Chi ama Milano dovrebbe assolutamente comprare l’ultimo numero di “Città”: sono trenta euro ben spesi. Teoricamente è un periodico, un giornale, in realtà è un libro che trasmette amore per questa città, per i suoi aspetti buoni e per i suoi risvolti cattivi. Ma come si dice “Milan l’è un gran Milan”. Solo un editore, Massimo Vitta Zelman, che ama il suo lavoro e la sua città, poteva stampare una tale bellezza di libro, per le foto e per i testi. E i meriti per questo libro che mi ha entusiasmato e che mi ha fatto pensare che il futuro di Milano è ancora da scrivere, sono del Direttore Giangiacomo Schiavi, del Condirettore Giorgio Terruzzi e del grande Art Director Andrea Lancellotti, al quale anche dobbiamo grafica, loghi e immagini de “IlMigliorista”.
Un “grazie” non si può che accompagnare a un “bravi”!
Foto bellissime (non sto qui a dire gli artisti che hanno collaborato, non la finirei più) e testi che fanno pensare e riflettere. Il libro si apre con un contributo di Salvatore Veca, appena scomparso: “La linea verde/Idee da cambiare”, che rimanda al libro di un filosofo italo-inglese Luciano Floridi: “Il verde e il blu salveranno il mondo…Il verde raccoglie non solo l’ambientalismo biologico, ma tutti gli ambienti (urbani, economici, politici). Il blu, invece, raccoglie tutte le tecnologie digitali…Tutto il digitale messo a servizio del verde è l’abc di un progetto umano per il XXI secolo”.
Ma Veca chiude l’articolo con un pensiero sul quale tutti dovremmo riflettere:
“La nuova Milano deve sorgere da un rinnovato contratto sociale con la natura. Il contratto sociale deve definire i principi di giustizia ambientale, che a loro volta coincidono con i principi di giustizia sociale…Un’ultima annotazione per i lavori in corso della città possibile: sono convinto che Milano potrebbe, grazie al patto tra il verde e il blu, avviare l’esperimento sociale di uno sviluppo economico incentrato sulla economia circolare, sull’economia verde , sull’economia civile, e soprattutto su un capitalismo paziente e non ossessivamente predatorio sul breve e sul brevissimo termine, come quello che ci è familiare e che ha perso le sue risorse di legittimità sociale. Come è facile vedere, c’è molto da fare qui, dalle parti ambrosiane”.
Proprio così, c’è molto da fare e, andando avanti a leggere questo libro con i vari contributi, mi è venuto in mente che a Milano bisogna conservare la memoria del nostro passato per dare una identità al nostro futuro. Sono più che mai convinto che bisogna celebrare “l’ingegno milanese”, frutto di persone che sono arrivate a Milano da ogni parte dell’Italia e del mondo e che hanno tratto dall’ambiente, dalla cultura milanese le risorse per creare un ulteriore valore di cultura, di ingegno, di capacità, di pensiero e di innovazione.
Milano è la città degli immigrati che hanno accolto altri immigrati, che hanno promosso socialmente schiere di uomini e donne che si sono integrati a tal punto da essere loro, Milano. Non sono gli edifici che fanno la città, ma gli uomini fanno la città e i suoi edifici, che poi diventano anche simboli di una sedimentazione, di una sovrapposizione di attività realizzate dagli uomini e dalle donne “ambrosiane”.
Vedo con pena l’autoincensamento per l’arrivo di fondi finanziari e immobiliari ( a cui peraltro si fanno pagare gli oneri più bassi d’Europa), dimenticando che la storia e la fortuna di questa città è intrisa di un rapporto stretto tra cultura, economia, società, solidarietà, giustizia sociale e creatività in ogni campo del vivere civile. È questa unità delle varie espressioni della attività umana che ha generato questa città unica in Italia e unica nel mondo. Milano nel mondo è vista come la città, certo della moda e del design, ma di Leonardo, di Beccaria, di Verdi. Milano affonda le sue radici profonde nella cultura, nella laboriosità intellettuale e manuale dei milanesi: diritto, politica, industria, finanza, agricoltura, università, scienza, chimica, fisica, medicina, chirurgia, architettura, ingegneria, letteratura, filosofia, teoria politica, poesia, cinema, teatro, musica, balletto, pittura, scultura, design, moda, mestieri d’arte e nuove espressioni artistiche (si pensi al futurismo). In ogni campo, i milanesi hanno dato il loro contributo al progresso civile e culturale, allo sviluppo economico e sociale, con una presenza femminile importante e spesso protagonista. Una città che ha basato la sua fortuna sul pluralismo ideale, e culturale, in un rapporto “dialettico” (si può usare ancora?) tra le componenti cattoliche, liberali e marxiste, queste ultime con una forte componente riformista. Di questa presenza sono stati una forte espressione, i Sindaci animati da ideali socialisti, praticati con il gradualismo riformista e il pragmatismo milanese, che hanno portato questa città ad uscire dalle tragedie della guerra, della strategia della tensione, del terrorismo, della criminalità diffusa, della crisi economica e della deindustrializzazione.
E le forze politiche, di maggioranza o di opposizione, hanno saputo contribuire con il confronto e il dibattito a sostenere il ruolo della città in Italia e nel mondo: la politica qui non è mai stata, se non nel periodo fascista, subalterna ai poteri economici, che anzi hanno dialogato con chi rappresentava, con forza, l’interesse generale, l’interesse pubblico, della comunità sociale e civile
Ci sono una infinità di nomi che vengono alla mente, e solo per citarne alcuni premi Nobel “milanesi”, Ernesto Teodoro Moneta, Camillo Golgi, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, Dario Fo, Giulio Natta. E penso alla grande scuola di architettura e di urbanistica milanese, che ha saputo creare e ricreare una città moderna senza abbandonare la sua anima.
Ebbene secondo me, sarebbe una bella cosa se il comprensorio delle Caserme Magenta (via Mascheroni) e XXIV Maggio (via Vincenzo Monti) divenisse uno spazio museale, atipico: la “città dell’ingegno” utile a dare una memoria storica della città e dei milanesi e sede di elaborazione e di suggestioni per il presente e il futuro. Un pezzo di questa “città” in cui presentare i milanesi “illustri” operanti in tutte le attività umane, dovrebbe essere dedicato anche al fenomeno dell’immigrazione: insieme all’anniversario del milanese doc Franco Parenti quest’anno si celebra il centenario della nascita del triestino milanese Giorgio Strehler.
A Parigi, come noto, nel 2007 è stato fatto il «Musée de l’histoire de l’immigration», al Palais de la Porte Dorée, a nord della Bastille : in questo momento c’è una mostra su “Picasso lo straniero”; qualche anno fa c’è stata “Ciao Italia”, una mostra sull’immigrazione italiana (1860-1960) in Francia illustrandola in quattro grandi periodi (fra cui l’antifascismo).
Una volta si diceva “L’è un milanes arius”: la verità è che moltissimi illustri milanesi erano tutti “arius”, venivano da fuori: l’”ingegno milanese” sta anche in questa capacità di integrare esperienze e culture diverse in una “milanesità” che faceva sentire tutti parte di una comunità unica, con una sua identità specifica.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(lunedì 29 novembre 2021)
Bravo Corbani!
Luigi carissimo! La riprova che sei jn grande, arius o meno!!!