La confusione politica sotto il cielo è enorme. Lungi da me l’idea di mettere ordine nel caos delle definizioni politiche e delle categorie politiche attualmente usate. Apprezzo molto i tentativi di unire forze sparpagliate e in questo senso va un plauso a chi ha organizzato la maratona “unire i riformisti”. Ma per favore, date a Cesare quel che è di Cesare.
Il termine “riformista” appartiene alla storia del movimento operaio di impronta marxista: “è il movimento politico-ideologico, formatosi nel seno della tradizione socialista, in opposizione al rivoluzionarismo”. Ora, non basta volere le riforme (quali?) per essere “riformisti”. Se mi è consentito, la definizione di “riformista” appartiene prima di tutto a coloro che hanno militato nel partito socialista o che nel partito comunista hanno sposato le tesi riformiste e per questo sono stati bollati come “miglioristi” (un termine che per i rivoluzionari, marxisti, ingraiani, berlingueriani, movimentisti e operaisti era spregiativo). Ricordo che a proposito delle vicende Fiat, per confutare le tesi di Giorgio Amendola, Berlinguer disse in un comizio al Cinema Adriano a Roma che Amendola non sapeva l’ABC del marxismo: ed eravamo all’inizio della sconfitta del movimento sindacale e del PCI, sancita poi dalla marcia dei quarantamila.
Vedere iniziative per unire i “riformisti”, in cui non sono invitati in prima fila, riformisti che hanno pagato anche dei prezzi per i loro ideali fa incazzare e sorridere nello stesso tempo. Se poi vedi gente che nella sua vita ha cambiato tante etichette, ma senza essere mai stato, neanche per sbaglio, riformista, fa ancora di più pensare che sia anche una corsa a riposizionarsi.
In sintesi, riformista è un socialista ed è un democratico-liberale (non liberista) che pone le questioni sociali, della redistribuzione dei redditi, della occupazione, della povertà, della schiavitù, dell’ignoranza, di servizi universali, come la sanità e la scuola, nell’ambito di una economia di mercato, nel rispetto della proprietà privata e di una democrazia parlamentare rappresentativa. Per dirla con Hans Kelsen, “la democrazia giuridico-formale dello Stato (lo Stato di diritto) appare proprio “la forma di Stato della ascesa politica del proletario” e dei ceti medi, in definitiva dei ceti popolari, dico io.
Certo oggi bisogna ridefinire le categorie sociali ed economiche, aggiornare l’apparato ideologico e valoriale dei riformisti, e definire meglio i limiti entro cui operano lo stato e il mercato: definire il “quanto”, nell’epoca moderna e in una dimensione europea della formula di Bad Godesberg della socialdemocrazia tedesca: “mercato quanto più è possibile e Stato quanto è necessario”.
Ma oggi una forza riformista non può che porsi in una logica e una politica europea: per esempio, mi auguro che alle prossime elezioni europee ci siano le liste dei riformisti, sovranazionali, e non nazionali e che ci sia l’elezione diretta del Presidente della Commissione europea.
Nella confusione attuale, oltre al termine riformista, si sono perse le definizioni di moderato, di conservatore, di reazionario (che si confonde con la definizione di fascista).
Non c’è nulla di male a cercare di fare una forza centrista, diversa dalla sinistra riformista o massimalista e diversa dalla destra conservatrice o reazionaria: perché dipingerla come “riformista”?
Non fare l’analisi differenziata della forze politiche in campo è un tragico errore. E un partito può essere certamente progressista, ma è un’altra cosa da un partito riformista.
Perché riformismo non è un metodo, (definizione di Letta), è una politica, una scelta di riferimento sociale, economico, culturale, ideale, di valori: da un partito riformista mi aspetto che, in primo luogo, combatta la schiavitù in cui sono costretti a vivere decine e decine di migliaia di extracomunitari, che combatta il caporalato che non esiste solo nelle campagne del sud e del nord. Mi aspetto, da un partito riformista, che agisca per lo stato di diritto, e capisca finalmente che la scelta non è tra giustizialismo e garantismo. E si potrebbe continuare.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(martedì 23 marzo 2021)
adgnosco veteris vestigia flammae…
C’è molta sofistica in questo discorso. Considero che un alleanza trasversale ( per usare il termine del grande Pannella) anche temporanea, non è un errore, anzi , sa di concretezza, di punti dolenti comuni a persone appartenenti a partiti diversi. Quindi? Ben venga!