All’inizio sembrava che la questione dello stadio Meazza San Siro fosse una questione prevalentemente se non esclusivamente tecnico-sportiva, tra chi pensa che lo stadio Meazza possa essere rinnovato senza demolirlo (come è successo in altri importanti stadi europei) e chi pensa, invece, che solo la sua demolizione e ricostruzione totale o quasi potrà dotare le squadre (di nascita e storia milanese ma attualmente di controllo cino-americano) di uno stadio all’altezza delle loro ambizioni sportive ed economiche.
Poi si è incominciato a capire che non si trattava di una questione meramente tecnico-sportiva ma di una grande questione urbanistica. Chi ha aiutato la cittadinanza a capire questo passaggio sono stati gli stessi operatori interessati, con le loro pretese esagerate. Per spiegare e giustificare pretese così esagerate, la partita in gioco doveva essere ben più grossa della semplice esigenza di dotare Milano di uno stadio di calcio più moderno. Ma appena si imbocca, come si deve, la riflessione urbanistica subito i temi si allargano e si arricchiscono e diventano non più solo urbanistici ma di strategia generale cittadina e metropolitana. Ci si rende conto che, da come si affronterà la questione dello stadio Meazza, dipendono tante altre questioni di importanza strategica per la città e per l’area metropolitana. E a questo punto le domande importanti che si affollano alla mente si moltiplicano.
Ma veramente la questione si riduce a dare una risposta all’esigenza delle squadre cino-americane di Milano di poter contare su uno stadio di calcio supermoderno più qualche nuovo grattacielo per superricchi, magari abitati da super campioni e super dirigenti entrambi superpagati, che hanno portato il calcio italiano nuovamente sull’orlo del fallimento, o non è piuttosto il momento di cogliere l’occasione della necessaria modernizzazione dello stadio per sviluppare un grande progetto urbanistico e di crescita civile di ampio respiro? Non può essere questa l’occasione per realizzare un progetto di sviluppo e valorizzazione dell’ampia area nella quale è inserito lo stadio ( ma non solo questo!) ed i suoi abitanti, area che si presta in modo mirabile ad essere interamente riqualificata, sviluppata e meglio collegata con l’area metropolitana, per contribuire così a fare Milano più bella, più civile, più città? E in quale considerazione va tenuta non solo la modernizzazione dello stadio ma anche la modernizzazione dei trasporti? E come si lega con il tema dello stadio quello della valorizzazione di altre aree connesse ma non armonicamente legate tra loro? E come sistemare altre aree e manufatti che, per trascuratezza o mancanza di coordinamento e lucidità urbanistica e strategica, sono imbruttiti o male utilizzati?
Ma proseguendo l’esame dei temi urbanistici e strategici cittadini si finisce, inevitabilmente, per dover affrontare i temi economici. Un manager sportivo di livello internazionale e del quale ho la massima stima mi scrive: “È sbagliato il processo, sono sbagliati gli economics ma non l’idea di volere un nuovo stadio a Milano. San Siro è inadatto alla moderna fruizione dello spettacolo sportivo e non. Le parlo con cognizione di causa. Mancano strutturalmente, in almeno quattro aree, le condizioni base di fruizione. Ma trovo errato il percorso di coinvolgere in prima istanza le archistar senza aver fatto a monte un piano sportivo, urbanistico, finanziario, marketing e commerciale. Sicuramente penso che al giorno d’oggi un investimento immobiliare sportivo di oltre un miliardo non sia sostenibile. Negli oltre 280 impianti sportivi costruiti in Europa, negli ultimi dieci anni, ci sono esempi di rapporto qualità/ prezzo straordinari. Primo fra tutti lo stadio RCDE Stadium di Barcellona costato 55 milioni per una capienza di 40000 spettatori. Andrebbe studiato un utilizzo da community stadium come fatto altrove. C’è una penuria di impianti multifunzionali in vasti territori e mi sembra che Milano non sfugga a questa situazione. All’estero abbiamo casi in Germania, Svezia, Inghilterra, Francia, Polonia, Olanda, Portogallo, Spagna. Tutto questo sarebbe possibile se nel processo dovessero essere coinvolte persone con esperienze specifiche, capacità di anticipazione e visione, questo non solo nelle società sportive, ma soprattutto nelle istituzioni coinvolte. Ho l’impressione che le best practice internazionali non le abbia studiate nessuno degli attori coinvolti a Milano”.
