Lo so, canto fuori dal coro. Detesto semplificazioni e facilonerìe, sono allergico alle parole d’ordine a buon mercato, banalizzano tutto e servono solo a raccattare consenso: viva la libertà!, basta guerre!, pace nel mondo!, abbasso lo sfruttamento!, salviamo il pianeta!, difendiamo l’ambiente!. Siamo tutti d’accordo, ovvio. Ma poi, concretamente, che si fa? In questo senso m’inquieta un po’ quanto sta accadendo intorno alle questioni del riscaldamento globale, del cambiamento climatico in atto, della salvaguardia dell’ambiente. Ancora una volta si rischia di cadere nella semplificazione e nella banalizzazione. Mobilitati dall’esempio della coraggiosa sedicenne Greta Thunberg, molti ragazzi, molti loro genitori e adulti di ogni età, scendono in piazza per richiamare l’attenzione sui pericoli che il pianeta corre trascurando questi argomenti. E fin qui va tutto bene. Anzi, benissimo: una più vasta presa di coscienza è indispensabile.
Ma un attimo dopo mi soffermo ad osservare il pressapochismo di alcune accuse (siete tutti responsabili, siete tutti corrotti), dei colpevoli additati (i politici, le multinazionali, i “poteri forti”, le élites), delle soluzioni salvifiche avanzate (boicottare gli aerei), dei programmi “etici” proclamati e dichiarati risolutivi (il veganismo). Avverto il rischio strisciante del talebanismo, dell’infezione populista-qualunquista: virus che si annidano e prosperano nella genericità, nella superficialità con cui si affrontano problemi complicati, nella proposta di soluzioni facili e alla portata di tutti, nella pretesa che un cittadino qualunque, senza competenza né preparazione, sia in grado di sapere come governare questioni di straordinaria complessità, con implicazioni a livello planetario di natura economica, tecnologica, diplomatica, militare, industriale, energetica, demografica, alimentare, conciliando esigenze disparate, non di rado conflittuali fra loro. In altre parole intravvedo un altro terreno fertile per propositi antidemocratici.
Innanzitutto vorrei essere proprio certo che tutti i ragazzi scesi in piazza, gli adulti che li hanno accompagnati, i giornalisti che li mettono sugli altari, gli insegnanti che li assecondano hanno comportamenti coerenti: chiudono i rubinetti e spengono le luci quando non servono? fanno la raccolta differenziata dei rifiuti? riusano il retro dei fogli di carta che stampano? smaltiscono come si deve cartucce d’inchiostro, lattine di bibite e bottiglie di birra, le lettiere per gatti, i pannolini dei pargoli, le batterie degli aggeggi elettronici?
E poi non posso non notare una cosa: magari fosse vero che questi comportamenti virtuosi risolvono il problema del riscaldamento globale! Se così fosse, la faccenda sarebbe facilissima da risolvere. Certo, tutto è utile e necessario, però il riscaldamento globale lo si può efficacemente contrastare solo coordinando e concordando buone politiche concrete a livello internazionale, ad esempio applicando tutti rapidamente l’accordo di Parigi, investendo in tecnologìe e infrastrutture atte a ridurre l’inquinamento, dedicando risorse adeguate alla ricerca scientifica, per trovare quanto prima soluzioni concrete ed efficaci (non già soluzioni “etiche”…), investendo su formazione professionale e istruzione scolastica, per far crescere nelle nuove generazioni una consapevolezza ecologica compiuta, concreta, pratica, non fideistica, una competenza autentica, evoluta e matura, una coscienza fatta non di parole, ma di atti. E ciò non solo nelle grandi città del mondo occidentale, ma ovunque.
