C’erano una volta delle amministrazioni pubbliche che cercavano di arricchire il patrimonio pubblico per le future generazioni. Facevano anche dei debiti per realizzare nuove infrastrutture per i cittadini, come le metropolitane o il passante ferroviario o il cavalcavia Kennedy. Non ha inventato Draghi, la storia del debito buono e di quello cattivo.
Senza andare lontano nel tempo, si costruirono case con la 167; si compì la municipalizzazione della rete del gas con l’obiettivo della metanizzazione, con una politica energetica all’avanguardia; si costruì la nuova sede del Piccolo Teatro; si acquisì la proprietà del Teatro Puccini e dell’Ansaldo, in base ad una visione urbanistica dei servizi per la città. Il Comune di Milano acquistò la Pietà Rondanini di Michelangelo, la tomba di Gastone de Foix di Agostino Busti, detto il Bambaia, o la grande collezione Jucker con la più importante raccolta mondiale dei futuristi.
E poi il Comune investì anche nelle nuove tecnologie, come per esempio il cablaggio con le fibre ottiche della città, attraverso la sua azienda municipalizzata AEM. Altri tempi e altre storie che forse molti giovani consiglieri comunali di Milano non conoscono.
Negli ultimi trent’anni, in omaggio allo smantellamento delle partecipazioni comunali, al grido “basta con le IRI locali”, si è andati alla privatizzazione di molte aziende: grida vendetta il modo in cui il Comune si è disfatto di Metroweb (non parlo, della AEM, per carità di patria). Dopo la vendita delle società pubbliche, adesso si procede alla vendita del patrimonio edilizio pubblico. Dicono che lo fanno per “valorizzarlo”.
Se servisse a nuovi investimenti sarebbe buona cosa.
Non mi pare che ci siano programmi precisi per nuovi investimenti, se non generici discorsi sulle periferie (che richiedono ben più delle alberature). Chessò : vendo il Pirellino, – e abbandono un’ area dove con i soldi dei contribuenti si è realizzata la più importante operazione di trasporto pubblico della Lombardia, collocando quell’area al centro della regione – perché ho in animo di costruire nuovi moderni avanzati quartieri di edilizia residenziale “popolare”, secondo nuovi concetti edilizi e urbanistici, e nel contempo abbatto e rifaccio quartieri popolari oggetti di degrado, edilizio, urbanistico, sociale, e di fatto in mano a gruppi organizzati illegali.
No, si vende il Pirellino per 194 milioni e poi si va a comprare tre stabili in periferia, sparpagliando gli uffici comunali e spendendo 105 milioni a cui bisogna aggiungere i 17 milioni spesi dal Comuni per togliere l’amianto dal Pirellino più 18 spesi per gli affitti di via Bernina: con i 54 avanzati che cosa fa il Comune? Abbellisce le vie, fa piste ciclabili, pianta degli alberi in via Padova?
C’è una smania di vendere: vende il Palazzo dello Sport in Piazza Sei febbraio, vende gli uffici in via San Tomaso, in largo Treves, in via Edolo, etc, ma con quale logica ? Abbattere il debito del Comune ? E con le vendite di AEM, Sea, Farmacie, Centrale del latte e via dicendo, il debito di quanto è stato ridotto? Si consideri che lo Stato, da gennaio 2020, si è accollato una parte dei debiti dei Comuni italiani, dopo quello di Roma, e quindi anche Milano avrà un beneficio.
L’Anci calcola che i Comuni risparmieranno quasi 900 milioni e quindi anche il Comune di Milano avrà un vantaggio e quindi non pare così urgente la dismissione del patrimonio edilizio comunale, pardon la “valorizzazione”. Se poi vendere 25.000 mq a 30 milioni è una equa remunerazione del patrimonio, confesso che ho dei dubbi. Così come, anche se la cifra di vendita appare consistente, solo perché il fondo del Qatar voleva possedere il centro della Lombardia. non trovo giusta la vendita del Pirellino, con premio volumetrico connesso.
Quello che mi sfugge è lo scopo di queste vendite: non vedo e dai giornali (mai stati tanto ossequienti a Palazzo Marino) non appare per nulla la visione politica che accompagna queste vendite.
C’è un piano di riorganizzazione della macchina comunale, per distribuirla in più sedi e rendere i servizi ai cittadini più diretti, più efficaci e più efficienti? E come si concilia questa organizzazione con la digitalizzazione della pubblica amministrazione? Più che ad alcune edicole, speravo che fosse consentito al cittadino di avere la possibilità di stamparsi i documenti.
E poi come si concilia questa ricollocazione dei lavoratori comunali con un progetto di “smart working” – non è il lavoro d’ufficio a distanza, a casa, come fatto durante il confinamento, – che è una organizzazione per progetti, per obiettivi, con verifica di risultati e prestazioni, ecc.?
E poi che piano ha l’amministrazione comunale per la cultura? A Porta nuova non c’è una struttura culturale pubblica, neanche una moderna biblioteca: nel luogo più servito di mezzi pubblici di tutta la Lombardia. C’era il Pavillon dell’Unicredit che doveva essere destinato ad attività culturali, ma che, per le vicende economiche della banca, ha mutato destinazione d’uso e il Comune non ha fatto una piega, neanche un plissé, come dicono a Milano.
Ma l’altra domanda che si pone, alla luce della pandemia: il Comune dove pensa di trovare gli spazi nella città, per organizzare stabilmente per il futuro, centri ambulatoriali, per la prevenzione, la diagnosi, la cura e la riabilitazione, e dove anche organizzare gruppi di medici di base e di medici specialisti ? Se c’è una cosa che la pandemia dovrebbe avere insegnato a tutti è che la medicina territoriale di base con servizi di assistenza socio sanitaria, diffusa e qualificata, è essenziale per garantire il carattere universale, per tutti e soprattutto per quelli meno abbienti, della sanità. E allora il Comune e i nove municipi dovrebbero essere il punto di riferimento di una riorganizzazione delle attività sociosanitarie territoriali: in questo sta anche la funzione politica, la visione politica del Comune, che spinga anche con le sue azioni in direzione di una totale revisione della sciagurata legge Maroni.
E allora spazi, uffici, scuole, e altri immobili dovrebbero essere visti anche in questa dimensione “politica”.
E le stesse strutture che il Comune continua a cercare di vendere (scuole di periferia o strutture importanti come il vecchio ospedale di Garbagnate inserito nel parco delle Groane e, per i privati, poco appetibile per i vincoli storico paesaggisti) potrebbero essere viste con l’ottica dell’ampliamento dei servizi culturali, formativi, e sanitari della città e dell’area metropolitana.
Luigi Corbani
(pubblicato su Arcipelago Milano 12 aprile 2021)
Caro Luigi, come hai ragione! Come è stata smontata questa città a vantaggio di altri! Cerchiamo di fare qualcosa!
Giorgio
Sai già come la penso: parole sante. Senza la proprietà dei suoli si è vittima della speculazione. Con là proprietà dei suoli si evita i almeno si condiziona la speculazione. Questa politica di vendita di proprietà pubbliche è il sintomo di una collusione cin la speculazione