Pubblichiamo la terza parte dell’intervento di Mario Draghi, Presidente della BCE, in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bologna, Bologna, 22 febbraio 2019., a cui seguiranno le altre nei prossimi giorni.
Cooperazione e politica economica
Il secondo modo in cui la globalizzazione vincola la sovranità di un paese sta nel limitarne la capacità di emanare leggi e fissare standard che riflettano gli obiettivi sociali del paese stesso.
L’integrazione del commercio mondiale tende a ridurre l’autonomia dei singoli paesi nel fissare le regole, perché con il frammentarsi della produzione nelle catene del valore, aumenta l’importanza di standard comuni. In generale questi non vengono fissati nell’ambito di un processo multilaterale come il WTO (World Trade Organization/Organizzazione mondiale del commercio) ma vengono imposti dalle economie più grandi che hanno una posizione dominante nella catena del valore. Le economie più piccole solitamente non possono che accettare passivamente le regole stabilite da altri nel sistema internazionale [15].
Analogamente, l’integrazione finanziaria globale riduce il potere che i singoli paesi hanno di regolare, tassare, fissare gli standard di protezione sociale. Le imprese multinazionali influenzano la regolamentazione dei singoli paesi con la minaccia di ricollocarsi altrove, scelgono i sistemi fiscali a loro più favorevoli spostando tra le varie giurisdizioni i flussi di reddito e le attività intangibili.
Tutto ciò può spingere i governi a usare gli standard di protezione sociale come uno strumento di concorrenza internazionale: la cosiddetta “corsa al ribasso”.
Per un paese diventa più difficile la difesa dei suoi valori essenziali, quindi la protezione dei suoi cittadini: si ha inoltre un’erosione della base fiscale societaria che riduce il finanziamento del welfare state [16]. L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) stima la perdita di gettito causata dall’elusione fiscale tra il 4% e il 10% del totale del gettito dell’imposizione sul reddito societario [17].
Ciò avviene quando i paesi non sono grandi abbastanza da avere potere regolamentare da opporre alle imprese transnazionali o a una mobilità dei capitali distruttiva di valore. Ma è più difficile che ciò avvenga nei confronti dell’Unione europea perché nessuna impresa può permettersi di abbandonare il suo mercato. Il fatto di disporre di poteri di regolamentazione a livello comunitario permette agli Stati membri di esercitare la propria sovranità nelle aree della tassazione, della protezione del consumatore e degli standard del lavoro.
L’Unione europea dà agli Stati membri la capacità di impedire alle multinazionali di erodere la base imponibile sfruttando loopholes (n.d.r.: scappatoia, appiglio, via d’uscita) e beneficiando di sussidi. Recentemente qualche progresso è stato fatto anche in quest’area indubbiamente complessa. Quest’anno sono entrate in vigore nuove regole europee che dovrebbero eliminare le forme di elusione più comuni [18]. E se è vero che la Corte di Giustizia Europea si è recentemente pronunciata contro la Commissione in un caso di esenzione fiscale, è anche vero che ha stabilito che accordi fiscali tra le multinazionali e i singoli paesi possono costituire aiuti di Stato illegali che la Commissione ha il diritto di esaminare [19].
Inoltre l’Unione europea ha ben maggiori capacità di difendere i consumatori e assicurare loro un equo trattamento all’interno del mercato europeo.
Ciò si è visto quando l’Unione europea ha voluto affermare i propri valori in tema di protezione della privacy, con il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati [20]. Si è visto anche quando, grazie alle regole europee, le tariffe del roaming sono state drasticamente ridotte per i consumatori[21] o quando è stato stabilito che le commissioni per i pagamenti internazionali in euro all’interno dell’Unione europea non possono essere superiori a quelle applicate all’interno dei paesi [22].
Inoltre gli Stati membri possono, attraverso l’Unione europea, coordinarsi per difendere la propria rete di protezione sociale senza dover imporre restrizioni al commercio. Con la Carta sui Diritti Fondamentali, la legge europea ha ridotto la possibilità di concorrenza sleale da parte dei paesi con leggi sul lavoro meno protettive. Ma ha contribuito a innalzare gli standard di protezione del lavoro anche all’interno dell’Unione europea. Un esempio è quello della Direttiva sul lavoro a tempo parziale del 1997 che ridusse alcune discriminazioni che fino ad allora erano ancora praticate in 10 su 15 Stati membri [23], inclusa l’Italia.
Successivamente, l’OCSE mostrò come l’eliminazione di discriminazioni tra vari tipi di lavoro portasse a una maggior probabilità di contratti di lavoro permanenti [24].
Queste stesse protezioni non esistono a livello globale o sono molto meno incisive in altri blocchi commerciali regionali come il NAFTA. (n.d.r: North American Free Trade Agreemen, Accordo nordamericano per il libero scambio). La stessa storia degli USA ci offre un esempio delle difficoltà che singoli Stati hanno nell’allineare le condizioni di lavoro.
