Nella fluviale intervista che si è fatto fare dai giornali di casa, “la Repubblica” e “La Stampa”, nel ventennale della scomparsa di Giovanni Agnelli, John Elkann ha concluso con un attacco alle banche la rievocazione dell’illustre nonno che l’aveva incoronato. Riferendosi alla gravissima crisi del 2003, l’erede del senatore a vita Agnelli, ha detto: “Il sistema bancario e finanziario italiano, che da sempre aveva beneficiato della Fiat, in quel momento non ci ha sostenuto. Una vera e propria violenza, aumentata con la scomparsa di mio zio Umberto nel 2004. Ma quello è stato anche il momento in cui la mia famiglia si è unita per fare fronte comune, rafforzando il nostro legame con la Fiat ed esercitando le responsabilità che ne derivavano”. Da non credere.
Nel 2003, la Fiat era ormai prossima al fallimento. E’ storia patria. Il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, aveva addirittura fatto analizzare la possibilità di salvare la Fiat Auto attraverso la nazionalizzazione. Torino pagava gli errori di Agnelli. Alla fine degli anni Novanta, il nonno di Elkann aveva respinto una munifica offerta della Daimler per la Fiat Auto e, al tempo stesso, aveva disperso le risorse del gruppo in numerosi investimenti finanziari anziché concentrarle sul core business. Ai tedeschi il nonno aveva preferito un accordo azionario con l’americana GM che assegnava alla Fiat l’opzione di vendere la Fiat Auto al partner di lì a qualche anno. Ma la Fiat sarebbe andata così male che, al dunque, GM pagò un sacco di soldi pur di non doversi accollare la casa italiana. Ebbene, nel 2003, proprio quando il dramma stava per finire in tragedia, furono le banche, allertate e organizzate dalla Banca d’Italia, a fornire tre miliardi di euro alla Fiat attraverso un prestito obbligazionario convertendo che così si chiamava perché nel 2005, in mancanza di rimborso, sarebbe stato automaticamente convertito in azioni.
Le banche procurarono quell’ossigeno anche per proteggere i propri crediti verso la Fiat e l’indotto? Certo, è un buon argomento. E l’intervento del governatore Antonio Fazio ne è un’indiretta conferma. Ma Elkann dovrebbe ugualmente ringraziare le banche per quel convertendo. O no?
E poi il nipote dovrebbe ringraziare le banche una seconda volta perché queste stesse banche vendettero subito e alla cieca le azioni Fiat che erano finite nei loro portafogli alla conversione del convertendo. Avrebbero potuto tenersele, quelle azioni, e formare un fronte con una partecipazione aggregata analoga a quella delle holding degli Agnelli ma infinitamente più robusta sul piano finanziario. Forti di quella posizione, le banche avrebbero potuto scommettere sul rilancio della Fiat, al quale stava lavorando Sergio Marchionne. E vendere più avanti, guadagnando. Avrebbero con ciò fatto ombra agli Agnelli? Ne avevano tutto il diritto. Anzi, visto il successivo apprezzamento del titolo, ne avrebbero avuto il dovere di fronte ai propri soci. Ma del senno di poi sono piene le fosse. E tuttavia, se non avevano capito subito il valore di Marchionne e dunque se volevano uscire al più presto dal rischio Fiat, le banche avrebbero anche potuto cedere le loro azioni Fiat alla cordata guidata da Roberto Colonnino e dalla Lehman, che avevano in mente piani analoghi a quelli di Marchionne. Sarebbe stata l’occasione per lucrare un sovrapprezzo e/o un earn out. E invece le banche hanno venduto sul mercato. Subito e in perdita, perché la cura Marchionne era ancora agli inizi. Imprevidenza? Sudditanza psicologica alla famiglia Agnelli? Resta il fatto che, in tal modo, le banche hanno lasciato il pieno controllo a Elkann. Che adesso mette loro le dita negli occhi. Mah. Ma non è finita.
A nome del nonno, Elkann avrebbe dovuto ringraziare il “sistema bancario e finanziario”, guidato ante 2003 da Mediobanca, anche per altre ragioni. L’erede del senatore a vita potrebbe chiedere ai suoi uffici il rendiconto di quanto la Fiat ha investito in Mediobanca e di quanto ha ricevuto. Scoprirà che, sul piano storico, è debitore. Non solo sul piano degli investimenti, ma anche sul piano del potere. Fu infatti Mediobanca a sostenere il risanamento della Fiat operato da Cesare Romiti negli anni di ferro del terrorismo tagliando l’erba sotto i piedi a Carlo De Benedetti che vi si era introdotto con ambizioni dominio. E fu ancora Mediobanca a orchestrare e garantire l’aumento di capitale del 1993, che salvò la Fiat da un’altra, grave crisi. Un aumento di capitale al quale, in forza delle piramidi societarie del tempo, la famiglia Agnelli poté partecipare con un esborso risibile.
