Stato, nonostante la presenza dominante della criminalità organizzata in quattro regioni del sud, il Paese sta a galla e gli italiani se la cavano, indifferenti al caos politico che loro stessi generano. Sia chiaro, non è colpa degli italiani, ma delle élite politiche e culturali, dei mass media, delle vere “caste” esistenti, che dal 1993 hanno diffuso a piene mani il disprezzo nei confronti della politica e hanno proposto agli italiani varie scorciatoie fasulle, per uscire dal marasma.
Dal 1993 abbiamo avuto il Mattarellum (sistema maggioritario con quota proporzionale), il Porcellum-Calderoli (sistema proporzionale con premio di maggioranza, e che dopo le elezioni del 2013, la Corte Costituzionale bocciò per l’assenza di una soglia per far scattare il premio di maggioranza, per la lunghezza delle liste bloccate e per la mancanza dei voti di preferenza), poi l’Italicum (bocciato dalla Corte Costituzionale), e infine il Rosatellum. Diciamo inoltre che non si è mai visto, nel mondo occidentale, democratico, un Parlamento che nella stessa legislatura vota due differenti leggi elettorali. Un record mondiale!
A settembre 2020 il popolo italiano vota la riduzione dei parlamentari e tutti i partiti promettono una nuova legge elettorale. A febbraio, per salvarsi e conquistare i “responsabili”, i partiti del governo Conte (PD compreso) promettono una legge proporzionale. Poi arriva Letta e propone di tornare al Mattarellum (mah!?).
Qualche giorno fa, sento a Zapping-RadioUno, Nicola Oddati, della segreteria politica di Zingaretti, responsabile della cultura e del coordinamento della iniziativa politica (sic! confesso, che non conoscevo questa persona e questi incarichi): difendeva ovviamente la “scossa forte” delle dimissioni di Zingaretti, quest’ultimo descritto come “promotore di Letta”: “lo stesso modo di fare politica” . E vabbè, abbiamo scherzato !
Ma la cosa sorprendente è la cultura istituzionale di uno che ha fatto l’assessore a Napoli, il segretario dei DS, era della segreteria nazionale del PD ed è “zingarettiano” (come si autodefinisce).
La legge elettorale non si fa in funzione della democrazia e delle istituzioni, della Costituzione: democrazia parlamentare rappresentativa o potere esecutivo. No, secondo questo esimio rappresentante del PD (testualmente) “ la legge elettorale è molto in relazione con il tipo di alleanze che si costruiscono. Se si fanno alleanze “leggere”, si fa un sistema proporzionale, e vuol dire che devi cercare in Parlamento le forze per governare. Se, come vuole anche Letta, fai una coalizione, una alleanza più forte, più strategica, hai due schieramenti e allora si va al maggioritario”. Non contento, ripete “la legge elettorale dipende dal tipo di coalizione che si fa, e comunque il sistema maggioritario è da sempre nel DNA del PD” (ma con quali contrappesi, per il controllo dell’esecutivo e per la funzione legislativa, non è dato saperlo)
In conclusione, un partito che si affida alla legge elettorale per la sua sopravvivenza, è un partito che rinuncia a fare politica, a conquistare consenso anche nel settore sociale e culturale moderato, ad esprimere la sua “vocazione maggioritaria”, come dicono nel PD. Pensa solo che la “gggente” lo voti per contrastare la destra. Ma come nel 2018, e in altre elezioni, la cosa non funziona. Piuttosto che fare politica, fare proposte valide per le forze produttive del Nord e non ripetere le solite litanie assistenzialistiche per il Sud, ci si aggrappa alla sesta legge elettorale in trent’anni, calibrata sulla possibilità di battere l’avversario politico.
Nessun Paese occidentale ha prodotto tante leggi elettorali in trent’anni e poi non chiedetevi perché siamo il Paese più assistito dall’Europa, perché all’instabilità di governo si accompagna la instabilità politica.
