Il rischio che pian piano la gente metta a fuoco la possibilità di incassare di più stando a casa o lavorando al nero (e nascondendo matrimonio e auto).
Elisa è una collaboratrice familiare molto brava, che lavora 30 ore alla settimana a casa mia. Percepisce, a norma del contratto collettivo di settore, uno stipendio mensile di 880 euro che al netto di contributi a suo carico e Irpef si riducono a 820. Spende 30 euro al mese per le spese di trasporto. Le restano dunque 790 euro al mese. Di persone che lavorano a tempo parziale come Elisa, e come lei guadagnano un reddito spendibile intorno agli 800 euro o anche meno, in Italia ce ne sono quasi cinque milioni.
Il punto è che tenderanno a sparire se il “reddito di cittadinanza”, con i suoi 780 euro al mese, resterà in vigore e la gente pian piano imparerà a fare i conti con questa opportunità. Perché mai una persona dovrebbe faticare per 20 o 30 ore alla settimana, se può incassare altrettanto o addirittura di più senza lavorare? Oppure: perché lavorare in modo regolare per 20 o 30 ore alla settimana, se si può guadagnare il doppio (stipendio più sussidio) lavorando al nero? Per godere del sussidio occorre che non ci siano altri redditi in famiglia e non si deve possedere né casa né auto?
Diventerà buona norma non sposarsi e avere cura che casa e auto siano intestate al partner che ha il lavoro più redditizio – per lo più il maschio –, in modo che l’altro partner – per lo più la donna – possa presentare la domanda del sussidio da single appiedato e nullatenente. Certo, chi si è dimesso da un posto di lavoro regolare non può chiedere subito il “reddito di cittadinanza”; ma per averlo subito basta far figurare un licenziamento invece che le dimissioni. Quanto alla possibilità di perdere il sussidio per il rifiuto di un’“offerta di lavoro congrua”, tutti sanno che è un rischio soltanto teorico.
Se la cosa va avanti, dunque, c’è la prospettiva seria che qualche milione di lavori a tempo parziale sparisca, o si inabissi nell’economia sommersa, portando con sé altrettanti matrimoni trasformati in convivenze non dichiarate. Sul piano della politica del lavoro e di quella per la famiglia, un grande risultato davvero!
Pietro Ichino