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Un Presidente per porre fine alla guerra dei trent’anni

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Una sceneggiata ripetitiva e noiosa: personaggi che pensano di dirigere dei partiti (che tali non sono) e mezzi di informazione (pubblici e privati) che, quotidianamente, da due tre mesi a questa parte, ci presentano quei personaggi, davvero in cerca di prestigio o di autorevolezza, e ci raccontano chiacchere da corridoio o fantasiosi scenari.

Antipolitica e apolitica

E trent’anni dopo, siamo ancora qui a discutere  “Berlusconi sì, Berlusconi no”.  Che tristezza!  Sono passate quattro  leggi elettorali  (aspettiamo la quinta) che non hanno fatto nient’altro che consolidare uno pseudo bipolarismo, che genera questa paventata catastrofe. Ma già il fatto che siamo a discutere sul berlusconismo e sull’antiberlusconismo, su una  candidatura,  vera o non vera, probabile o improbabile, la dice lunga sul fallimento di un ceto politico che stancamente ripropone gli stessi temi da trent’anni a questa parte, con un Paese fermo nella sua pigrizia culturale e politica.

La stessa  nascita del governo Draghi era la sentenza di insolvenza del sistema partitico esistente, senza che fosse assicurato il soddisfacimento dei creditori-elettori. E invece di correre ai ripari, sembra che i “partiti” si adeguino a una visione “presidenzialista”, per un mero calcolo immediato.

Trent’anni dominati dalla antipolitica, e Berlusconi fu quello che raccolse il frutto (avvelenato) della negazione del valore della politica e degli strumenti della politica, i partiti organizzati, risultato del combinato disposto mediatico giudiziario che insieme con l’acqua sporca buttava via il bambino.

Grazie anche agli errori dei partiti della “prima” (e unica, peraltro) repubblica, si è aperto il varco agli orrori della “seconda” (fasulla) repubblica.

Scriveva Mario Borsa: “L’apoliticità crea sempre il politicantismo. Là ove il cittadino non è vigile e cosciente, la strada, rimasta senza controlli, è sempre aperta per il demagogo.”

L’antipolitica e la diffusione di una vasta apoliticità, che si esprime persino nella bassa percentuale di votanti nelle elezioni amministrative, sono i tratti dominanti di un periodo in cui il Paese si è fermato ed ha continuato a generare un debito pubblico gigantesco a favore di una ricchezza privata fra le più alte del mondo. Redditi e patrimoni privati, in parte dichiarati, e in parte nascosti, ma accumulati e consumati oltre ogni statistica ufficiale.

Chiacchiere da corridoio e pericoli reali

Però, è bello,  abbiamo talkshow da trent’anni, su tutte le tv pubbliche e private, che passano il tempo a discutere inutilmente, senza approfondire mai un tema.  Sempre con le stesse uguali formule, si hanno trasmissioni inutili, ma anche dannose per una democrazia basata sulla libertà, che non può mai prescindere dalla  responsabilità.  La libertà prima che un diritto, è un dovere, che comporta obblighi e correttezza.

E avanti coi giornali, che perdono lettori, ma che si ostinano a prendere per buoni, nomi improbabili, che poi vengono bruciati, strada facendo, con vari strumenti, mediatici, giudiziari, scandalistici, o con presunti veti, di questo o di quello, addirittura dell’Europa, forse persino della Nato, dell’Onu, della Russia, della Cina o degli Usa. Mah!?

Spero solo che, in questi giorni, non prevalga il solito “generone romano”. con la nomina di un suo rappresentane di Palazzo. Così spero che non si vada a consolidare una prassi figlia della insipienza dei cosiddetti partiti: un presidenzialismo non detto ma praticato  che si manifesta nella nomina di presidenti del consiglio “tecnici” e di governi “tecnici”, che vengono benedetti di fronte al fallimento dei “partiti”.

E la legge elettorale ?

Intanto si dimentica – tutti, giornali, tv, forze politiche, parlamentari –  che ad ottobre 2020, più di un anno fa, un italiano su due (e già questo doveva far riflettere tutti, sul distacco dalla politica e dalle istituzioni del popolo italiano) è andato a votare per la riduzione dei parlamentari: di fatto un italiano su tre ha votato per ridurre a 600 i parlamentari.

Ebbene, in un anno e mezzo,  deputati, senatori e forze politiche non hanno avuto la forza e l’onestà politica di trovare una intesa per una nuova legge elettorale.  Dopo il Mattarellum, dopo il Porcellum incostituzionale, dopo l’Italicum incostituzionale, dopo il Rosatellum, i “partiti” (si dice così, per comodità) sono ancora lì a fare i calcoli su quale legge  farebbe meglio gli interessi del partito o della coalizione di appartenenza. E così è stato per trent’anni con questa fesseria del bipartitismo, pardon del bipolarismo, che poi nel 2018 si è rivelato del tutto farlocco.. Nei calcoli politici di questi giorni, si dimentica che questo Parlamento è stato eletto con un sistema elettorale in cui si premiava la coalizione: prima coalizione il centrodestra con il 37% dei voti; seconda  (si presentava da solo, ma era una sua scelta)  il mov5S con il 32,68% dei voti; terza coalizione il centrosinistra con il 22,86%.