E non passa nella testa che bisogna disarticolare l’avversario, separare moderati, conservatori e reazionari. No, avanti con un’altra legge elettorale, che farà ricompattare il centrodestra. Ma tanto, l’esperienza di questi anni non serve a nulla: a Roma si pensa solo ai posti nel Palazzo, e Letta pensa anche con la foglia di fico delle donne, di vendicarsi dei “renziani rimasti”, oggi, e nelle prossime liste elettorali, trovando in questo nobile obiettivo l’accordo di tutte le correnti anti renziane.
Ripeto che in 48 anni della “prima repubblica (dal 14 luglio 1946) abbiamo avuto 45 governi con una media di 13 mesi di durata; in 27 anni (dall’11 maggio 1994) abbiamo avuto 16 governi con una media di 20 mesi: Draghi è il diciassettesimo governo della “seconda repubblica”.
Ma va bene così; in fondo, Draghi è una parentesi, poi sarà bello tornare con le 5S, in una coalizione “forte”.
Xenia
(mercoledì 24 marzo 2021)
Secondo te con questa realtà politica, dove esiste una frattura difficilmente colmabile fra realtà sociale e rappresentanza politica, il vecchio sistema proporzionale funzionerebbe ancora? Non credo proprio che sia così. Io rimango ancora dell’idea che la riforma costituzionale bocciata dal referendum del 5 Dic 2015 fosse una buona soluzione
Penso che la riforma costituzionale si dovesse fare per gradi, intanto abolendo il Senato, come abbiamo indicato nella petizione qui in fianco, all’inizio della avventura del Migliorista, nel quadro dei poteri legislativi delle Regioni e di quelli da assegnare sempre più al Parlamento europeo
Si possono dare più poteri all’esecutivo, ma questo deve essere bilanciato da un sistema proporzionale che assicuri , rappresentatività , controllo dell’esecutivo e attività legislativa autonoma, svincolata, per esempio sul tema dei diritti e delle norme fondamentali, dalla esecutivo. Cinque leggi elettorali non hanno dato stabilità di governo e stabilità politica. Abbiamo inventato una formula politica inesistente nella realtà: il “bipolarismo”. In una epoca in cui persino il Regno Unito superava nei fatti il bipartitismo laburisti-conservatori, con l’affermarsi dei liberaldemocratici. Non è con le leggi elettorali che si costruiscono alleanze durature: anche con maggioranze numericamente solide, centrodestra e centro sinistra sono andati in crisi nel corso delle legislature. In un momento in cui la rappresentanza politica è debole ed esposta ad ogni vento, ad ogni sollecitazione e appena dopo le elezioni cominciano a pensare alle prossime elezioni, il sistema maggioritario costringe ad alleanze “di comodo”, alla “desistenza” (come all’epoca del Mattarellum) che si sbriciolano e svaniscono alla prima prova del fuoco (esperienza di questi trent’anni) È la politica che costruisce alleanze di governo, non le norme elettorali: una volta si sarebbe detto che bisogna tornare alla politica con le doti del leone (la forza dei consensi elettorali) e della volpe (l’astuzia, la capacità di compromesso, di mediazione). Con il maggioritario si è costretti a mettere insieme persone e forze che stanno insieme per le elezioni, o ma che il giorno dopo le elezioni si riprendono la loro autonomia. Tanto più dopo l’esperienza Draghi, abbiamo bisogno, per lungo tempo, di un Paese in cui la lotta politica non sia un a priori (lotta di due schieramenti costituiti in base alle convenienze del momento ) ma sia una competizione sui contenuti per avviare il Paese sul recupero di produttività, di crescita economica, di sostegno alle forze produttive e di sistemazione dei capisaldi del convivenza civile (giustizia, scuola, sanità, mezzogiorno) . Non basta il consenso elettorale per governare, occorre politica, strategia, visione del futuro, e capacità di compromesso, di mediazione sociale e politica e direi persino territoriale.E poi bisogna sottrarre ai partiti attuali la scelta dei candidati. La classe dirigente deve essere scelta dagli elettori, anche con le preferenze, e mai più con le liste bloccate, più o meno lunghe.