Un articolo di Stefano Ceccanti, Professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato, Università Roma Sapienza ed ex deputato del PD
Come mi permetto di sottolineare dal 2015 ad ogni elezione si ripropone il problema dell’uso del cosiddetto “codice di autoregolamentazione antimafia”, che, per come viene presentato nei suoi risultati, appare incompatibile col rispetto del diritto di elettorato attivo e passivo, diritto politico fondamentale garantito dalla nostra Costituzione.
E’ solo la legge, e non questo o quel codice, che secondo l’articolo 51 della Costituzione consente alcune ragionevoli limitazioni dello stesso. I limiti ai diritti fondamentali sono di stretta interpretazione e rimessi alla legge, non tollerano svuotamenti con strumenti diversi.
I candidati definibili come “impresentabili” sono solo quelli per i quali l’incandidabilità è imposta dalla legge, in ultimo il decreto Severino del 2012, per condanne passate in giudicato.
Non si può in alcun modo utilizzare tale aggettivo per candidati che abbiano avuto solo un rinvio a giudizio, a pena di violazione della presunzione di non colpevolezza e, quindi, del diritto di elettorato passivo.
Infatti il vigente articolo 3 del Codice di autoregolamentazione prevede che le forze politiche che aderiscono al Codice possano in modo motivato candidare anche persone che ricadano in tali tipologie, assumendosene la responsabilità, riconoscendone tutta la relatività.
L’attività di monitoraggio che la Commissione Antimafia è tenuta a svolgere ai sensi del successivo articolo 4 e dell’articolo 1 della legge istitutiva della Commissione (legge 2 marzo 2023, n. 22) non può quindi essere né presentata né interpretata in alcun modo nel senso di fornire liste di proscrizione.
(mercoledì 29 maggio 2024)