Un partito – che si ispira ai valori del lavoro – avrebbe dovuto opporsi alla cancellazione dello scudo giuridico, che c’era dal 2015 a protezione dei commissari: lo scudo copre i top manager e gli azionisti (che vivono all’estero con passaporto straniero), ma anche i capireparto (operai di 7mo livello) che vivono a Taranto.
Un partito “del lavoro” avrebbe dovuto pretendere un decreto per impedire il sequestro di un altoforno, che, secondo la magistratura inquirente dovrebbe essere sistemato entro il 13 dicembre 2019, ma che in realtà deve essere rifatto completamente e, come da piano, ci vogliono tre/quattro anni.
Un partito “del lavoro” avrebbe dovuto dire chiaro che le questioni occupazionali e produttive devono essere trattate dai sindacati con la parte imprenditoriale. Solo in un secondo tempo si può avere il tavolo negoziale con il Ministero della Sviluppo economico e con quello del Lavoro.
Un partito “del lavoro” avrebbe da tempo dovuto dire che, se i sequestri degli impianti sono necessari per tutelare la salute e l’ambiente, non si vede la ragione per cui sono stati bloccati i prodotti finiti per un valore di un miliardo. Così avrebbe dovuto dire che dopo sette anni, ci aspettiamo dei processi e delle sentenze. E che non è una bella cosa che il magistrato inquirente, una volta in pensione, passi nella segreteria del governatore, collega magistrato in aspettativa. E poi quelli della Arcelor Mittal mica sono i proprietari, sono i gestori da un anno: ci sono ancora i commissari, uno di questi è anche commissario dell’Alitalia. Sei governi e sette commissari dal 2012.
Pare che però a nessun importi che l’Italia non sia più tra i primi dieci produttori di acciaio del mondo (siamo stati superati anche dall’Iran): non abbiamo conoscenza di guerre dei dazi e sfide commerciali che stano cambiando il mercato internazionale dell’acciaio. Ma forse non interessa neanche il fatto che abbiamo perduto tra il 2012 e oggi quasi 23 miliardi di Pil, di cui 7,3 nel nord, a causa della vicenda Ilva.
Oggi Marco Bentivogli, segretario della Fim-Cisl, sul “Foglio” ha riscostruito mirabilmente la vicenda Ilva. Dalla vicenda dell’Ilva emerge un combinato disposto di irresponsabilità, di cialtronaggine, di pressapochismo, di menefreghismo, di interessi meschini di parte, di giustizialismo, di scambi di ruolo. Un misto di impreparazione, di arroganza, di presunzione, di demagogia, di fondamentalismo ambientalista e di volontà assistenzialistica di massa.
E tutto precipita perché le 5S vogliono tornare dai loro elettori con una vittoria: avevano promesso di chiudere la fabbrica e con il concorso di tutti, prima della Lega (maggio 2019) poi di PD, Leu, Italia viva (ottobre 2019), forse ci riescono.
Ma è giusto così: se c’è qualcuno che si ostina a produrre, che vada a compare l’acciaio dai tedeschi, dagli svedesi, o dai turchi o dai cinesi ! La cosa più importante è riprendersi quei 61.000 voti e quel 48% che hanno votato le 5S nel 2018, con la parola d’ordine di chiudere l’Ilva.
Tanto c’è il reddito di cittadinanza: in provincia di Taranto 13.326 domande accolte. E c’è anche la pensione di cittadinanza: 1.266 domande accolte. Sono 90 milioni all’anno a carico dello Stato: tutto per persone in stato di indigenza? Forse sì, visto che dalle dichiarazioni dei redditi 2017, appare una provincia veramente in difficoltà estrema: il reddito medio per ciascun componente delle famiglie tarantine è poco meno di 850 euro al mese. Peraltro, solo 4 su dieci persone versano almeno un centesimo di imposta, tanto che le imposte dovute sono inferiori al costo del solo servizio sanitario nella provincia. La cosa curiosa è che i pensionati “dichiaranti” sono il 23% della popolazione e hanno un reddito medio di 17.220 euro, superiore al reddito di 16.506 euro dei lavoratori dipendenti che sono il 32% degli abitanti. Pensate anche che solo lo 0,15% ( 879 persone) superano un reddito di 120.000 euro.
Il dato delle persone in cerca di occupazione (da 15 anni in su) è destinato a salire con la vicenda dell’Ilva: a dicembre 2018 erano 32.000, il 17% della forza lavoro della provincia. Per fortuna che gli stranieri sono pochi e quindi non rubano il lavoro agli italiani: sono solo il 2,5% della popolazione tarantina, e per il 51% sono europei (rumeni, albanesi, polacchi, ucraini e tedeschi).
Quindi non c’è di che preoccuparsi. E anche la confusione non infastidisce. Si vuole la chiusura dell’Ilva, perché uccide, e si vogliono cacciare gli indiani perché sono malvagi e non sanno fare i piani industriali, ma si vuole l’intervento dello Stato, con la Cassa Depositi e Prestiti (ovvero, investire il risparmio degli italiani pensionati in una attività rischiosa, cosa vietata dalla legge). Ma forse c’è l’idea che comunque lo Stato garantirà gli occupati dell’Ilva e dell’indotto (costo fra i 585 e gli 835 milioni all’anno). E poi nessuno sa (e neanche immagina forse ) se la criminalità organizzata punta alla chiusura, allo smantellamento degli impianti e alla bonifica: mano d’opera non qualificata, profitti altissimi, attenzione ambientale zero.
Ma al fondo cosa c’è? Come ha scritto Umberto Minopoli, c’è l’abbandono della cultura del lavoro, della etica del lavoro, del primato dell’industria come fattore di modernizzazione e civilizzazione. Perfino una parte del sindacato è andato verso una demagogia ambientalista e nichilista da ricchi.
La “sinistra” è una entità politica astratta, inesistente: è una invenzione di chi non ha voluto prendere atto che in Italia c’era il movimento operaio organizzato nel PCI e nel PSI, nella CGIL (di Giuseppe Di Vittorio, di Agostino Novella, di Luciano Lama, di Fernando Santi, di Giacomo Brodolini, di Giovanni Mosca, di Agostino Marianetti, di Piero Boni, di Ottaviano Del Turco), nella CISL, nella UIL.
Comunque, è inutile insistere. Qualcuno si appella al “partito del PIL”: ma chi volete che investa in un sud che preferisce (i voti sono lì a dimostrarlo) le cozze e le vongole all’acciaio? Bisogna prendere atto che prevale la logica assistenzialistica, con i soldi dello Stato. Quota 100 e reddito di cittadinanza, cassa integrazione per vent’anni e Alitalia. Fin che la barca va, ovviamente, o meglio finché non si arrabbiano quei 31 milioni di italiani che pagano le tasse.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(lunedì 11 novembre 2019)