Ora, nelle rievocazioni d’occasione, non è indispensabile l’acribia storica: de mortuis nihil nisi bonum*. Ma perché l’erede se la prende con chi l’ha aiutato assumendosi un rischio – il rischio Fiat – di fronte al quale gli stessi concorrenti – GM dote – fuggivano?
La risposta potrebbe essere trovata nel persistente bisogno di affermare il proprio ego. Questa volta per interposto nonno. E certo, aver attribuito a Giovanni Agnelli la ripresa della Fiat dopo la Seconda guerra mondiale, quando è arcinoto che quella ripresa fu merito di Vittorio Valletta, fa pensare. Così come fanno pensare i silenzi su Romiti e Marchionne. Ma qui si vuole ancora credere, anche contro l’evidenza dei fatti, che parole e reticenze del nipote siano ispirate da un grande disegno che Devil non è in grado di capire.
Devil
(martedì 24 gennaio 2023)
*«dei morti niente [si dica] se non bene»)
Ben scritto!
Condivido l’articolo. Ad adiuvandum: una delle operazioni più spericolate per salvare la Fiat in quegli anni è stata la vendita della Toro assicurazioni. La Fiat era in condizioni finanziarie disastrose e una delle iniziative per salvare la baracca fu di vendere alcuni gioielli di famiglia. Uno di questi era la Toro assicurazioni. Valore di mercato per l’epoca, diciamo 2 miliardi di Euro. All’acquirente fu fatto questo discorso: tu ci dai 3,5 miliardi, abbondantemente al disopra del prezzo di mercato, noi come Fiat-Agnelli ti garantiamo che puoi fare l’operazione senza tirar fuori un’euro, cioè addebitando il costo dell’operazione direttamente alla Toro. Tecnicamente si chiama leveraged buyout, vietatissimo per le compagnie di assicurazione. Ma si trattava della Fiat e degli Agnelli e nessuna autorità di vigilanza osò alzare un sopracciglio. La famiglia De Agostini rilevò la Toro senza sborsare un’euro e circa un anno dopo quotò in borsa la società e la vendette a Generali, realizzando una megaplusvalenza. Quindi, il giovane Elkann farebbe bene a contare fino a dieci prima di scrivere di banche e/o di sistema finanziario e/o ceto politico italiano, poiché tutti costoro sono sempre stati proni e in ossequiosa riverenza davanti alla sua famiglia e alle sue imprese.
un articolo da manuale. non obbligatoriamente lecchino come quelli dei maggiori quotidiani, non obbligatoriamente da sputtanamento come quelli di chi è contro per principio, ma per ricordare le cose come si sono svolte a chi non le ricorda correttamente, forse perchè non le ha vissute … o le ricorda come gli piace
L’intervista del proprietario dei giornali ai suoi giornalisti dipendenti e ovviamente ossequiosi mi rievoca lontani ricordi di amministratore dell’allora banca pubblica San Paolo e dei rapporti privilegiati con la “royal family” italo-torinese. Il “giovin signore” , allora adolescente, ha la memoria storica piuttosto corta. Dagli archivi potrebbe ritrovare le tracce del processo di privatizzazione della banca e successiva quotazione alla borsa valori , operazione che vide come pratogonisti i collaboratori di suo nonno, Gabetti e Galateri, in accordo con il Banco Santander con il risultato di scambiare “carta” di poco o nullo valore con soldi “veri” . Fatta da altri sarebbe stata chiamata ” speculazione”, fatta da loro.. operazione di sistema paese! Circa il citato Lingotto, bis repetita, terreni industriali in disuso contro finanziamenti partecipativi. Detto questo, tutto legale , benedetto dalla Banca d’Italia e coperto dal sistema politico. Quindi a beneficio di Torino e dell’Italia.
Bisognerebbe ricordare al ” giovin signore” le operazioni di privatizzazione dell’allora banca pubblica San Paolo e del dossier finanziario deel ‘operazione immobiliare Lingotto . Da amministratore della banca in quegli anni posso assicurare che la “royal family” italo-torinese ha saputo fare bene i propri affari.