I media italiani finalmente hanno parlato della Polonia, forse un po’ obbligati dalla scadenza delle elezioni presidenziali. E pensare che Cracovia è distante da Milano quanto Reggio Calabria. Non parliamo poi del fatto che Milano è il punto mediano tra Varsavia e Algeri, tra Madrid e Varsavia. Varsavia dista da Milano come Copenaghen, come Sofia, come Nottingham (quella di Robin Hood, di Lord Byron, di D.H Lawrence), come Ragusa in Sicilia. Ma per la Rai e i giornali italiani è un altro emisfero, perché non capiscono che le vicende politiche, sociali ed economiche della Polonia contano per il nostro futuro più delle elezioni in Liguria o in Puglia.
E non tanto perché la Polonia è grande poco più dell’Italia (è il sesto Paese dell’Unione per superficie) e ha trentotto milioni di abitanti (il 63% della popolazione italiana, il quinto nell’Unione), ed è la sesta economia dell’Unione Europa (496,5 miliardi di euro di Pil 2018). Quanto perché la collocazione geopolitica della Polonia è strategica per il futuro dell’Unione europea.
La Polonia venne invitata nel 1994 a far parte della Nato, contravvenendo agli impegni assunti con Gorbaciov. Nel libro di Sergio Romano “Atlante delle crisi mondiali” si ricorda: “Quando ebbe luogo la riunificazione tedesca, noi promettemmo al leader sovietico Gorbačëv – e io ero presente – dice l’ambasciatore americano a Mosca dal 1987 al 1991, Jack Matlock – che se la nuova Germania fosse entrata nella Nato, non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss nell’Europa dell’Est. Non mantenemmo la parola. Peggio: promettemmo anche che la Nato sarebbe intervenuta solo in difesa di uno Stato membro e invece bombardammo la Serbia per liberare il Kosovo che non faceva parte della Alleanza” e così la “Nato in marcia” ha guastato le relazioni con la Russia.
La Polonia ha presentato domanda di adesione all’Europa nel 1994 e poi nel 2004 venne accolta insieme a tutti i Paesi dell’Est: scelta che era in aperta contraddizione con il processo di integrazione europea. Da una parte si cercava di creare uno stato sovranazionale e dall’altra si apriva a stati che volevano riacquistare la loro autonomia e la loro sovranità e che non volevano passare da una sovranità limitata ad un’altra. Scrive sempre Sergio Romano: “Prima di accoglierli avremmo dovuto ricordare che fra il nucleo originale della Comunità economica europea (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi) e i quattro Paesi di Visegrád (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria) correva una fondamentale differenza. Noi avevamo aderito a un progetto unitario per rinunciare, sia pure gradualmente, a quelle sovranità nazionali che erano responsabili di due conflitti mondiali. I quattro di Visegrád, e più tardi le repubbliche baltiche, invece, erano uscite dal sistema sovietico con la speranza di recuperare una sovranità perduta. Hanno chiesto di aderire all’Unione Europea perché garantiva sostanziosi aiuti economici e un più largo mercato del lavoro per i propri cittadini. Ma hanno affidato la loro sicurezza agli Stati Uniti e mantengono con Washington relazioni più strette, per molti aspetti, di quelle che hanno con Bruxelles e Strasburgo.”
Ora è apparso evidente in tutte le maniere che la Polonia pensa all’Europa come a un bancomat; infatti è il Paese che maggiormente ha usufruito dei fondi strutturali: nel 2007-2013 ha preso 102 miliardi di euro e nel 2014-2020 ha avuto 106 miliardi, con un aumento mentre la crisi economica causava anche una diminuzione del budget europeo. Questo ha consentito alla Polonia di aumentare il Pil pro capite (equiparando il potere reale di acquisto): fatto 100 il valore dell’Unione europea, il Pil pro capite della Polonia è 71, quello dell’Italia è 97 e quello della Germania 123. Si è registrato dunque un notevole incremento del Pil, anche se le differenze sono notevoli all’interno della Polonia: si va dal valore 151% di Varsavia (che la colloca al 21° posto tra le 323 regioni di Europa) a quello della regione dei Precarpazi che ha il 48% (uno dei più bassi di tutta l’Europa: 286° posto su 323). Per intenderci, la Calabria, la regione messa peggio in Italia, ha un Pil pro capite pari al 57% (264° su 323).
E come è noto, la Polonia ha sempre rinviato il suo ingresso nell’euro, e mantiene lo zloty (il 2 luglio, uno zloty vale poco più di 22 centesimi). Ma la Polonia ha un commissario su una materia tutt’altro che secondaria, l’agricoltura: è Janusz Wojciechowski che è stato parlamentare europeo del gruppo dei Conservatori per “Diritto e giustizia”: diciamo euroscettici e antifederalisti europei. È dello stesso gruppo del Presidente uscente della Polonia, Andrzej Duda, che non è passato al primo turno di votazione. E questa è una buona notizia per i democratici, e i liberali europei, oltre che per le forze riformiste ed europeiste. Hanno votato, domenica 28 giugno, oltre 4 milioni di persone in più delle presidenziali 2015, e oltre cinque milioni e mezzo in più delle europee 2019: un record di partecipazione al voto (oltre il 64% degli elettori ).
