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La rabbia degli sconfitti

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Pontida  è stata la manifestazione della rabbia, del rancore verso tutti, del sospetto (verso Berlusconi), ma anche dell’impotenza, della sconfitta e della mancanza di una prospettiva. “Torneremo a vincere!” più che una promessa, sembra un desiderio. Sì, perché fra l’altro quando mai ha vinto? Nel 2018 ha preso il 17% dei voti validi, il 12% degli italiani, con il centrodestra e ha dovuto tradire i propri alleati per andare al governo (trasformismo con doppio salto mortale all’indietro con triplo avvitamento !). Nel 2019, ha ottenuto da sola il 34% dei voti validi, ovvero il 18% del voto degli italiani, ma ha fatto in modo di non contare nulla in Europa: né alleanze, né incarichi. Salvini ha portato all’isolamento la Lega e l’Italia: il capolavoro di un dilettante della politica.

L’insulto (“fa schifo”) del deputato veronese Vito Comencini  al Presidente della Repubblica non si ripara con un “sono toni sicuramente sbagliati” di Salvini o con un “parole sconvenienti” di Calderoli: Anzi si avallano quando si afferma “Però, sento decine (sic!) di persone che chiedono “ma perché non si vota?”. Sono assolutamente convinto che si debba mantenere il rispetto, ma è anche chiaro che la maggioranza (sic!) degli italiani si sente tradita e presa in giro. Siamo sempre lì: perché il Pd è al governo? A una persona normale questa sembra una follia”. Sì, a una persona normale sembra una follia che Salvini abbia servito su un piatto d’argento la possibilità alle 5S e al PD di fare il governo.

Capisco la volontà di giustificare il disastroso autogol di Salvini e della Lega, che si sono accorti dopo l’ultimo minuto, a gara già scaduta, di avere perso tutto, anche la dignità (penoso il ritiro della mozione di sfiducia e le profferte a Di Maio per tornare insieme concedendogli la Presidenza del Consiglio). Ma invece di glissare via, insistere sulla questione del mancato voto significa non avere alcuna prospettiva politica alternativa. Continuare ad ingannare il popolo “leghista” facendogli credere che si sarebbe potuto andare alle elezioni perché lo voleva Salvini, significa non aver capito nulla e ritrovarsi con un solo alleato: la Meloni.

Un partito di una coalizione ha tutto il diritto di sfiduciare il suo stesso governo, ma se chiede e pretende  di decidere quando si deve riunire il Parlamento, se vuole che si vada  alle elezioni (non per ragioni valide, perché non c’è alcuna maggioranza parlamentare, ma perché pensa di avere un proprio vantaggio elettorale)  e se vuole imporre quando si deve andare alle elezioni, prevarica la Costituzione e le istituzioni democratiche e, tutto questo, con l’esplicita affermazione di gestire le elezioni con il suo Ministro dell’’Interno, visto che nessun leghista si è dimesso prima che Conte desse lui stesso le dimissioni.

Se qualcuno ritiene che queste prevaricazioni siano quisquilie, dimostra di non capire che, prima della politica, viene il rispetto e la difesa delle regole costituzionali, delle regole per tutti. Io sono sempre dalla parte di chi combatte contro i prepotenti e gli arroganti: non così il professore snob , che per polemica nei confronti del PD sottovaluta la forte componente illiberale e anticostituzionale del fallito “golpe” leghista. Ma il professore snob è andato in soccorso del leghista,  dicendo che il PD ha un rapporto particolare con il capo dello Stato, “da molti anni vero dominus incontrastato (perché di fatto incontrastabile) di tutte le dinamiche politiche oltre che in vari modi dell’accesso alle maggiori cariche pubbliche”. E aggiunge, a proposito della cacciata di Salvini, che “chi non condivide l’allarme (sulle sorti della democrazia) ha il dovere di dire che invece si tratta solo di semplice, banalissimo trasformismo”. Bravo professore ! Mi sembra veramente sgradevole la mistificazione: nessuno ha detto che c’era il fascismo alle porte, ma che ci fosse un tentativo reazionario in atto, solo una mente prevenuta e faziosa, ostile per partito preso al PD, può negarlo.

Non parlo solo della richiesta di “pieni poteri”, né di tutta la campagna di odio, di rancore, di bugie, di menzogne, di avversione xenofoba,  di discriminazione razzista,  di chiusura nazionalistica, di ostilità contro la casa comune europea, che abbiamo sentito anche a Pontida.  Mi riferisco anche alla volontà di Salvini di violentare le regole democratiche costituzionali.