Sarebbe stata cosa buona e giusta  – l’ho scritto nel 2018 – che si desse l’incarico in prima battuta al centrodestra;  e se questo falliva, al M5S;  e poi se falliva anche questo,  al centrosinistra;  e se falliva anche questo, l’incarico a una personalità che ci risparmiasse fin dal 2018 il triste scenario del Conte I e del Conte II. O altrimenti le elezioni anticipate.

Un sistema partitico malsano 

Invece si è andati avanti su una strada che ha portato a una situazione inverosimile.  Inverosimile, in un sistema politico “sano”, fatto di partiti e forze parlamentari con valori, principi e linee politiche definite con quel tanto di utopia, che è parte integrante di una visione strategica, non episodica, o contingente, ma una situazione del tutto  vera per un sistema in cui i partiti sono congregazioni di potere, di individuale sistemazione per il presente e per il futuro.

Oggi alla Camera dei deputati il quinto gruppo è quello misto  (65 deputati, con al suo interno sette componenti). I gruppi, di fatto, sono quindici.

Al Senato il quarto gruppo è quello  Misto (48, con otto componenti) e ci sono, di fatto 16 gruppi. Alla faccia della semplificazione del quadro politico, come rivendicato all’epoca dei referendum per il maggioritario.

Ci sono stati oltre 200 cambi di appartenenza. E pensare che il tutto sia legato ai regolamenti o alla Costituzione che prevede che il parlamentare non abbia vincoli di mandato ( per inciso, a chi dovrebbe vincolarsi? alla lista, al partito, al gruppo, o agli elettori?) è la dimostrazione che la politica è stata espulsa dalla pratica. Essendo i partiti degli enti informi, inconsistenti, spesso insulsi, senza Dna, ecco che le mutazioni spontanee o indotte, spesso evolutive, involutive o  degenerative, spinte dal carrierismo, dall’arrivismo, o dal desiderio di sopravvivenza presente e futura,  sono all’ordine del giorno. Per carità, ci sono anche mutazioni guidate da sane ambizioni o da vere passioni politiche, ma sono manifestazioni minoritarie in un quadro politico veramente deprimente.

Parlamento e magistratura: ritorno alla Costituzione

Bisogna tornare alla politica e oggi con l’elezione del Presidente della Repubblica bisogna chiudere il disastroso trentennio. Un Presidente garante costituzionale che salvaguardi il Parlamento come organo legislativo e non come stanza di ratifica di decreti legge e di voti di fiducia.  Un Presidente del Consiglio superiore della Magistratura che riporti la magistratura, in tutte le sue componenti,  alla concezione costituzionale garantista, che stronchi senza tentennamenti quel “sistema Palamara”, che ha toccato persino gli uffici del Presidente della Repubblica. Un Presidente che riporti la fiducia nella giustizia, dopo che abbiamo assistito a cose che voi umani non avete mai visto e non potevate immaginare: ultima,  il Consiglio di Stato annulla le nomine del Consiglio superiore della Magistratura, che deve reiterarle alla presenza dal Capo dello Stato.

Chiudere la guerra dei trent’anni

Il  Presidente deve accompagnare il Paese fuori dalla guerra dei trent’anni, fino alle elezioni del 2023, in modo di portarci avanti con il PNNR, e con la definizione della nuova legge elettorale per il Parlamento e della legge elettorale per le aree metropolitane, come richiesto dalla Corte Costituzionale.  E dopo le elezioni del 2023 sarebbe buona cosa che il Presidente eletto in questi giorni rassegni il suo mandato – poiché eletto da questo Parlamento, non certo rappresentativo dei nuovi equilibri ideali, culturali e politici del Paese –  in modo che il nuovo Parlamento provveda ad eleggere il Capo dello Stato. E potrebbe anche essere riconfermato quello eletto in queste settimane, per la sua autorevolezza, imparzialità  e terzietà, per aver conosciuto dall’interno il meglio e il peggio  del centrodestra e del  centrosinistra.

E se crediamo che il nostro futuro sia l’Europa, riserviamo Draghi alla guida di una nuova Unione Europea:  una Unione sovranazionale di regioni e autonomie locali federate,  rinnovata dunque nei principi, nella composizione e nelle istituzioni,  e della quale abbiamo assoluto bisogno.

“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi.” “Buona notte, e buona fortuna”

Luigi Corbani

(sabato 22 gennaio 2022)

1 thought on “Un Presidente per porre fine alla guerra dei trent’anni”

  1. eduardo leto ha detto:
    Gennaio 22, 2022 alle 9:20 pm

    ottime considerazioni , grazie .

    Rispondi

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