Nella prima parte del Novecento, in molti Stati americani era crescente la preoccupazione per la mancanza di una rete di protezione sociale, specialmente per i più anziani. Ma prevalse il timore che fornire protezione sociale avrebbe imposto, nelle parole usate allora, “un carico fiscale sulle industrie dello Stato che le avrebbe poste in posizione di svantaggio nella concorrenza con gli Stati vicini non appesantiti da un sistema pensionistico” [25]. Tutto ciò portò a una seria carenza di protezione sociale che fu esacerbata dalla Grande Depressione. Nel 1934 metà della popolazione con più di 65 anni di età era in stato di povertà [26]. Fu solo con l’approvazione del Social Security Act federale nel 1935 (n.d.r.: la Legge di sicurezza sociale fu firmata dal Presidente degli USA Franklin Delano Roosevelt il 14 agosto 1935) che i singoli Stati poterono coordinarsi aumentando la protezione sociale.
In maniera analoga l’esistenza dell’Unione europea ha offerto ai singoli paesi quel coordinamento che ha permesso loro di conseguire obbiettivi che non avrebbero potuto raggiungere da soli. Inoltre, questi standard sono esportati globalmente. L’Unione europea è il più importante partner commerciale di 80 paesi, mentre gli USA lo sono solo di 20 [27]. In questi trattati l’Unione europea può pretendere che vengano rispettati questi standard sulla protezione del lavoro e sulla qualità dei prodotti,[28] come pure che vengano protetti i nostri produttori. Il recente trattato con il Canada per esempio protegge 143 indicazioni geografiche.
Ma l’Unione europea può estendere il proprio potere regolamentare anche al di fuori dei trattati commerciali. Poiché coloro che esportano verso l’Unione europea devono osservare questi standard, essi finiscono per essere applicati alla produzione in tutti i paesi, il cosiddetto “Effetto Bruxelles” [29].
In tal modo, l’Unione europea influenza di fatto o di diritto le regole globali in un’ampia gamma di settori. E ciò permette ai paesi europei di conseguire un risultato unico: fare in modo che la globalizzazione non sia “una corsa al ribasso” degli standard. Piuttosto l’Unione europea innalza gli standard nel resto del mondo al livello dei propri. (segue)
Mario Draghi
Fonte: Direzione Generale Comunicazione della Banca Centrale Europea,
[15] Cfr. Blind, K., Mangelsdorf, A., Niebel, C. e Ramel, F. (2018), “Standards in the global value chains of the European Single Market”, Review of International Political Economy, 25:1, 28-48.; Nadvi, K. (2008), “Global standards, global governance and the organization of global value chains,” Journal of Economic Geography, 8(3): 323-343.
[16] Cfr. Devereux, M. et al. (2008), “Do countries compete over corporate tax rates?”, Journal of Public Economics, vol. 92(5-6), pagg. 1210-1235.
[17] OCSE (2018), OECD Economic Outlook, volume 2018, numero 1, OECD Publishing, Parigi.
[18] Cfr. Commissione europea, “Le nuove norme dell’UE per eliminare le principali lacune sfruttate ai fini dell’elusione fiscale societaria entrano in vigore il 1° gennaio”, comunicato stampa, Bruxelles, 30 dicembre 2018.
[19] Cfr. cause congiunte T-131/16, Belgio/Commissione e T-264/16, Magnetrol International/Commissione, sentenza del Tribunale del 14 febbraio 2019.
[20] Regolamento (UE) n. 679/2016 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati).
[21] Regolamento di esecuzione (UE) 2016/2286 della Commissione, del 15 dicembre 2016, che stabilisce norme dettagliate concernenti l’applicazione della politica di utilizzo corretto, la metodologia per valutare la sostenibilità dell’abolizione dei sovrapprezzi del roaming al dettaglio e la domanda che i fornitori di roaming devono presentare ai fini di tale valutazione.
[22] Direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le Direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il Regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la Direttiva 2007/64/CE.
[23] Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Regno Unito, Spagna e Svezia.
[24] OCSE (2010), “Have equal-treatment laws improved job quality for part-time workers?”, riquadro 4.3., OECD Employment Outlook: Moving Beyond the Jobs Crisis.
[25] Report of the Massachusetts Commission on Old Age Pensions, Annuities, and Insurance, 1910.
[26] DeWitt, L. (2010), “The development of social security in the United States”, Social Security Bulletin, 70(3).
[27] http://ec.europa.eu/trade/policy/eu-position-in-world-trade/
[28] Ad esempio, per partecipare al Sistema di preferenze generalizzate dell’UE, i paesi in via di sviluppo devono mettere in pratica le convenzioni fondamentali delle Nazioni Unite sui diritti umani e le convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
[29] bBradford, A (2012), “The Brussels effect”, Northwestern University Law Review, 102(1).