Nel mese scorso – come riportato negli articoli che qui pubblichiamo – c’è stata una presa di posizione della Procura Generale di Milano davvero dura nei confronti dei magistrati che hanno indagato sull’Eni. Una vicenda dall’inizio alla fine davvero incredibile, che il maggior e autorevole organo di informazione milanese ha liquidato in poche righe.
Ora, viene da pensare che il governo italiano (Draghi in prima persona, insieme con l’Eni) sia andato a chiedere aiuto a quei Paesi che sono stati al centro delle inchieste della procura di Milano (Algeria, Congo, Nigeria, ecc.). Ma al di là dei risvolti disciplinari (esiste il Consiglio superiore della magistratura?) e legali (vedremo cosa succede della inchiesta di Brescia), mi chiedo quanto è costata la vicenda all’Eni, non solo sul piano reputazionale internazionale ma sul piano economico? Chi paga, se non il contribuente pubblico, la licenza estrattiva da cui per questo processo l’Eni non ha potuto estrarre neanche un barile di petrolio ? E le parcelle degli avvocati per sette anni? E quanto sono costate allo Stato (ovvero a noi) queste inchieste della procura di Milano (utilizzo di uomini e mezzi per anni)?
L’unico personaggio politico che ha difeso l’Eni in questi anni è stato Matteo Renzi, tutti gli altri, uomini di partito o di governo, sono stati silenziosi o hanno trafficato per togliere di mezzo il vertice della nostra principale azienda pubblica. (L.C.)
PM oltre la legalità – la PG Gravina non impugna la sentenza “Eni Nigeria”
“Da accusa, linea neocolonialista”
I motivi d’appello “sono incongrui, insufficienti e fuori dal binario di legalità”. “Non c’è prova di nessun fatto rilevante in questo processo. Gli imputati che hanno patito un processo lungo sette anni hanno diritto di vedere cessare immediatamente questa situazione, che in questo momento è contra legem rispetto alle indicazioni di regolarità formale del processo, di economia processuale e di durata ragionevole”. Con queste parole durissime, il sostituto procuratore generale di Milano Celestina Gravina ha motivato davanti alla Corte d’appello milanese la decisione di rinunciare all’impugnazione – proposta dalla procura, in particolare dall’aggiunto Fabio De Pasquale – nei confronti della sentenza con cui il tribunale ha assolto tutti gli imputati del processo Eni- Nigeria.
Il sostituto procuratore generale è stato un fiume in piena. Nel suo intervento, Gravina ha demolito con affermazioni nette il lavoro portato avanti dai pm milanesi ( De Pasquale e il sostituto Sergio Spadaro, sotto il coordinamento dell’allora capo Francesco Greco), parlando di “mancanza di qualsiasi nuovo elemento per sostenere l’accusa”, un ricorso che non ha la forza “per un eventuale ribaltamento del principio dell’oltre il ragionevole dubbio”, profili “incongrui e insufficienti” che restituiscono “diverse ricostruzioni possibili che sono lo specchio dell’assenza di fatti certi posti alla base della accusa e non di un accordo corruttivo che non si indica in alcun modo”.
Il pg Gravina ha poi parlato di “vicende buttate lì come una insinuazione”, della “esilità e assoluta insignificanza degli elementi” portati dalla procura milanese per sostenere l’accusa di corruzione internazionale, ma anche di “colonialismo della morale” da parte “del pm”. “In questo processo – ha spiegato il magistrato – non c’è prova di un accordo corruttivo, né prova del pagamento di utilità corruttive”.
Un atteggiamento “neocolonialista”, secondo il pg, lo ha avuto “il pm” perché come “le potenze neocoloniali tracciavano i confini senza sapere cosa c’era sotto”, ha “imposto” la propria linea, volendo scegliere “al posto di organi democraticamente eletti”. Atteggiamento neocolonialista “di cui sono state accusate le due società.”, che invece “hanno fatto la ricchezza della Nigeria” anche con “tributi di sangue”. “Il pm – ha detto ancora il pg Gravina – ha una idea vaga e per questo ha chiesto la confisca” di oltre un miliardo di dollari, ossia l’importo complessivo versato dalle due società per acquisire i diritti di esplorazione sul giacimento petrolifero Opl 245.
E ciò perchè “non riesce ad individuare” le presunte tangenti versate e “ripara sul fatto che questa operazione non doveva farsi”. Il pm, secondo Gravina, ha portato solo “chiacchiere e opinioni generiche che toccano i governanti degli ultimi dieci anni in Nigeria”.
