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Cambiare? Sì, cambiare la “Grande Milano”

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Abbiamo compreso quasi tutti, che la quarantena, il confinamento non curano il male, ma servono ad evitare la diffusione del contagio e che qualsiasi epidemia si risolve con le famose tre T (trovare, trattare, testare) nel territorio.  Milano deve ripartire da questa consapevolezza per adottare tutte le misure che, in futuro, comunque, impediscano il blocco della città. Milano deve ripensare totalmente al suo modo di essere, contribuendo così alla rinascita del Paese.

Oggi, più che mai, anche per la condizione generale della Lombardia e del Paese (il deficit pubblico, la caduta del Pil, il debito pubblico) occorre rimboccarsi le maniche, lasciar perdere le abitudini del passato. Non sarà una strada semplice, sconfiggere luoghi comuni e innovare le infrastrutture e  la struttura della città: gli orari della città, l’occupazione femminile, i servizi alla persona, la dimensione internazionale della formazione e dell’informazione, i cambiamenti di destinazione di larghe parti della città e dei suoi edifici, le periferie.

Non si può pensare alla organizzazione della vita della città e del lavoro, dopo questa vicenda della pandemia, senza pensare che dobbiamo distribuire tutte le attività in un arco di tempo più lungo: 24 ore su 24, e 365 giorni l’anno. Sarebbe un errore pensare che si possa tornare alle vacanze concentrate in meno di un mese (agosto) o agli uffici pubblici (non parlo solo di quelli comunali) chiusi al sabato e la domenica, e non lo dico solo in funzione del trasporto pubblico o del carico e scarico delle merci.

Anche sotto il profilo del turismo (Milano è la terza città di Italia per flusso turistico), che per lungo periodo sarà di origine prevalentemente interna, ha bisogno di orari di tutte le strutture distribuite su tutto l’anno, con attività culturali distribuite sette giorni su sette e in un arco orario di almeno sedici ore.  Così come le analisi mediche e gli esami sanitari  possono essere realizzati anche nella notte: perché la tac non può essere fatta alle due di notte ?

Lo sviluppo della banda larga in tutta l’area metropolitana  dovrebbe consentire l’accesso a tutti i servizi pubblici 24 ore al giorno: per questo occorre anche un lavoro di alfabetizzazione informatica, di educazione digitale della popolazione, non solo quella anziana. Possiamo cercare di eleminare le giornate del ritiro della pensione e l’uso della moneta digitale, anche per gli anziani, che sono il 25% della popolazione della “Grande Milano”.

In particolare in tutta la pubblica amministrazione, lo sviluppo dello “smart working”, che non è il semplice trasferimento del lavoro a casa, ma è la ridefinizione del lavoro per obiettivi e risultati, deve consentire di  eliminare gli impedimenti burocratici per il cittadino e le imprese, e rendere più efficace, più efficiente e tempestivo il servizio pubblico. Che senso aveva il catasto chiuso in questo periodo di pandemia? E che senso ha la quantità di carta che ancora circola in tutta la pubblica amministrazione, compresa la giustizia ?

Lo sviluppo dello “smart working” comporta anche la dismissione di molti edifici destinati agli uffici o al terziario, il che comporta un cambio di destinazione d’uso, a favore di strutture residenziali, ricettive, educative e culturali. Spazi che dovrebbero tornare utili per l’ampliamento dei servizi e la modernizzazione delle scuole.

Uno sviluppo della occupazione femminile comporta anche uno sviluppo dei servizi, pensiamo agli asili nido e alle scuole materne. Il loro incremento diventa un elemento decisivo di una politica di natalità, di cui abbiamo assoluto bisogno. Ma pensiamo anche alla riduzione del numero degli allievi per classe, il che, insieme alla ristrutturazione o all’abbattimento di scuole inadeguate strutturalmente e energeticamente deficitarie, comporta un ripensamento della rete di formazione, che dovrebbe essere un punto decisivo della Milano del prossimo futuro.

La “Grande Milano” dovrebbe promuovere un coordinamento generale tra tutte le università per realizzare servizi adeguati (alloggi, trasporti, accesso gratuito alle attività culturali ) per gli studenti, in modo anche di proporsi come la città “universitaria” per i paesi dell’Africa, dell’America Latina, del Medio Oriente, del Mediterraneo per la formazione delle classi dirigenti future. E i progetti già avviati per la “Città della ricerca” dovrebbero essere adeguatamente sostenuti nel futuro, anche dal punto di vista delle attività culturali. Penso alle “Lombardiadi” della ricerca, della scienza, dell’architettura, della medicina, ecc.: eventi in cui, anche da remoto, si confrontano le esperienze di tutto il mondo nei diversi campi.

