Dalle elezioni politiche, nel PD si parla solo di nomi, di candidati a sostituire il successore di Zingaretti, di Martina, di Renzi 2, di Orfini, di Renzi 1, di Epifani, di Bersani, di Franceschini, di Veltroni. Undici segretari in quindici anni. Dopo il governo Prodi II (2006-2008), e l’appoggio esterno al governo Monti (2011-2013), il PD è stato al governo con Letta (2013-2014), con Renzi (2014-2016), con Gentiloni (2016-2018), con il Conte II (2019-2021) e con Draghi (2021-2022). In sintesi, tra le elezioni del 2013 e quelle del 2022, il PD è stato al governo 96 mesi su 115 totali, 8 anni su quasi 10 anni totali. Un bilancio di questa esperienza di governo? Che cosa non ha funzionato nella politica e nei programmi del PD? Meglio non parlarne, secondo gli oligarchi del PD, che hanno trasformato una sconfitta elettorale, in una disfatta e in una tragedia, tanto da non dare vita a un congresso, ma ad una “costituente”, cioè a una assemblea sessantottina per costituire un nuovo soggetto.
O sono in stato confusionale oppure, cosa più probabile, sono i soliti notabili, capi “corrente”, che fanno finta di cambiare tutto, si mettono la maschera del nuovismo, del radicalismo di sinistra, ambientalista, magari anche critico del passato del Pd, e mantenere il loro potere e rilanciare e rafforzare le loro correnti, con le primarie.
Cambiare tutto, ma non cambiare nulla, e poco importa che si vada verso una formazione confusa sia sul piano politico che organizzativo. Su quest’ultimo punto sembra che non interessi nessuno un dato drammatico: cinquantamila iscritti al PD ! Un disastro che non è organizzativo, ma politico: la politica infatti è organizzazione, è costruzione di una vita democratica e di una partecipazione alla elaborazione delle scelte programmatiche, delle alleanze, delle iniziative politiche.
Senza una organizzazione diffusa nel territorio, con iscritti nei circoli, coinvolti ogni giorno, nella definizione della strategia e delle tattiche necessarie, il partito smette di essere tale e si riduce ad una congregazione di oligarchi, impegnati nel gioco delle alleanze di vertice. Al posto del partito si configura uno strumento di marketing politico, finalizzato alle campagne elettorali.
Si cercano i consensi elettorali, non con la politica, con la partecipazione continua di militanti ed iscritti, con il rapporto assiduo con i cittadini nel territorio, ma con gli strumenti della pubblicità, con i social, spesso improvvisando al momento slogans e obiettivi, cercando di aiutarsi con le leggi elettorali, prodotte a ridosso delle elezioni, e concepite (spesso malamente) come strumento per vincere le elezioni.
Di qui il ricorso a cinque leggi elettorali negli ultimi trent’anni (caso unico in Europa), che non sono mai state coerenti con l’impianto istituzionale e costituzionale, ma sempre partorite on lo scopo di vincere le elezioni del giorno dopo. Su un impianto di democrazia parlamentare rappresentativa si sono prodotte leggi di impronta maggioritaria, anteponendo la governabilità alla rappresentatività. Alla fine, dal 1994 ad oggi, non si è ottenuta né l’una né l’altra.
Ed oggi governa chi si è opposto al “Rosatellum”, mentre chi pensava di vincere con questa ennesima legge elettorale si ritrova per la seconda volta all’opposizione, con ottocentomila voti in meno del 2018. e tre milioni e trecentomila voti meno del 2013. La discussione può essere sui candidati?
Meno male che un gruppo di dirigenti del PD ha presentato un documento per “una svolta modernamente laburista”: “Un partito del lavoro contemporaneo, quello dei lavoratori della conoscenza e delle tute blu, e assieme quello di chi lavora molto e guadagna pochissimo, di chi lavora duro e vorrebbe sicurezza, di chi fa part-time obbligatori. Quello delle partite Iva e dei lavoratori autonomi a basso reddito e senza alcun diritto sociale. Quello dei lavori offerti tramite piattaforme digitali e quello dei lavori discontinui e intermittenti. È un partito che fa la sua parte per affrontare i nodi della questione salariale e della bassa produttività, in un Paese con gli orari di lavoro tra i più lunghi d’Europa.”.
Bene, meno male, e anche se nel documento mancano tante cose: una visione innovativa dell’Europa, anche con una riforma delle sue stesse istituzioni; una dimensione politica, sociale ed economica dell’Italia nel Mediterraneo; una politica dell’immigrazione; una politica di sicurezza nelle grandi e medie città italiane; il ruolo della cultura nella formazione della coscienza dei cittadini e la dimensione della socialità di cui il Paese, dopo anni di culture individualistiche, ha un estremo bisogno.
In sostanza, vorrei sottolineare che i problemi italiani, sociali, economici, culturali, istituzionali, ambientali, dei diritti, dell’immigrazione e dei rapporti mondiali, si devono affrontare in una dimensione europea, in una logica di progressiva unificazione europea. E solo con una Europa più forte, anche sul piano di autonomi sistemi di difesa, si può favorire un multilateralismo mondiale all’insegna della pace e di pacifiche relazioni tra i Paesi, tra ovest ed est, tra nord e sud del mondo.
Un partito socialista moderno deve avere saldamente la certezza che solo con una politica di sviluppo economico si creano le risorse per affrontare i problemi sociali e per garantire la crescita civile e culturale Sapendo bene che dove non c’è giustizia sociale non c’è un ambiente giusto.
Senza fughe in avanti, ma con la capacità di coltivare e realizzare in modo graduale obiettivi positivi, si costruisce una forza politica socialista, moderna interprete delle forze produttive, di beni materiali e immateriali, e all’insegna dell’equità.
Ma detto questo, ben consapevole che il meglio è spesso nemico del bene, il documento dei “laburisti” è un grande passo in avanti. Sarebbe però ora che la corrente “laburista” si desse una mossa anche dal punto di vista organizzativo, per rilanciare l’idea, i valori, gli ideali e i programmi e la politica di una forza socialista, democratica. Non bastano i convegni nazionali, per quanto validi culturalmente.
Nel Pd c’è bisogno di una corrente “laburista” (se son vogliamo chiamarla socialista, come dovrebbe essere) che dia battaglia tutti i giorni, anche in Parlamento, nei Comuni, nelle Raegioni, nei circoli. E oggi una corrente “laburista” non può esimersi dal combattere con forza e fermezza sui temi della giustizia, battendosi contro la deriva giustizialista che tanti danni ha creato al Paese.
Una corrente dei riformisti, dei laburisti, dei socialisti, costruita nel Paese, non solo in un convegno romano, potrebbe dare, in questo momento, forza ad una vera e seria identità europea del PD.
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(venerdì 6 gennaio 2023)