Il 4 marzo 2018 abbiamo votato con la quinta legge elettorale in venticinque anni. Il geniale Rosatellum era costruito sulle coalizioni: chi prendeva più del 40%, portava a casa la maggioranza assoluta. E tutto era congegnato in questa direzione: i piccoli collegi con i listini bloccati, senza preferenze; l’impossibilità del voto disgiunto ( potevi votare un candidato uninominale, e nel plurinominale dovevi votare solo una lista che sosteneva quel candidato). Bene. Ricordo qui che la prima coalizione è stata quella di centrodestra con più di 12 milioni di voti, pari al 37%; secondo il Movimento 5S che correva da solo, e ha fatto quasi 11 milioni di voti con il 33% e poi il centrosinistra con 7,5 milioni di elettori pari al 23%.
Ora, 2019, in barba alla legge che prevede che i senatori siano eletti su base esclusivamente regionale, i siciliani avranno un senatore eletto in Umbria, o meglio, l’Umbria avrà un senatore in più di quello che prevede la legge. E sì, poiché in Sicilia le 5S hanno più seggi senatoriali dei candidati presentati, invece di dare il senatore alla seconda lista più votata in Sicilia o non assegnare per niente il seggio (soluzione più corretta), vanno a prendere un candidato 5S della Umbria. Una soluzione del tutto incostituzionale: art.57 “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero”
In Calabria, a Catanzaro, sono stati attribuiti a Salvini dei voti in più “per un errore di compilazione dei verbali della Corte d’Appello di Catanzaro al momento della registrazione dei risultati” scrive “Il quotidiano del Sud”. Non stiamo parlando di qualche decina o qualche centinaio di voti, ma di 2.916 voti in più. “Tra gli errori contestati, l’inversione dei voti tra Forza Italia e Fratelli d’Italia, oltre che una scorretta suddivisione dei voti tra i candidati della coalizione di centrodestra, che sarebbero stati attribuiti tutti alla Lega”. Non sono piccoli errori, ma errori di dimensioni tali per cui la Lega ha avuto un senatore in più di quello che gli spettava: infatti Salvini deve lasciare il posto all’imprenditrice agricola, Fulvia Michela Caligiuri, di Forza Italia, che si è battuta con tenacia per ristabilire la verità. Salvini deve migrare nel Lazio 1, dove era pure candidato e deve lasciare a casa la leghista Kristalia Rachele Papaevangeliu, senatrice da soli 29 giorni. Il due luglio infatti era subentrata a Cinzia Bonfrisco eletta al parlamento Europeo e dal primo luglio dunque incompatibile. Salvini da calabrese diventa romano e la Lega dunque perde un seggio, ma dovrebbe recuperarlo dal riconteggio di un collegio in Emilia Romagna (uninominale 5 di Modena) a scapito di un senatore PD. Intanto, la maggioranza di governo rinuncia così a un altro posto in Senato, avvicinandosi alla soglia di “pericolo”, a soli due voti sopra la maggioranza di 161.
A proposito di questi voti ballerini si potrebbe dire che “A pensare male del prossimo si fa peccato, ma spesso ci si indovina” (la frase non era di Andreotti , ma del cardinale Marchetti Selvaggiani, Vicario di Roma).
Lontani i tempi in cui nei seggi gli scrutatori (designati dai partiti, e nel PCI la metà dell’indennità veniva versata al Partito) e i rappresentanti di lista discutevano fino allo sfinimento su ogni scheda dubbia, sui possibili segni e sulle combinazioni di nomi e di numeri che potevano prestarsi a identificare il voto e vigilavano sui numeri esatti dei voti di lista e di preferenze nei verbali di trasmissione alla Corte d‘Appello. Ed anche qui vi era un controllo reciproco tra i rappresentanti di lista sui dati esatti. Chi non ha mai fatto lo scrutatore o il rappresentante di lista si è perso una esperienza importante di vita democratica: i rifornimenti viveri organizzati dal partito, le staffette per esigenze fisiologiche con la copertura del seggio che non poteva mai essere sguarnito. La raccolta dati e la trasmissione dei risultati avveniva con una velocità incredibile per cui il PCI aveva ben prima delle Prefetture e del Ministero degli Interni il quadro elettorale. IL PCI nazionale aveva un ufficio elettorale guidato da Celso Ghini, (riparato a Mosca negli anni 20, detenuto per 12 anni nelle carceri fasciste e poi partigiano): la macchina organizzativa raccoglieva i dati il giorno delle elezioni, e sfornava studi ed esami analitici dei risultati. Poi, con il contributo decisivo del professor Stefano Draghi, si incominciò da Milano ad avere i seggi campione che non sgarravano di una virgola dai risultati definitivi e per primi si studiarono i flussi, i comportamenti e gli identikit degli elettori. E questi esami dei dati elettorali impegnavano tutti, dalle sezioni alle istanze provinciali, regionali e nazionali. Tradizione quest’ultima, che mi sembra sia stata gettata alle ortiche, come tutto il resto. Del resto il personale politico precedente alla stagione berlusconiana-prodiana credo sia veramente poco: se si pensa che il partito più antico è la Lega Nord, che non è la “Lega Salvini Premier”. Comunque sia, sta il fatto che, dopo un anno, ci sono sensibili avvicendamenti parlamentari, con una maggioranza giallo nera tutt’altro che sicura, al Senato.
Ma tanto il Parlamento conta sempre meno, fino a essere un peso per il governo giallo nero.
“”La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” Buona notte e buona fortuna”
Luigi Corbani
(mercoledì 31 luglio 2019)