La mobilità elettrica è un altro mito emergente.
Anzi, ormai fa parte del mainstream radical-chic ambientalista radicale.
Non crediamo di conoscere alcuno che non preferisca un mondo pulito a uno inquinato (così come un mondo di gente per bene e onesta a uno di malvagi e di malviventi), ma crediamo che a questo traguardo occorra arrivarci vivi, possibilmente.
Per ottenere questo auspicabile risultato è necessario ragionare con informazioni a base razionale e dati. Cioè, serve la conoscenza del mondo reale e dei mondi possibili. La variabile tempo non è irrilevante.
Gli obiettivi posti dal piano Fit for 55 – il nuovo pacchetto climatico dell’ Unione Europea che prevede di conseguenza scelte rigorose in materia di approvvigionamento energetico – sono considerati da molti addetti ai lavori (politici, scienziati, opinionisti esperti) lodevoli ma molto ambiziosi.
Il rischio è quello di delineare uno scenario al 2030 (tra soli nove anni) e al 2050, irrealizzabile, velleitario e costosissimo. Uno scenario che, tra l’altro, impegnerebbe in modo drastico solo l’Europa (o meglio i Paesi dell’Unione Europea) che rappresenta oggi solo l’8% delle emissioni mondiali di CO2 ma che non vincolerebbe in alcun modo gli altri Paesi e continenti del mondo che oggi producono il 92% delle emissioni totali di CO2.
Venendo al tema della mobilità, e considerando che il tema emissioni di CO2 non esaurisce il complessivo portafoglio delle emissioni inquinanti da trazione da mobilità termica (i motori che oggi costituiscono la quasi totalità del parco automobilistico circolante privato e pubblico), alcune riflessioni s’impongono.
Alcune cifre da fonti autorevoli. La IEA (International Energy Agency), organizzazione internazionale intergovernativa fondata nel 1974 dall’OCSE sulla scia dello shock petrolifero del 1973, calcola che, nello scenario più pessimistico-realistico, nel 2030 circoleranno nel mondo 140 milioni di veicoli a trazione elettrica su circa 2 miliardi di veicoli circolanti (7% del totale) e che, invece, nello scenario più ottimistico, i veicoli a trazione elettrica sarebbero 245 milioni (12,3% del totale). Nel 2040 la stessa IEA calcola che i veicoli a trazione elettrica potrebbero essere il 7,5% nello scenario più pessimistico-realistico e il 14,2% in quello ottimistico.
Perché? Per due ragioni fondamentali: i tempi di sostituzione del parco circolante (privato e pubblico) e il costo di questa sostituzione.
Oggi il tempo medio di sostituzione di un’auto in Italia può essere stimato in 5/7 anni (senza considerare i moderni contratti di noleggio a lungo termine che consentono, volendolo fare, di cambiare auto ogni 3 anni). Ma tutti vediamo circolare veicoli molto più vetusti (privati e pubblici). Consideriamo che oggi le auto a trazione esclusivamente elettrica sono care (una Fiat 500 elettrica ad esempio mediamente costa 30.000 euro) e quindi sono presumibilmente appannaggio di ceti abbienti che la acquistano come seconda o terza auto prevalentemente per uso urbano (data la precaria e limitata autonomia di tali veicoli).
Il costo di un’auto full electric oggi è superiore a quella di un’auto a motore termico di pari categoria e così sarà almeno fino al 2028 ma la parità sarà raggiunta solo per le auto di categoria superiore. Oggi, ad esempio, il gruppo propulsore di un’auto elettrica di segmento B (utilitarie di circa 4 metri) costa 7.800 euro in più (+168%) e quello di un’auto di segmento D (auto di grandi dimensioni di 5 metri e oltre) costa 11.000 euro in più (+160%). Più l’auto è (già) cara, minore è il maggior costo.
Questo genera un forte divario di classe (si può ancora dire così?) nella nostra società: i ricchi vanno elettrici, verdi e contenti e i poveri vanno termici, inquinanti e aborriti (dai primi).
Insomma, parafrasando il titolo di un famoso (all’epoca) libro di Bruno Trentin: da sfruttati a inquinatori.
L’assurdo è che l’acquisto di veicoli elettrici viene pure finanziato dallo Stato: una regalia ai ricchi, insomma.