Sotto questo profilo, sarebbe importante realizzare a Milano un centro mondiale di raccolta di tutti i brevetti di produzione e di prodotto, realizzati e depositati nel mondo.  Così, anche diffuse nel territorio, sarebbe interessante ed educativo realizzare delle “Hall of fame” che in progredire, raccolgano la storia e le novità, compiute dai milanesi e dai lombardi  nei diversi campi della medicina, della fisica, della chimica, della ingegneria, della produzione automobilistica, della filosofia, della musica, della letteratura, delle relazioni internazionali ecc.: Camillo Golgi, Luigi Mangiagalli, Pietro Bucalossi, Antonio Banfi, Ernesto Teodoro Moneta, Salvatore Quasimodo, Giulio Natta, Eugenio Montale), Dario Fo, solo per citare alcuni nomi.  Due punti essenziali dovrebbero essere creati attorno alle figure di Leonardo e Verdi.

La riorganizzazione dei musei per una loro specializzazione e diffusione nel territorio sarebbe un potente strumento di superamento delle distanze tra centro e periferia, che consentirebbe di fare centri per le esposizioni permanenti, temporanee, di raccolta dati e di informatizzazione di tutte le notizie inerenti il periodo e gli autori presenti nelle collezioni. La diffusione delle biblioteche (informatizzandole, il più possibile) e la difesa della presenza delle librerie sono due delle principali misure di sviluppo culturale della città insieme alla promozione e diffusione delle attività di teatrali, musicali, e cinematografiche: la “Grande Milano” e le strutture storiche, artistiche e architettoniche, vivono se c’è una attività culturale e di spettacolo diffusa, che superi anche la sproporzione  tra somme  spese per la formazione artistica e investimenti per la produzione culturale.

La vicenda della pandemia ha posto in rilievo drammatico i problemi dei servizi alla persona. Rimane il punto fondamentale che la assistenza sanitaria deve essere nel territorio, prima che negli ospedali, con attrezzature idonee per la prevenzione e la cura, prima della spedalizzazione, in particolare per la popolazione anziana. Un grande sforzo deve essere fatto per trasformare le “residenze sanitarie per anziani” o le “case di riposo” in case e abitazioni con assistenza.

Vuol dire aggredire il problema degli anziani, non con le case di riposo, ma con le case in cui gli anziani hanno strutture sanitarie e ricreative, mense e servizi di pulizia collettivi: il che vuol dire ripensare ai quartieri con demolizioni e riedificazioni con una dimensione metropolitana del fenomeno.

E dobbiamo ricordare che sempre più abbiamo bisogno di abitazioni per quella popolazione straniera che realizza quei lavori (nell’edilizia, nel turismo, nella assistenza domestica e nella cura delle persone) che gli italiani non fanno più da tempo.

E l’assistenza alle persone sul territorio, in un contesto di promiscuità intergenerazionale, interrazziale, interreligioso e interclassista (sì, esistono ancora le classi sociali) pone l’esigenza di rifare molte periferie, all’insegna dell’efficienza e della bellezza, del recupero del verde e della costruzione di servizi (sociali, assistenziali, ricreativi, culturali) come elemento basilare della integrazione tra centro e periferia, come elemento unitario della vita dei cittadini.  La manutenzione degli edifici, quelli pubblici in primo luogo, garantendo anche una nuova efficienza energetica, comporta anche un vero piano di “certificazione di identità” degli edifici.

La “Grande Milano” deve essere il centro  di progetti e di sperimentazioni di mobilità sostenibile. La mobilità (due milioni e cento mila persone al giorno) d’altra parte non può essere demandata alle biciclette e laddove ci sono piste ciclabili non ci può essere trasporto privato, se non quello senza emissioni nocive. Per cui, è necessaria, a mio parere, una chiusura drastica alle auto private (e le moto sono meno nocive?) di zone della città: altro che zona B o C, non la tassa sull’inquinamento, ma la neutralizzazione delle fonti di inquinamento, anche quelle di riscaldamento domestico o degli uffici.

Possiamo realisticamente pensare che l’uso della bicicletta, che oggi è il 7% di tutta la mobilità, raddoppi o triplichi? In realtà, a me sembra, che dobbiamo puntare a più trasporto pubblico su ferro, elettrico o, meglio, ad idrogeno, disegnando una mappa regionale, con servizi ad orari continui e più frequenti, in relazione anche a un piano di tutti gli orari.