Il pg Gravina è lo stesso che nel processo d’appello ai presunti intermediari della corruzione internazionale aveva chiesto e ottenuto le assoluzioni degli imputati, Emeka Obi e Gianluca Di Nardo, esprimendo una serie di pesanti critiche sull’operato dei colleghi. Durante la requisitoria il pg aveva parlato di “travisamento dei fatti gravissimo”per via di una lettura “distorta” degli atti, di “mancanza di prove” e aveva osservato che in primo grado su alcuni temi era stata seguita l’impostazione dei pm De Pasquale e Spadaro, fondata su teoremi “non dimostrati”, che si limitavano a riflettere le denunce delle ong. “Non esiste il fatto contestato, non esiste in natura”, aveva spiegato Gravina, spingendosi addirittura a definire l’inchiesta “un enorme spreco di risorse”.
Proprio la sentenza di assoluzione dei presunti intermediari della corruzione, poi passata in giudicato, ha consolidato la scelta della procura generale di rinunciare all’impugnazione della sentenza assolutoria del filone principale.
Richiamandosi all’esercizio della sua “funzione di vigilanza sulla osservanza della legge”,Gravina ieri ha infatti ribadito più volte il tema della “sentenza passata in giudicato nel processo per lo stesso fatto”, cioè quella sui due presunti mediatori assolti. Nella “impostazione erronea del pm” Obi continua a essere il “principale collettore di questa tangente per conto dei dirigenti Eni”, eppure, ha aggiunto Gravina, “c’è una sentenza definitiva, che stabilisce che i due mediatori non sono mai stati collettori “di una tangente destinata” ai pubblici ufficiali nigeriani, “e il pm di questo non se ne accorge”. “Il pm continua a sostenere le sue posizioni come se nulla fosse accaduto – ha affermato Gravina – e questa è una violazione delle regole di giudizio”.
Anche la Corte inglese, ha spiegato ancora Gravina, è andata contro la tesi del pm – riferendosi alla sentenza con cui l’Alta corte inglese specializzata in controversie commerciali internazionali ha accertato la legittimità dell’attività di intermediazione svolta da Obi, ritenuta invece fittizia dai magistrati italiani – mentre la procura ha pensato di essere una sorta di “Tribunale amministrativo della Nigeria”.
Il sostituto procuratore generale di Milano ha anche parlato delle “bugie” di Vincenzo Armanna, l’ex manager licenziato da Eni e grande accusatore della compagnia petrolifera. Il pg ha ricordato “le bugie di Armanna ripetute”, i “suoi ripensamenti” e le “sue speranze frustrate di impunità”. Proprio le dichiarazioni di Armanna furono particolarmente valorizzate
dalla procura di Milano nel processo di primo grado, e la sua gestione, così come quella dell’avvocato Piero Amara, . poi finita al centro dello scontro esploso all’interno della procura milanese, che ha sconvolto la magistratura italiana (i vertici della procura indagati, il caso Storari-Davigo, l’inchiesta sulla fantomatica “loggia Ungheria”).
C’è. in Italia, ha affermato il pg, il “diritto delle persone a non subire processi penali quando non vi sono motivi perché si tengano, e questo processo deve finire oggi perché non ha fondamento”.
Ermes Antonucci (Il Foglio 20 luglio 2022)
Processo farsa
Se nell’affaire Eni-Nigeria c’è un reato, il reato è l’inchiesta.
Storia di un grande scandalo
Il processo Eni-Nigeria si conclude con un’assoluzione senza appello degli imputati. E con una condanna senza appello, non penale ma professionale, dei magistrati che per anni li hanno accusati. La procura generale di Milano ha rinunciato a presentare
il ricorso contro l’assoluzione in primo grado dei 15 imputati, 13 persone tra cui l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni oltre alle società Eni e Shell, accusati di corruzione internazionale per una presunta tangente da oltre 1 miliardo di dollari che sarebbe stata pagata dalle due società petrolifere ai politici nigeriani per aggiudicarsi i diritti di esplorazione sul blocco Op1-245. E’ quindi definitiva l’assoluzione di primo grado perché “il fatto non sussiste”.
L’assoluzione arriva dopo un’altra assoluzione definitiva a due intermediari, Obi e Di Nardo, accusati per lo stesso reato, che però avevano scelto il rito abbreviato. Oltre alle assoluzioni dei tribunali italiani, c’era stata anche una sentenza in Regno Unito, dell’Alta corte inglese specializzata in controversie commerciali internazionali, che aveva escluso la corruzione. In sostanza, quella che è stata presentata dal pm milanese Fabio De Pasquale, e per anni da tutti i media al seguito, la più grande tangente della storia, una mazzetta che è almeno il quadruplo della maxi tangente Enimont, non è mai esistita.
Non è che manchino le prove, e quindi i “colpevoli l’hanno fatta franca”, è che non c’è proprio la corruzione. È come se al termine di un processo per omicidio si scoprisse, clamorosamente, che il morto è vivo.
In questo processo, paradossalmente, l’unico reato possibile è il processo stesso. Che doveva essere il processo del secolo e invece si è rivelato lo scandalo giudiziario del secolo. A dirlo è la procuratrice generale Celestina Gravina, che in teoria avrebbe dovuto rappresentare l’accusa, ma studiando le carte si è ritrovata a prosciogliere gli imputati e ad accusare i suoi colleghi della procura di Milano per come hanno portato avanti l’inchiesta: “Questo processo deve finire perché non ha fondamento”, ha detto ai giudici della Corte d’appello di Milano.
