Il mancato quorum era nelle cose che potevano accadere: era una battaglia difficile, stante la situazione, ma una battaglia che doveva e deve essere fatta per il Paese. Si mette nel conto di perdere, ma si mette nel conto anche di fare non solo una campagna elettorale ma di iniziare un percorso politico. Se si volevano i posti, bastava solo accordarsi con il PD: mi indigna chi dopo essersi assicurato il posto sicuro, oggi promette di fare un partito libdem. Se sei convinto della bontà della creazione di una forza centrista, ti metti in gioco, partecipi a una lista coerente con quell’obiettivo e rischi; ma oggi viene prima il posto sicuro, la politica viene dopo. Capisco l’audience sui media, che non vedono l’ora di fare i titoli su queste manifestazioni di “dualismo”, ma quello che dimostra che il PD è in stato confusionale, è che un partito consenta di avere in direzione una persona, appena eletta nelle sue liste, disposta a fondare un altro partito, Ma forse nel PD ormai sono abituati a manifestazioni personalistiche e alquanto vanitose e perfino boriose. Quando sento il segretario del PD dire che il voto dimostra che esiste il bipolarismo, penso che il PD sia davvero in una situazione preoccupante di mancanza di politica. Se c’è una cosa che dimostra il voto europeo è che il bipolarismo è finito. Ecco perché non sono pentito, perché ho votato per superare una anomalia politica tutta italiana tale per cui il Paese non conta nulla. Sono anzi orgoglioso di aver votato per una forza che a livello europeo con tante probabilità esprimerà una donna per una della quattro funzioni più importanti dell’Europa.
Non si trattava di fare un parlamentare anche a costo di fare alleanza con i Verdi italiani, che sono contrari a tutto, e che sono cosa ben diversa dai verdi tedeschi, francesi, austriaci e inglesi. Bisognerà pur riflettere se i verdi del Paese di Greta Thunberg si sono dimezzati, se non sbaglio.
Era giusto fare alleanze con forze, che magari hanno rivelato di essere meno consistenti di quanto apparivano o volevano apparire, ma che sono in sintonia con il progetto di una forza liberale, democratica, riformista, ambientalista e autonomista. Ed è da questo punto che bisogna ripartire, tenendo conto anche che il voto delle maggiori città (Milano, oltre il 5%), per esempio, ha dato un segnale di apprezzamento importante.
Certo, sul nostro risultato ha pesato moltissimo la campagna -fatta anche da chi oggi vuole personalizzare su di sé il progetto di una forza liberaldemocratica – sul voto “utile”. Così invece di guardare alla marea nera che avanzava al nord come al sud, si è andati a cercare di prosciugare tutto quello che c’era al centro e a sinistra: un partito acchiappatutto, ma senza una politica di alleanze. Mi ha colpito nell’intervista dell’enfant prodige dei salotti politici e giornalistici romani una frase rivelatrice: “Fare politica non è fare gli accordi”. Forse nei salotti romani è così, ma a casa mia, la politica è valori, progetti, programmi, alleanze sociali e intese partitiche, poiché i partiti non sono realtà astratte, ma sono portatori di interessi sociali, economici, culturali, una volta anche di valori e di idee. A proposito di accordi e alleanze, quando la DC decise di porre fine al centrismo e iniziare il centrosinistra, mise nel conto di perdere voti alle elezioni del 1963: infatti passò da 12,5 a 11,7 milioni di voti, dal 42% al 38%, con il 4% in meno e settecentomila voti in meno; in quell’epoca di voto ideologico e di appartenenza erano spostamenti giganteschi; la DC con quella scelta perse le elezioni ma governò il Paese per altri trent’anni.
“+Europa” ha subito il fuoco amico, ma ha commesso errori vari di suo. Il vantaggio temporale del Congresso costitutivo è stato disperso in assurde polemiche di potere interne, camuffate da questioni di metodo o di una presunta purezza antica, tipiche di una esperienza radicale. E questo ha portato a fare le liste all’ultimo momento, non qualificandole adeguatamente all’importanza delle elezioni europee. Anche certe furberie interne, certi ammiccamenti verso forze esterne in concorrenza elettorale, come certi atteggiamenti di radicali scontenti che non sanno porre un termine alla fase congressuale, e pensano di ottenere la rivincita in campagna elettorale in maniera autolesionistica, non hanno sicuramente giovato. Così come in buona parte dell’elettorato, “+Europa” è visto ancora come una espressione del partito radicale, movimento di testimonianza e di battaglie sui diritti, ma non un partito impegnato sui temi sociali, culturali, economici ed istituzionali.
Pesa inoltre il mancato radicamento territoriale. Ed è questo uno dei primi passaggi da realizzare: una articolazione territoriale che consenta una partecipazione democratica alle scelte strategiche e politiche. Ciò diventa essenziale anche in relazione alle elezioni politiche, comunali e regionali prossime venture. Perché una cosa è certa dopo il voto italiano ed europeo: vi è bisogno di una forza che rappresenti quei moderati (altra cosa sono i conservatori) che non si riconoscono in Forza Italia e tantomeno nella Lega e i riformisti (non gli estremisti o i massimalisti) che non trovano espressione nel PD e che sappia raccogliere quel vasto astensionismo fatto di socialisti, repubblicani, liberali, autonomisti e riformisti che non trovano negli attuali partiti e movimenti una offerta politica convincente.
Per me deve essere una forza di persone sdegnate di fronte alle miserie di questo Paese e con la voglia di rimetterlo a posto da cima a fondo. Ma questo è un discorso lungo, tutto da fare.
““La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buona notte e buona fortuna”
Luigi Corbani
(mercoledì 29 maggio 2019)
Bravo Luigi, un’analisi perfetta e approfondita fatta da chi sa cos’è la politica ed è capace di spiegarla.
Zingaretti dice che il voto dimostra che esiste il bipolarismo , certo nel PD esiste un Disturbo Bipolare .
Sorry troppo facile!
Una lucida riflessione che non chiude, ma apre .