A commento del risultato delle elezioni in Polonia, riporto qui l’editoriale di oggi de “Le Monde” che condivido totalmente:
Ci sono state vittorie più brillanti e sconfitte più schiaccianti. La rielezione di Andrzej Duda, riconfermato, domenica 12 luglio, per un secondo mandato presidenziale, a capo della Polonia, è ovviamente, prima di tutto, un successo per il partito conservatore-nazionalista “Diritto e Giustizia” (PiS), che governa il Paese dal 2015. Il bel punteggio ottenuto dal suo avversario, il sindaco liberale di Varsavia Rafal Trzaskowski, tuttavia, è un clamoroso avvertimento per il potere.
Lanciatosi in ritardo nella gara, poiché la candidata iniziale del partito di opposizione “Piattaforma civica” (PO), in grande difficoltà nei sondaggi, si era ritirata meno di due mesi fa, Trzaskowski non solo è riuscito a imporre il secondo turno di ballottaggio al presidente Duda, è anche riuscito a mobilitare le forze democratiche polacche in modo straordinario
Il tasso di partecipazione del 68% alle elezioni di domenica, la più alta affluenza alle urne dalle storiche elezioni del 1989, quando cadde il regime comunista, conferma la forza dello slancio democratico generato dalla campagna del sindaco di Varsavia.
Il suo punteggio personale, 48,79% dei voti, contro il 51,21% di Duda, secondo i risultati provvisori pubblicati lunedì mattina, dimostra che è stato capace di unire l’opposizione al PiS, la quale era sparpagliata al primo turno.
Ha confermato anche la tanto attesa successione alla guida di “Piattaforma civica” PO , che non si era mai veramente ripresa dalla partenza per Bruxelles di Donald Tusk, allora Primo Ministro, né dalla vittoria del partito guidato da Jaroslaw Kaczynski nel 2015. La vecchia guardia ha finito per cedere il posto; l’opposizione democratica polacca, dopo aver ottenuto la maggioranza al Senato nel 2019, è ora in corsa, con l’obiettivo delle prossime elezioni legislative nel 2023. Questa energia democratica distingue la Polonia da altri paesi, in particolare dall’Ungheria, dove i sostenitori della “democrazia illiberale” sono riusciti a schiacciare l’opposizione.
L’impresa principale di Rafal Trzaskowski e del suo partito è infatti quella di aver sfiorato la vittoria, fronteggiando la macchina PiS schierata durante questa campagna, in particolare con i media pubblici, sui quali Kaczynski esercita un controllo assoluto. Un tale squilibrio non è un titolo d’onore per il presidente rieletto, non di più dei suoi attacchi contro gli omosessuali né del suo viaggio lampo a Washington, quattro giorni prima del primo turno, per andare ad elemosinare al presidente Trump le truppe americane che quest’ultimo afferma voler ritirare dalla Germania.
L’altra lezione di queste elezioni è la persistenza della divisione del paese in due molto distinte Polonie, quella delle grandi città e dell’ovest del paese, che ha votato Trzaskowski, e quella delle campagne e dell’est, che ha rieletto Duda. Il partito di Kaczynski avrebbe torto a sottovalutare questa divaricazione, ormai familiare nella sociologia politica di molti paesi occidentali: in realtà non può continuare a governare contro metà dell’elettorato polacco e non dovrebbe quindi prendere la vittoria di Duda come incoraggiamento a rafforzare il controllo del partito sui media e sulla magistratura.
Infine, anche l’Unione europea deve analizzare attentamente il risultato di queste elezioni. Nel momento in cui si negozia un piano eccezionale di rilancio per combattere la crisi economica dovuta alla pandemia di Covid-19, di cui è probabile che la Polonia sia uno dei maggiori beneficiari, è imperativo che questi nuovi miliardi di euro non vengano assegnati, se le norme dello stato di diritto, comuni agli Stati membri dell’Unione Europea, non sono rispettate anche a Varsavia.
(La traduzione è mia, e per chi volesse leggere l’originale, allego qui il testo di “Le Monde” Luigi Corbani, lunedì 13 luglio 2020)
Un président, deux Pologne
On a connu victoires plus éclatantes et défaites plus écrasantes. La réélection d’Andrzej Duda, reconduit, dimanche 12 juillet, pour un second mandat présidentiel, à la tête de la Pologne, est évidemment, d’abord, un succès pour le parti conservateur-nationaliste « Droit et justice (PiS) », qui gouverne le pays depuis 2015. Le beau score atteint par son adversaire, le maire libéral de Varsovie Rafal Trzaskowski, constitue cependant un retentissant avertissement pour le pouvoir.
Parti tard dans la course, M. Trzaskowski, au profit duquel la candidate initiale du parti d’opposition « Plate-forme civique (PO) », en grande difficulté dans les sondages, s’était désistée il y a moins de deux mois, n’a pas seulement réussi à imposer un second tour au président Duda ; il a aussi remobilisé les forces démocratiques polonaises de manière spectaculaire. Le taux de participation de 68 % à l’élection de dimanche, le plus élevé. depuis le scrutin historique de 1989, au moment de la chute du régime communiste, confirme la vigueur de l’élan démocratique suscité par la campagne du maire de Varsovie.
Son score personnel, 48,79 % des voix, contre 51,21 % . M. Duda, selon les résultats provisoires rendus publics lundi matin, montre qu’il a su fédérer l’opposition au PiS, éparpillée au premier tour. Il confirme aussi la relève tant attendue à la tête de la PO, qui ne s’était jamais vraiment remise du départ pour Bruxelles de Donald Tusk, alors premier ministre, ni de la victoire du parti mené par Jaroslaw Kaczynski en 2015. La vieille garde a fini par céder la place ; l’opposition démocratique polonaise, après avoir emporté la majorité au Sénat en 2019, est maintenant en ordre de marche, avec, pour objectif, les prochaines élections législatives, en 2023. Cette énergie démocratique distingue la Pologne d’autres pays, notamment la Hongrie, où les partisans de la « démocratie illibérale » ont réussi à écraser l’opposition.
Le principal exploit de Rafal Trzaskowski et de son parti est en effet d’avoir frisé la victoire face à la machine du PiS déployée pendant cette campagne, en particulier sur les ondes des médias publics, sur lesquels M. Kaczynski exerce un contrôle absolu. Un tel déséquilibre n’est pas à l’honneur du président réélu, pas plus que ses attaques contre les homosexuels ni son voyage éclair à Washington, à quatre jours du premier tour, pour aller quémander au président Trump les troupes américaines que ce dernier affirme vouloir retirer d’Allemagne.
L’autre leçon de cette élection est la persistance de la division du pays en deux Pologne très distinctes, celle des grandes villes et de l’ouest du pays, qui a voté Trzaskowski, et celle des campagnes et de l’est, qui a réélu Duda. Le parti de M. Kaczynski aurait tort de sous-estimer ce clivage, désormais familier en sociologie politique dans de nombreux pays occidentaux : il ne peut en effet continuer à gouverner contre la moitié de l’électorat polonais et ne doit donc pas prendre la victoire de M. Duda comme un encouragement à renforcer le contrôle du parti sur les médias et le pouvoir judiciaire.
L’Union européenne, enfin, doit elle aussi analyser attentivement le résultat de cette élection. Au moment où se négocie un plan de relance exceptionnel pour combattre la crise économique due à la pandémie de Covid-19, dont la Pologne sera vraisemblablement l’un des grands bénéficiaires, il est impératif que ces nouveaux milliards d’euros ne soient pas attribués sans que les règles de l’État de droit communes aux États-membres soient respectées – y compris à Varsovie.