Salvini, dal suo punto vista, non può che inveire e cercare di scaricare sugli altri le sue responsabilità. Cercare un’alibi al proprio errore non è politica: quando entri in una caverna senza uscita, o ci rimani o devi cercare di venirne.  Oggi, Salvini  si trova ad inseguire la Meloni, nelle piazze, a spararla ancora più grossa, in modo eversivo: “Se proveranno a cancellare quota 100, non li facciamo uscire più da quel palazzo. E se proveranno a riaprire i porti, i porti li chiudiamo noi tutti assieme. Dovranno passare sul mio corpo”.  Berlusconi ha detto che, una volta, tali forze, con quegli slogans, sarebbero state considerate “fuori dall’arco costituzionale”, perché quelle affermazioni non sono tipiche di una dialettica politica parlamentare, ma sono espressione di un visione reazionaria ed eversiva della battaglia politica: la piazza contro il palazzo, il comizio contro il confronto, la forza contro la ragione, la minoranza che si impone sulla maggioranza, fuori dalle sedi costituzionali. Per carità, ben vengano le manifestazioni popolari a sostegno delle proprie tesi, ma altra cosa è minacciare (aizzando la folla) l’uso della forza per impedire una legittima dialettica democratica.

Così come non è da leader democratico, non condannare pubblicamente e con fermezza gli attacchi (anche fisici) e gli insulti alla stampa: un leader democratico non può che biasimare duramente chi si permette di definire “un ebreo, uno non italiano”. Fa parte delle buone regole della democrazia il rispetto degli avversari e della informazione libera.

D’altra parte pensare di uscire dalla caverna con l’esibizione dei bambini sul palco (facendo credere che siano di Bibbiano)  è quanto mai squallido e ignobile, utile per qualche grido belluino e per qualche applauso sciocco:  per dirla con Seneca, in questo caso, “l’applauso della folla è la prova dell’empietà della causa”.

E anche l’invenzione del referendum sulla legge elettorale è un’altra trovata senza sbocco.  Oggi la Lega è per il maggioritario, combattuto strenuamente fino a ieri: ma è sicuro che Forza Italia sia d’accordo? Forse, Forza Italia  potrebbe concordare nel momento in cui prevedesse di vincere le elezioni (insieme con la destra estrema) senza inquinare la propria natura tendenziale di forza liberale e di avere, con la trattativa sulle liste, ante elezioni, più parlamentari di quanto indicato dai sondaggi. Perché nel maggioritario le liste si fanno con trattative tra più soggetti prima del voto popolare e non è detto che l’accordo politico regga dopo le elezioni, come a Berlusconi e a Prodi dovrebbero avere insegnato le stagioni maggioritarie precedenti.

E l’idea di piegare i Consigli regionali (come, per altro verso, i Comuni) ai desideri della Lega per promuovere il referendum sulla legge elettorale, dimostra lo scarso rispetto per le istituzioni, considerate un appendice del Partito, ed è un altro bluff.

L’on. Stefano Ceccanti ha giustamente scritto: “Questa conversione repentina deve fare i conti con la rigorosa giurisprudenza costituzionale sui referendum elettorali che richiede un sistema immediatamente operativo di modo che si possa votare anche senza nessun intervento successivo del Parlamento. Ora, in caso di quesito abrogativo che volesse eleggere tutti i deputati e tutti i senatori col sistema uninominale maggioritario, occorrerebbe disporre subito di 630 collegi per la Camera e di 315 per il Senato, mentre ne esistono solo 232 e 116 e nessuno è in grado di crearli, anche perché la delega varata con la legge Rosato è scaduta. I referendum di Pannella a cui Calderoli dice di essersi ispirato furono infatti dichiarati inammissibili. Funzionò solo il referendum Segni del 1993 – perché non cambiava il numero dei collegi che preesisteva ma solo il quorum –  e quello Segni del 1999 – perché lasciava anch’esso inalterato il numero dei collegi  – limitandosi a sostituire per la parte restante l’assegnazione proporzionale con quella dei migliori eletti nei collegi. Né può servire allo scopo la delega contenuta nella leggina 51 del medesimo Calderoli sia perché essa entrerebbe in vigore solo dopo quella della riforma costituzionale sul numero dei parlamentari sia perché l’esercizio concreto della delega sarebbe comunque successivo al giudizio di ammissibilità.”
Su una cosa dò ragione  a Salvini:  dovrà mettersi a lavorare. Parola grossa, per uno che già nel 1993 si definiva “nullafacente” (ogni tanto anche Salvini non dice bugie) e che, consigliere comunale a Milano, deputato nazionale  parlamentare europeo, senatore, ministro, ha sempre sostituito  i comizi con il lavoro nelle sedi rappresentative.   Ha sempre avuto il privilegio di essere della “casta”, senza pagare il conto. Adesso si è presentato  il conto da sé medesimo.

“”La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi.” Buona notte e buona fortuna”

Luigi Corbani

(lunedì 16 settembre 2019)

3 thoughts on “La rabbia degli sconfitti”

  1. Decio Bruno ha detto:
    Settembre 16, 2019 alle 6:40 pm

    Sarò breve :OK

    Rispondi
  2. Decio Bruno ha detto:
    Settembre 16, 2019 alle 6:42 pm

    Ok

    Rispondi
  3. Giacomo ha detto:
    Settembre 22, 2019 alle 5:19 pm

    Guglielmo da Ockam e’ sempre maestro – ma continua a contare su bravi allievi

    Rispondi

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