Per rimanere in tema, consideriamo anche la filiera dell’industria automobilistica. Basti un dato (fonte Enea, Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo sostenibile, tra le altre): un’auto elettrica ha il 40% in meno di componenti di un’auto a motore termico (filtrazione, lubrificanti, trasmissione, iniettori, valvole, etc.). E, sempre un 40% in meno sono le ore di manodopera necessarie per assemblare motore elettrico e batterie di un’auto full electric rispetto a un’auto a combustione termica.
In termini d’impatto sul mercato del lavoro ciò significa circa 100.000 posti di lavoro che spariscono solo in Italia su 300.000 lavoratori diretti nel settore (1,8 milioni a rischio in Europa su 3 milioni complessivi).
Qualcuno dirà che si trasformano, ma di fatto questi spariscono. È vero che occorreranno le batterie per alimentare i veicoli a trazione elettrica (il cui valore rappresenta circa 1/3 del prezzo del veicolo) ma la produzione è al momento per l’85% in mano a gruppi asiatici (giapponese Panasonic, cinese Catl e coreana Lg). La Tesla, ad esempio, usa accumulatori Panasonic.
Quindi: l’Europa si sta strangolando per obbedire a un diktat ideologico che al momento (e per altro tempo ancora) favorirà l’industria cinese e asiatica. Dato il costo del lavoro europeo e la carenza di materie prime necessarie, pare oggi difficile che le società asiatiche delocalizzino in Europa le loro produzioni rigenerando posti di lavoro.
Consideriamo poi, i limiti infrastrutturali per la mobilità elettrica accelerata.
La rete di trasporto e distribuzione dell’energia elettrica in Italia non è in grado di reggere l’elettrificazione spinta (secondo gli obiettivi europei e del PNIEC, Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, italiano) della mobilità pubblica e privata. Anche qui un dato: oggi l’utenza domestica media prevede una capacità di 3 kilowatt.
Per caricare un’auto full electric in tempi accettabili nel box domestico occorrerà aumentare la capacità ad almeno 6 kilowatt (il doppio) se non 7 kilowatt. Costo per ogni singolo wallbox domestico: 1.500 euro (senza considerare i costi di adattamento dei singoli box: lavori di muratura, collegamenti elettrici, oltre, naturalmente al costo del consumo elettrico).
Costo medio per ogni colonnina pubblica: circa 5.000 euro. Un investimento complessivo di circa 6 miliardi di euro solo per le postazioni domestiche.
Comunque, servirebbero 28.000 megawatt solo per le postazioni di ricarica domestiche, cioè un quarto dell’attuale capacità nazionale. Solo per caricare le batterie delle auto. Poi ci sono le utenze domestiche (vogliamo rinunciare all’aria condizionata, frigoriferi, congelatori, lavatrici, etc.?) e quelle industriali.
Ultima considerazione, la produzione attuale di energia elettrica per il 60% è garantita da fonti fossili (carbone, gas principalmente). Quindi, le auto full electric vengono alimentate da energia prodotta per il 60% da fonti fossili considerate sporche e cattive dagli ambientalisti.
Per inciso, la normativa Euro 6d, di ultima generazione, obbligatoria per i veicoli immatricolati da gennaio 2021 già prevede limiti di emissione di CO2 (e di particolato PM10) molto severi.
Se agli obiettivi quantitativi sopra enunciati volessimo sommare quelli qualitativi (energia elettrica tutta da fonti rinnovabili) potremmo agevolmente concludere (non in modo ideologico) che si sta alimentando una campagna disinformativa verso l’opinione pubblica quando, invece, essa andrebbe informata correttamente dei contenuti delle policy in corso di attuazione e magari chiamata a esprimere scelte valoriali: posto che tutti vorremmo vivere in un mondo pulito, come fare e in quali tempi e con quali costi socialmente accettabili?
La sostenibilità è un concetto complesso e ricerca un equilibrio tra costi e benefici.
Il radicalismo ideologico ambientalista è per pochi ma sta condizionando la vita di milioni di cittadini inconsapevoli. Non varrebbe la pena, allora, fermarsi a riflettere (dati alla mano), discutere e trovare soluzioni veramente sostenibili?
La politica sta subendo però l’offensiva radicale, irrazionale e colpevolizzante imposta dal furore ideologico di pochi, ma aggressivi, iperattivi e mediaticamente ingombranti ambientalisti bla bla.
È un costo che non ci possiamo permettere e che invece pagheremo tutti: noi e soprattutto i nostri eredi.
Pepito Sbazzeguti
(domenica 17 ottobre 2021)
Finalmente parole serie e veritiere su questo argomento.