Nella lingua francese il femminile di maître è maîtresse. Si dice “maître à penser” per riferirsi a una guida intellettuale e culturale. Non si dice mai maîtresse. E non è una discriminazione di genere. Il termine, infatti, non ha un significato propriamente elogiativo, per cui non lo userò.
Non so, dunque, come riferirmi alla conduttrice di “Domenica In” che ieri in trasmissione ha avvertito la necessità di salutare Antonio Pallante. Per chi non lo sapesse, Pallante il 14 luglio 1948 cercò di uccidere Palmiro Togliatti, segretario nazionale del Partito Comunista Italiano, sparandogli quattro colpi di pistola alle spalle in piazza Montecitorio.
La reazione all’attentato fu immediata: la guerra era terminata da appena tre anni, gli animi erano caldi per le vicende politiche recenti e le armi dei partigiani erano ancora disponibili e ben oliate. Si era appena conclusa una violenta campagna elettorale che aveva contrapposto la sinistra del Fronte Popolare alla Democrazia Cristiana e alla destra. Il risultato di tale campagna fu la definitiva rottura dell’unità politica del Comitato di Liberazione Nazionale che aveva diretto la Resistenza.
A seguito dell’attentato vi furono scontri tra dimostranti di sinistra e la polizia a Milano, Roma, La Spezia, Napoli, Genova, Livorno, Taranto. La CGIL proclamò lo sciopero generale e a Torino i lavoratori occuparono le fabbriche. In FIAT sequestrarono l’amministratore delegato Vittorio Valletta.
Togliatti dal letto d’ospedale rivolse al suo Partito, dirigenti e militanti, un deciso appello per la cessazione di ogni azione violenta. Questo appello alla pacificazione evitò una guerra civile e un bagno di sangue.
Occorre ricordare che lo stesso Togliatti, appena un anno prima, nel novembre 1947, intervenne per mettere fine all’occupazione della Prefettura di Milano attuata da partigiani, militanti e dirigenti del PCI, capeggiati da Giancarlo Pajetta, per protesta contro la rimozione del prefetto Ettore Troilo.
A Pajetta che telefonando a Roma alla direzione nazionale del PCI per comunicare l’avvenuta conquista manu militari della Prefettura, Togliatti rispose: “Bene, e adesso che cosa te ne fai?”. E così mise fine a un’avventura pericolosissima per la giovane democrazia italiana.
Ora, chi e che cosa ha suggerito alla inossidabile conduttrice di “Domenica In” di rivolgere un saluto dallo schermo della RAI, televisione pubblica, all’attentatore di Togliatti? La dirigenza RAI? Gli attuali detentori del potere politico? Il consueto opportunismo e conformismo del conduttore buono per tutte le stagioni? L’ignoranza storica? La volontà di partecipare a una squallida campagna revisionista? La superficialità? Mah!
Lo stesso giorno, ieri, a “Che tempo che fa”, di fronte a un altrettanto inossidabile conduttore, Alessandro Di Battista poteva sproloquiare senza contraddittorio sulla TAV, la situazione politica, l’Europa, etc. anche in questo caso valgono alcune delle domande retoriche sopra esposte.
Resta il fatto che ormai da troppo tempo negli studi televisivi nazionali (siano essi pubblici o privati), può essere detto tutto e da chiunque, allo scopo o con il risultato di avvelenare le coscienze e obnubilare le menti degli italiani. Una allegra compagnia di aspiranti maître à penser di varia origine e provenienza: riciclati o parvenu, tutti allegramente partecipi di una continua, diffusa e spregiudicata operazione di intossicazione per via mediatica.
Mala tempora currunt (ma questo è parlare da élite e non si può dire in televisione).
Pepito Sbazzeguti
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