E Mario Nicoliello, studioso italiano dell’economia del calcio e dello sport in generale, dopo aver letto quanto sopra, mi scrive: “Io non sono un esperto quanto lui e quindi non ho elementi per giudicare se la sua posizione (“la ristrutturazione è tecnicamente impossibile”) sia quella corretta oppure no. D’altronde nella mia precedente nota, non ho parlato né di optare per la demolizione, né di preferire la ristrutturazione. Mi sono semplicemente focalizzato su altri aspetti. Nel prendere posizione su un tema che mi appassiona ho voluto semplicemente mettere sul tappeto due elementi che nessuno fino a quel momento (settembre 2021) aveva considerato:
- a) le Olimpiadi invernali 2026: una certezza
- b) le Olimpiadi estive: un sogno per il futuro.
In merito al punto a), posso dire che l’argomento è ora entrato a pieno titolo nel dibattito, tanto che è stato convenuto che i lavori per l’impianto futuro (sia che si tratti di ristrutturazione, sia che si tratti di demolizione) non scatteranno prima di febbraio 2026. Possiamo quindi dire che aver sollevato quell’argomento a settembre è servito quanto meno a scongiurare che i lavori potessero scattare subito e non concludersi prima della data fatidica. Sono felice quindi di aver messo l’argomento sul tavolo e del fatto che da ottobre tutti lo hanno affrontato. Ma voglio riagganciarmi alle sue considerazioni finali: “mi piace vedere il futuro, sognare e scrivere quale potrebbe e dovrebbe essere la casa dello sport del prossimo decennio”. (sottolineatura da me aggiunta).
Sono felice che lui abbia parlato di sport e sia andato oltre il calcio. Il punto che vorrei sostenere è che a mio avviso è indispensabile che nella governance del nuovo impianto – indipendentemente se questo scaturisca da demolizione o ristrutturazione – ci debba essere la parte pubblica, perché il nuovo San Siro deve contemplare non solo le esigenze dei club ma anche quelle sportive della città.
Detto ciò, avanzerei un quesito legato a una aspirazione: la città di Milano desidera organizzare i Giochi olimpici estivi nel giro dei prossimi quindici anni (il primo slot libero è datato 2036) o no?
Se la risposta è sì, io contemplerei già nella progettazione del nuovo impianto la possibilità dell’utilizzo multifunzionale, così da poterlo porre al centro di un eventuale percorso di candidatura per accaparrarsi l’organizzazione dei Giochi. Se invece la risposta è no, allora che si pensi solo alle esigenze del calcio e che si seguano le best practice internazionali, esclusivamente in materia calcistica”.
E, aggiungo io, si facciano quadrare i conti con la speculazione immobiliare. Sono state queste parole di un manager sportivo di grande competenza internazionale e onestà intellettuale, convinto che il Meazza vada rifatto strutturalmente che, incrociate con le affermazioni di Mario Nicoliello e del sindaco, mi hanno dato la chiave di lettura finale. Non è solo una questione tecnico-sportiva, ma neanche solo una questione urbanistica, né di strategia cittadina generale, né solo economica. Si tratta di una questione più importante, più radicale, più complessa. Si tratta di una questione di: DIGNITÀ PER MILANO.
Di fronte a temi così complessi e che richiedono tante diverse competenze ed esperienze, come può il sindaco rivendicare di decidere lui da solo previa consultazione con i diretti interessati? Come può affermare di poter disporre di una zona importantissima della città sulla base di una sua semplice personale trattativa privata, senza coinvolgere le competenze professionali della città, il consiglio comunale, l’opinione pubblica, il sentimento cittadino? Come può offendere un cittadino, ricco ma mai sbruffone e sempre misurato, un vero milanese nel senso migliore, come Massimo Moratti, con una affermazione di grossolanità rara tipo: se vuole San Siro se lo compri? È vero che questa infelicissima uscita è stata poi ritrattata ma già Metastasio ci aveva insegnato che “voce dal sen fuggita poi richiamar non vale” (secondo atto, opera Ipermestra). E prima di lui un altro poeta, Orazio (nell’Arte poetica) aveva affermato che “nescit vox missa reverti”. La verità vera è, dunque, che la questione è stata condotta in modo non solo offensivo per Moratti ma per la città intera. La questione vera è quindi semplicemente una questione di: Dignità per Milano. È questo ciò che rende la questione così maledettamente triste e maledettamente importante. Ma non è mai troppo tardi.
Marco Vitale
(scritto per “Odissea” – https://libertariam.blogspot.com – del 2 dicembre 2021
e qui pubblicato per gentile autorizzazione dell’autore)
Milano, 5 dicembre 2021
Bravo Marco!
Ottime considerazioni, come sempre da Marco.