Si tratta anche di realizzare nuovi interventi, che garantiscano una mobilità da e per Milano, che eviti l’aumento del trasporto privato: già oggi ci sono 600.000 auto che provengono da fuori Milano. E insieme, una politica che aumenti progressivamente il parco macchine e moto ad elettrico o ad idrogeno. Gli obiettivi di economia circolare per lo sviluppo sostenibile, con innovazioni nelle tecnologie per il riciclo dei rifiuti e per il trattamento delle acque, rendono necessaria la collaborazione con l’Eni  (la maggior azienda italiana, per di più pubblica e  con sede nella “grande Milano”) che ha elaborato attività all’avanguardia nel mondo per la produzione di biocarburanti e biometano da rifiuti, o di idrogeno da rifiuti plastici.

Si dovrebbe dare una dimensione reale di governo all’aera metropolitana: il presidente e i consiglieri della “Grande Milano” dovrebbero essere eletti dal popolo per dare loro maggiore ruolo e potere. E la Regione dovrebbe tornare ad essere un luogo legislativo, come previsto dalla Costituzione originaria, senza compiti amministrativi di nessun genere che invece spettano ai Comuni e alla “Grande Milano”.

Abbiamo bisogno di una “Grande Milano” che ponga, per l’oggi, con forza, al Governo e al Parlamento alcune questioni essenziali: il pagamento immediato dei debiti, la compensazione da subito di debiti e crediti fiscali; la fiscalizzazione degli incentivi agli investimenti informatici e tecnologici.

La “Grande Milano” dovrebbe anche favorire l’accordo delle associazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese per la cogestione delle attività economiche (iniziando da quelle comunali), anche al fine di favorire gli investimenti tecnologici nelle imprese, di capitalizzarle e di aumentare quindi la produttività.

Una drastica riduzione della spesa pubblica (anche con parametri di produttività della stessa) deve servire a rilanciare una pubblica amministrazione al servizio del cittadino e delle imprese: l’autocertificazione è la base del lavoro prossimo venturo, i controlli si fanno dopo, e il superamento, del codice degli appalti (come è stato fatto per il Ponte di Genova e l’Expo) deve essere la regola, non l’eccezione.

Abbiamo bisogno di mobilitare le risorse pubbliche, di favorire gli investimenti privati, di sollecitare il risparmio privato (il prestito “Grande Milano per la rinascita”) ad investire nella riorganizzazione della città, delle sue funzioni e del suo ruolo.

Abbiamo bisogno di una classe dirigente che sappia guardare al futuro, non alle prossime elezioni comunali o regionali, che sappia prospettare un progetto basato sulla valorizzazione del merito e della solidarietà, un programma reale di lungo respiro.

E una classe dirigente seria pone all’ordine del giorno, come interesse della Lombardia, la costruzione di una Europa con una integrazione reale sui temi del fisco, delle imposte per le imprese e per le attività finanziarie, dei diritti dei lavoratori e della regolamentazione del lavoro, della previdenza e della assistenza sanitaria, della polizia interna contro la criminalità organizzata e della difesa esterna, di una politica del Mediterraneo, dell’Africa e della Europa dall’Atlantico agli Urali.

Ma il punto centrale è che una classe dirigente vera parlerebbe al Paese, in questo momento, con il linguaggio della verità. Stiamo andando a un debito superiore al 160% del prodotto interno lordo, circa 43.000 euro di debito per persona. E questo non è un problema che dobbiamo affrontare perché l’Europa ce lo chiede: dobbiamo affrontarlo noi per non affondare, per non sprofondare. E in primo luogo, la “Grande Milano”.

Luigi Corbani

(pubblicato su “Arcipelago Milano”,Milano, martedì 12 maggio 2020)

3 thoughts on “Cambiare? Sì, cambiare la “Grande Milano””

  1. Luigi Corbani ha detto:
    Maggio 17, 2020 alle 5:49 pm

    Ricevo da Fabrizio Ferri

    Uno scritto pragmatico, razionale, costruito sull’esperienza e sulla capacita’ di abbracciare con uno sguardo ampio e privo di retorica le questioni. Le tue parole pesano e contano perche’ sono mirate a far coincidere visione e realta’: il lavoro che ci aspetta!
    Grazie Luigi!

    Rispondi
  2. CESARE PREVEDINI ha detto:
    Maggio 17, 2020 alle 7:36 pm

    Caspita! Non é che sia frequente trovare proposte così articolate e con vista prospettica. Condivido lo spirito certamente. Mi viene in mente un commento immediato: una proposta di queste dimensioni non è pensabile riferirla alla sola Lombardia. Per esempio presuppone una politica di trasporti ( per esempio una delle aree di influenza di Milano è Piacenza che non è in Lombardia ) e anche una politica sanitaria globale.
    In questa logica mi sembra anche che la struttura delle nostre regioni che sono entità geografiche che derivano dalla Italia del Risorgimento non sia assolutamente realistica e corrispondente alle prospettive disegnare nel tuo articolo

    Rispondi
  3. Pingback: Sognare Milano - Il Migliorista

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