La pg Gravina ha aggiunto che proseguire con l’appello, come chiestodalla procura di Milano, vorrebbe dire prolungare una “situazione che è contra legem rispetto alle regole del giusto processo”.
Si tratta, in buona sostanza, di un processo che non sarebbe mai dovuto iniziare. E che, proprio per questo motivo, per poter andare avanti ha dovuto calpestare il diritto al giusto processo degli imputati, come ha sottolineato la procura generale, e probabilmente anche commettendo dei reati. Al termine di questa vicenda, infatti, c’è stato un completo ribaltamento dei ruoli: gli imputati tutti definitivamente assolti e i magistrati dell’accusa imputati proprio per come hanno condotto l’inchiesta. Appena un mese fa, infatti, la procura di Brescia ha chiesto il rinvio a giudizio dei pm responsabili dell’inchiesta, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, per “rifiuto d’atto d’ufficio”.
L’accusa, emersa durante il processo di primo grado, è quella di non aver depositato prove importanti a favore degli imputati, che dimostravano l’inattendibilità dei testimoni d’accusa e il movente alla base delle sue false dichiarazioni. In un video, infatti, l’ex manager Eni Vincenzo Armanna – cacciato dall’azienda per aver fatto la cresta sui rimborsi – annunciava ad alcuni possibili soci in affari che si sarebbe “adoperato” contro i vertici dell’Eni per “far arrivare loro un avviso di garanzia” facendogli piombare addosso una “valanga di merda”. L’obiettivo era, appunto, quello di far rimuovere diversi manager dell’Eni a lui ostili per poi poter concludere alcuni affari in Nigeria.
I giudici di Milano, nella sentenza di assoluzione dell’Eni, scrivono che l’omissione della prova da parte della procura “risulta incomprensibile” perché quel video “portando alla luce l’uso strumentale che Vincenzo Armanna intendeva fare delle proprie dichiarazioni e della auspicata conseguente attivazione dell’autorità inquirente, reca straordinari elementi in favore degli imputati”. In sostanza, è successo che il pm De Pasquale ha imbastito un’inchiesta senza prove, con soli indizi e testimonianze false, ma ha ignorato o nascosto l’unica vera prova a disposizione: quella che scagionava gli imputati.
È qualcosa di veramente anomalo, soprattutto se si considera il credito che la procura ha dato a personaggi completamente improbabili e inattendibili. A parte le figure di Armanna e Piero Amara, quest’ultimo valorizzato persino per gettare fango sui giudici, surreali sono state le scene dei due “Victor”, personaggi nigeriani presentati come testi chiave e invece autori di audizioni imbarazzanti in cui, in sostanza, hanno smentito di essere se stessi e le loro stesse accuse. “Sono stati assunti superficialmente dei fatti privi di prova, fondati sul chiacchiericcio, sulla maldicenza, su elementi che mai sono stati valorizzati in alcun processo penale”, sono le durissime parole usate appena un anno fa dalla pg Gravina per descrivere il lavoro della procura di Milano, quando ha chiesto l’assoluzione degli imputati in un troncone del caso Eni-Nigeria.
E confermate ora con la decisione di non fare appello contro le assoluzioni di primo grado. Allora la Gravina parlava di un’accusa “che non esiste in natura”, di un’imputazione che è “una chimera composta di pezzi di fatti” assemblati da una “stigmatizzazione moralistica”e da una “ideologia terzomondista”. Si tratta, in sostanza, di un processo che non sarebbe neppure dovuto iniziare. E non si può neppure dire, come si usa di solito, che “giustizia è fatta”.
Da un lato perché l’enorme spreco di risorse per mettere in piedi questo processo ha causato anni di ingiuste sofferenze agli imputati ed enormi danni economici e reputazionali a Eni e Shell, che a 11 anni dall’acquisto pienamente legittimo di quella licenza esplorativa hanno investito 2,5 miliardi di dollari senza aver estratto neppure un barile di petrolio, proprio perché tutto è stato bloccato dal procedimento giudiziario.
Dall’altro perché sono ancora aperte le vicende giudiziarie dei pm De Pasquale e Spadaro, accusati di aver nascosto le prove alla difesa, e di Amara e Armanna, i due supertestimoni ritenuti affidabili dalla procura di Milano e ora accusati dalla stessa procura di calunnia per aver accusato “pur sapendoli innocenti” i vertici dell’Eni.
Insomma, ciò che è certo è che se nell’inchiesta Eni-Nigeria c’è un reato, il reato è l’inchiesta. Resta da capire come sia possibile – e questo è un problema del funzionamento della giustizia – che accadano cose del genere.
Luciano Capone (Il Foglio 20 luglio 2022)