Crescono gli appelli e gli scritti a difesa della “buona” Lombardia. Che la locomotiva d’Italia sia uscita dai binari, deragliando e portando con sé tutta l’Italia, è un dato di fatto. Certo i lombardi non si meritano gli insulti, ma certamente il disastroso governo della Lombardia non ce l’ha mandato un dio capriccioso. Speriamo che buona parte dei lombardi si rendano conto di aver votato degli incapaci, per non dire altro. E i dati sono a dimostrarlo.
In Lombardia c’è un numero di pazienti ricoverati con sintomi da covid-19 che è quasi una volta e mezza di quelli ricoverati in Veneto, in Emilia Romagna e in Piemonte messi assieme; un numero di ricoverati in terapia intensiva più alto di tutte le altre tre regioni. Più della metà dei deceduti di tutta Italia. Tralascio i guariti perché le statistiche distribuite non precisano se sono stati dimessi dall’ospedale o sono stati congedati dal pronto soccorso. Anche gli altri dati che ci vengono messi a disposizione dovrebbero essere verificati nella loro esatta dimensione. Per esempio, sarebbe interessante capire cosa vuol dire isolamento domiciliare. Così vale anche per il numero di tamponi. Se si confrontano i dati Istat dei decessi registrati (comune per comune) nei primi mesi del 2019 e nello stesso periodo del 2020 emergono dati spaventosi sulla sottostima del numero ufficiale delle morti dovute all’epidemia.
Siamo ormai a 76 giorni dalla dichiarazione dello stato d’emergenza e a 56 giorni dal paziente uno di Codogno, a che punto ci troviamo esattamente?
Una cosa possiamo dirla senza timore di essere smentiti: meglio stare lontano dagli ospedali e dalle case di riposo. Purtroppo non può farlo il personale sanitario, che all’inizio della vicenda non ha ricevuto direttive univoche e corrette e le protezioni adeguate. Ancora oggi, in molti ospedali lombardi, se un medico si ammala di coronavirus, ai colleghi medici e ai sanitari con cui lavora a stretto contatto, non viene eseguito il tampone se non in presenza di sintomi. In caso di ricovero con sintomi da coronavirus, il nucleo familiare di provenienza con il quale il paziente ha convissuto fino a qualche ora prima, non viene sottoposto a tampone e non riceve alcun tipo di informazione o di assistenza. Chiamare il numero verde significa affidarsi a qualche santo che ti aiuti a penetrare nel muro del segnale di occupato e, quando ci riesci, ad avere una risposta consolante: se non si ha febbre sopra i 37,5°, non si viene presi in considerazione. In sostanza ci si deve arrangiare.
Il medico che lavora in reparto può assentarsi dal lavoro e ottenere di essere sottoposto a tampone, solo in presenza di sintomi conclamati. Nel frattempo, da possibile positivo asintomatico corre il rischio di contagiare degenti in ospedale anche per patologie non legate al virus.
E andiamo avanti.
Se si ha la sfortuna di avere un malanno, per cui urgentemente si viene ricoverati in ospedale, il rischio di uscirne contagiati dal coronavirus è piuttosto elevato. Anche perché gli spostamenti di ospedale in ospedale, sono piuttosto frequenti in questo periodo per cui il rischio aumenta ad ogni spostamento. Una organizzazione demenziale.
E una volta guariti, la quarantena dove si fa? All’inizio si veniva mandati nelle case di riposo, dice il genio “per alleggerire gli ospedali”, infettando così le residenze per anziani. Oggi le strutture per accogliere i “guariti” ancora contagiosi (tipo l’Hotel Michelangelo, l’ospedale militare di Baggio) non vengono riempite perché nessuno coordina con gli ospedali le dimissioni. Ma poi, quand’anche ci si arrivi, al “Michelangelo”o a Baggio, arrivano le cartelle cliniche? Chi preleva dall’ospedale i pazienti guariti ma in quarantena ? Non un taxi, non una ambulanza (se non hai da pagare). I tuoi familiari debbono prelevarti e quindi, se non erano già contagiati, possono diventarlo.