Purtroppo il problema dei mutamenti climatici è materia di grande complessità. E comunque non possiamo dimenticare che i governi (almeno quelli democratici) difficilmente possono ignorare il sentire popolare, che non di rado agisce da freno. Infatti il più acerrimo nemico delle politiche ambientaliste dei governi occidentali è spesso “il popolo”, nella fattispecie quel “popolo” che in varie zone del mondo è fautore del cosiddetto atteggiamento NIMBY (Not In My Back-Yard, cioè non nel cortile di casa mia). Eliminare i combustibili fossili? Ok, ma eliminateli a casa vostra…! Fissare temperature massime d’inverno e minime d’estate negli impianti di climatizzazione? Buona idea, però non sognatevi di imporre regole nel mio condominio, nella scuola di mio figlio, nell’albergo dove vado in vacanza, nell’ufficio o nel laboratorio dove lavoro. Limitare la circolazione dei mezzi inquinanti nelle strade? Certo, però mica sulle strade che percorro io, mica a carico della mia automobile, vero? Limitare l’uso dell’acqua per lavare automobili o annaffiare giardini? Perfetto, però io l’automobile voglio lavarla come e quando mi pare, voglio annaffiare il mio prato e i miei fiori a mio piacimento. Usare la leva fiscale per disincentivare i mezzi inquinanti? Giusto, ma se vi azzardate a tassare di più i carburanti che uso io e i mezzi che uso io, allora chiamo un po’ di amici, ci mettiamo tutti un bel gilet giallo, veniamo a Parigi e piantiamo un gran casino! Perché proprio noi africani (indiani, brasiliani, bengalesi…) dobbiamo ridurre l’inquinamento, spendendo soldi, proprio ora che grazie alla globalizzazione stiamo iniziando a non morire più di fame, ad avere abbastanza soldi per comprare medicine e scarpe per i bambini…?
Insomma, temo che il “gretismo”, come qualcuno già definisce il movimento che sta formandosi, rischi, se non incanalato in maniera positiva, di declinare rapidamente verso l’ennesima incarnazione del “gentismo” qualunquista-populista: fuori dai piedi voi che siete tutti corrotti, ladri, servi dei poteri forti! siete morti, siete circondati, arrendetevi! adesso ci pensiamo noi, rivoltiamo tutto come un calzino!
E temo cori di insulti, di “uno vale uno”, di “questo lo dice lei” e di “chi se ne frega”, se qualcuno dirà qualcosa come “Grazie, ragazzi, siamo con voi, siamo felici di vedere che prendete coscienza e date una mano a mostrare la gravità di certi fenomeni e l’urgenza di certi interventi. Però intanto dobbiamo farci un mazzo così a convincere Trump che deve chiudere le centrali termoelettriche inquinanti e le miniere di carbone; a convincere Erdogan che non deve permettere che le aziende turche, oltre a sfruttare il lavoro minorile, inquinino liberamente l’aria e le acque; a convincere Putin che deve smetterla di ostacolare in ogni modo le politiche ambientaliste dei governi europei, e deve diversificare l’economia russa, in gran parte basata sugli idrocarburi; a spiegare agli arabi che non possono fare il bello e il cattivo tempo in tutto il vicino oriente solo perché stanno seduti su un mare di petrolio; a dissuadere Corea del Nord e Iran dal fare esperimenti nucleari che rischiano di contaminare mezzo mondo; a persuadere l’India che deve ammodernare le industrie chimiche che avvelenano l’atmosfera; a convincere certi governi sudamericani e asiatici che devono finirla di abbattere le foreste per coltivare la soia (a proposito: la soia è quella roba con cui si fa il tofu, per coltivarla occorre tanta di quell’acqua che hai voglia chiudere rubinetti…).”
Insomma, nulla è semplice, purtroppo, in fatto di ambiente. I cortei in piazza sono utili, Greta e i suoi genitori vanno senz’altro ringraziati. Però la cosa più importante, per tutti, è studiare, studiare molto, studiare sempre di più, perché fra pochissimi anni toccherà proprio a questi ragazzi la gatta da pelare dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale: noi saremo troppo vecchi, o forse già morti, e saranno proprio loro ad avere la responsabilità di adottare le soluzioni più efficaci, oltre a chiudere i rubinetti quando ci laviamo i denti, oltre a spegnere le luci quando usciamo da una stanza, oltre a mangiare meno carne.
Valerio Tura