Forte del successo alle europee (45,38% a “Diritto e Giustizia”), Duda pensava di esser eletto al primo colpo, ma si è dovuto fermare al 43,5% e dovrà andare al ballottaggio con Rafał Trzaskowski, – sindaco di Varsavia, ex deputato europeo del gruppo del Partito popolare europeo – che ha preso il 30,46% con una coalizione composta da Piattaforma civica (partito europeista di centro destra), Moderno (partito liberale), Iniziativa polacca (socialdemocratico liberale, europeista) e il Partito Verde. In sostanza, gli “europeisti” hanno preso il 49% dei voti e un partito di estrema destra quasi il 7%. E se Duda cerca di recuperare i voti dell’estrema destra (oltre 1,3 milioni), Trzaskowski deve andare a recuperare un 20% dei voti, pescando anche lui a destra, e nel contempo cercando anche di convincere un elettorato di sinistra, che chiede un forte cambiamento e che non si fida tanto di lui. Speriamo che alla fine prevalga comunque la logica del “meno peggio”, che è tipico del sistema maggioritario: a parte quelli convinti e fidelizzati, gli altri, quelli incerti, che non si sentono rappresentanti né da uno né dall’altro, votano per quello che dal loro punto di vista sembra il meno peggio.
Il voto dunque del secondo turno non dovrebbe essere scontato. In ballo ci sono valori importanti di democrazia, di rispetto della separazione dei poteri, di informazione libera, di lotta al razzismo e alla omofobia. La Commissione europea, il 29 aprile 2020, ha avviato una procedura di infrazione contro la Polonia, per violazione dello stato di diritto e del diritto comunitario, con la nuova legge polacca sul sistema giudiziario del 20 dicembre 2019, entrata in vigore il 14 febbraio 2020. “Lo stato di diritto è uno dei principi e dei valori fondamentali su cui si fonda l’Unione europea…Lo stato di diritto è inoltre essenziale per il funzionamento dell’UE nel suo insieme, ad esempio per quanto riguarda il mercato interno e la cooperazione in materia di giustizia, libertà e sicurezza, che si basa sulla cooperazione e riconoscimento reciproco. Garantisce inoltre ai giudici nazionali, che sono anche “giudici dell’UE”, la possibilità di adempiere al loro ruolo di garantire l’applicazione del diritto dell’Unione e di interagire correttamente con la Corte di giustizia europea”. La Commissione europea ha più volte ammonito la Polonia fin dal 2016 sul rispetto dello stato di diritto e a più riprese la Corte di giustizia dell’UE ha emesso sentenze a conferma delle contestazioni della Commissione europea contro la Polonia.
Tutte le forze democratiche dovrebbero far sentire, non solo nel Parlamento europeo, la loro voce perché si fermi un uso puramente propagandistico delle televisioni, dove sono ridotti gli spazi agli oppositori. E sarebbe cosa buona e giusta se anche la Segreteria di Stato vaticana richiamasse ad una maggiore neutralità parti consistenti della Chiesa cattolica polacca, che non brilla per apertura mentale e riconoscimento del pluralismo politico e culturale. Sarebbe anche più che doveroso che il Parlamento europeo chiedesse la sospensione delle erogazione dei contributi europei, ordinari e straordinari, anche per il covid-19, finchè non sarà risolta la messa in mora della Polonia. Deve finire l’assalto della diligenza con i soldi che l’Unione europea generosamente distribuisce .
Il viaggio di Duda da Trump, pochi giorni prima delle elezioni, è una nuova conferma di posizione della Polonia, che guarda più a Washington che a Bruxelles, ma questo non aiuta a sciogliere la diffidenza della Russia nei confronti dell’Europa. Anzi, quella politica spinge la Russia a est, verso la Cina, indebolendo la presenza dell’Europa in un sistema di relazioni multilaterali. Non possiamo denunciare le violazioni dello stato di diritto in Russia e far finta di niente con un Paese come la Polonia, e come l’Ungheria, che viola apertamente i principi costitutivi dell’Unione. Siamo in presenza di sovranisti populisti, che sono europeisti per prender i soldi dell’UE e antieuropeisti sui valori di democrazia, di pluralismo, di solidarietà e di unità europea.
Occorre che la Polonia abbia ben presente che è giunto il momento di fare scelte fondamentali per i valori democratici e per il rispetto dello stato di diritto. E anche l’Europa deve compiere scelte chiare: senza stato di diritto, non si può stare nell’Unione europea.
Marianna Guillonk
(giovedì 2 luglio 2020)