Ciascuno di noi, direttamente o indirettamente, è toccato da storie dolorose e da preoccupazioni per parenti, amici, conoscenti. Ho sentito, al TG3 Lombardia, Fontana dire che “rifarebbe tutto quello che ha fatto”! Ma non si vergogna? Neanche un po’ di rispetto per le vittime: si rende conto di cosa siano più di undicimila persone decedute? Di fronte al dolore straziante delle famiglie che non hanno neanche potuto stare vicino ai loro cari, nel momento più difficile, sentire il presidente della tua Regione che, senza alcun dubbio né pudore, dice che rifarebbe tutto come prima, suscita un’amarezza profonda e, nello stesso tempo, senso di fastidio e di disagio. E purtroppo, mi spiace dirlo, ho sentito il mio Comune distante e distratto.
“Milano non si doveva fermare”: doveva essere più vicina ai suoi anziani, ai suoi malati, alle sue famiglie. Il metodo Milano non è fatto di lustrini, di edifici faraonici e luccicanti, di Expo, è fatto di solidarietà, di vicinanza. Milano non ha mai chiesto nella sua storia agli altri di fare, quando in pericolo c’era la vita e la salute dei suoi cittadini: il Comune ha sempre fatto e sempre ha mobilitato tutte le sue energie, nelle emergenze. Nel 1886 ha creato l’Ospedale Bassi a Dergano per le malattie infettive, nel 1914-1917, durante la prima guerra mondiale, ha creato oltre 14.000 posti letto in più, un medico milanese ha inventato l’ospedale da campo e vennero installati anche dei barconi ospedale sulla Darsena. E così ha affrontato anche la “spagnola”.
Forse anche con l’aiuto delle Forze Armate sarebbe stato utile, da subito, intervenire per attrezzare l’Ospedale militare di Baggio. Forse scontiamo anche il fatto che a Milano non c’è più nessun reparto militare: il reggimento delle Voloire, che sono state essenziali per la sicurezza di Expo, sono state trasferite a Vercelli, senza che nessuno muovesse un dito.
Così forse sarebbe bene , in questa frenesia di vendite del patrimonio immobiliare del Comune, ripensare al vecchio ospedale di Garbagnate, oggetto di un’asta, che non mi risulta sia andata a buon fine. Chiuso da ottobre 2015, l’Ospedale di Garbagnate è un complesso di ventiquattro mila metri quadrati, inserito nel Parco regionale delle Groane. Il complesso è interessato da vincolo storico e architettonico sulla maggior parte della porzione edificata e da vincolo paesaggistico e forestale per la parte verde. Tanto più adesso, durante questa vicenda tragica del coronavirus, il Comune ha il dovere di pensare in modo diverso ai suoi cittadini, al di là dei confini geografici, amministrativi e giuridici. In passato i cittadini milanesi non hanno mai dovuto assistere al gioco di competenze. Una rilettura della azione della giunta Caldara, in epoca di guerra mondiale e di epidemia spagnola, sarebbe utile, per capire il senso del mito di Milano: realizzò una serie di interventi pubblici, tra cui appunto il tubercolosario di Garbagnate, che andarono incontro ai ceti meno abbienti, creando così un patrimonio di opere per il futuro della città e dei milanesi.
Iside Corniola
(sabato 18 aprile 1948)
NdR: Emilio Caldara fu anche il segretario della “Società per la Pace” di Ernesto Teodoro Moneta, unico italiano premio Nobel per la Pace, nel 1907. Moneta peraltro appoggiò la guerra ddi Libia del 1911 e poi l’intervento nella prima guerra mondiale.
Dopo la dichiarazione di guerra del 23 maggio 1915, Emilio Caldara, da Sindaco, costituì un “Comitato centrale di assistenza”, presieduto da lui stesso, con la partecipazione delle maggiori personalità di ogni partito, di maggioranza e di opposizione e che operò attivamente e con successo durante la guerra.
Altri tempi, altri uomini, o forse abbiamo bisogno di queste persone oggi ?