Il caso clamoroso e scandaloso di malagiustizia ai danni dell’avv. Melzi
È tutto dettagliatamente documentato in un libro, nei prossimi giorni in libreria: “Una storia di (stra)ordinaria (in)giustizia e di (ir)responsabilità dei media”. Personalità nota e integerrima, con tanti amici ed estimatori, l’avv. Giuseppe Melzi, milanese doc. È sua la storia.
Attivamente impegnato, da sempre, nel sociale. Presidente della Casa della Carità, fondata dal Cardinale Martini e gestita da Don Virginio Colmegna. Amico intimo della comunità di San Carlo al Corso. Filantropo e mecenate di artisti. Noto difensore delle vittime nei processi di mafia Calvi e Sindona, con tutti i rischi immaginabili dei due casi. Esperto e collezionista d’arte. Animo gentile e sensibile.
Viene arrestato con il clamore spettacolare della notizia, anticipata dal telegiornale – chissà come, da chi e perché? – dopo quattro anni di indagini, pedinamenti, intercettazioni, senza aver avuto mai l’avviso di garanzia, e senza che tutta quell’attività di indagine, con un pazzesco dispiegamento di mezzi, apparati e operatori a tutti i livelli, abbia raccolto uno straccio di prove.
Ma ciò che conta, per quelli che muovono tutto questo, non sono le prove, ma il “teorema”.
E così, semplicemente…, l’avvocato si fa quasi cento giorni di prigione (ndr: dal 1 febbraio al 20 aprile 2008 ), a cui segue un periodo di arresti domiciliari (ndr: dal 20 aprile al 17 novembre 2008).
Intanto entra in un tritacarne mediatico, nei media nazionali, con giudizi sommari, alimentati da quel “teorema” costruito dai PM, su un assurdo pre-giudizio di colpevolezza.
Lo stesso pregiudizio seguito, acriticamente, dai colleghi dell’Ordine degli avvocati che, con dubbia lealtà e indipendenza, e un giudizio sbrigativo e sommario, lo sospendono dalla professione. Una sospensione durata tre anni.
Danni e sofferenze inenarrabili: dai numerosi estenuanti interrogatori, alle migliaia di pagine di dossier di tutto, ai duri trasferimenti dal carcere ai lugubri palazzi di giustizia, alla vita disumana del carcere dove, peraltro, Melzi continua la sua opera sociale, dando assistenza legale ai suoi compagni di prigione.
Nel frattempo i magistrati inquirenti proseguono, con distaccata calma, errori, omissioni, pregiudizi, pressioni, abusi e minacce (mostrando un mazzo di chiavi, in un interrogatorio, il PM gli dice, verbalizzata, una frase sconvolgente: “se non confessa, avvocato, la tengo dentro e butto le chiavi”).
Ma lui non poteva confessare nulla, perché nulla c’era da confessare, come vedremo, se non le “balle” che erano solo nella testa di quei magistrati.
Tutto questo con i tempi lunghi di tre procure: Varese che ha costruito il “teorema”, con un PM chiacchierato e punito per storie poco onorevoli. Milano che distrattamente, si fa per dire…, la convalida. Cagliari che mette ancora 7 anni, per archiviare.
Una calma…, da parte di tutti, totalmente indifferente alla condizione infernale di un galantuomo innocente, e dei suoi familiari, sottoposto a “tortura” con una indagine per associazione mafiosa, della quale, lui, l’avvocato, sarebbe stato il “regista”, solo perché aveva assistito un suo cliente sardo, anch’egli indagato, per un normale, banalissimo, contratto su un modesto immobile. Mentre cercano anche i soldi del malaffare, in Italia e Svizzera, senza trovare un euro!
Dopo oltre sedici anni, “il fatto non sussiste“.
Questo, il motivo, formale e sostanziale, dell’archiviazione, anche di tutti gli altri coimputati, che ha fatto crollare un castello costruito sulle “paranoie”. Sotto le macerie del castello, però, restano un uomo e la sua famiglia, che nessuno potrà mai ripagare dei danni irreparabili che hanno subito. Intanto nessuno si è fatto vivo con la vittima. Come nessuno ha fatto la minima autocritica. Che tempra di persone!
Mai esistita, quindi, l’associazione mafiosa, mai esistito alcunché di censurabile e tantomeno di reati.
E del tutto coerente con l’andazzo della vicenda, è stata la coda finale della storia. L’archiviazione non gli è stata mai comunicata. L’avv,Melzi lo ha saputo, dopo oltre un anno e mezzo, casualmente, da un collega che gli fa complimenti… di cui lui, inizialmente non si rende neppure conto di cosa parli.
Inefficienza della norma di procedura e della burocrazia, in tutto questo? Oppure insensibilità, mancanza di retta coscienza e cultura cartesiana, fondamentale nell’esercizio di quelle responsabilità e, quindi, di rispetto elementare delle persone e dei loro diritti essenziali. Tutto. C’è di tutto. Con una macchina infernale: quella della giustizia, che dovrebbe operare a garanzia dei diritti di tutti, singoli e società.
Quante domande ci pone questa vicenda che potrebbe capitare a tutti? Basta collocarsi, per un momento, nei panni di chi ha la tragica sventura, di incappare in un inferno devastante come questo.
Così l’indignazione di chi conosce l’avv.Melzi e la sua vicenda giudiziaria, è ancora più forte se si pensa che, tutto questo inferno non è causato da un destino “cinico e baro”, ma dalla cattiveria di uomini con precise responsabilità morali, professionali, istituzionali, che usano con disinvoltura lo smisurato potere che hanno, quello più delicato e odioso insieme, a seconda di come lo si usi, che è il potere sulle persone. Uomini rispettati e ossequiati che, magari, vanno anche a messa la domenica, e portano i nipotini al parco…
Ma questa non è giustizia. È barbarie. E nessuno che ne risponda!
È stato emozionante partecipare, nell’auditorium di San Carlo al Corso, a Milano, alla presentazione del libro di Melzi, in un affollatissimo incontro di solidarietà di amici ed estimatori, tra cui la stessa Liliana Segre, che hanno voluto cominciare a restituirgli l’onore che merita.
Un primo risarcimento morale, al quale ci auguriamo che molti altri, di ogni tipo, ne possano seguire dalle cause che sono già iniziate, verso tutti coloro che sono stati responsabili di questo scempio : persone e istituzioni. Per fare, questa volta davvero, Giustizia vera, quella con la G maiuscola.
Benito Boschetto
(mercoledì 5 febbraio 2020)