Il MediaLab dell’Università degli Studi di Pisa e l’Università degli Studi di Milano hanno recentemente analizzato i data di Facebook relativi all’attività su questo social medium in corrispondenza alla campagna elettorale italiana. Il periodo considerato va dal 1° gennaio al 3 marzo 2018. Ne ha scritto anche “The Guardian”. L’analisi rivela che tutti i 25 più condivisi post Facebook nei due mesi di campagna sono stati video, foto e live di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio. Ciascuno di loro ha capitalizzato nel periodo ben 7.8 milioni di like o condivisioni Facebook. Per dare un’idea comparativa, Giorgia Meloni ne ha capitalizzato 2,6 milioni, Matteo Renzi 1,5, Silvio Berlusconi 0,9 e Pietro Grasso solo 0,3.
Che i social media siano determinanti per il successo di una campagna elettorale non si scopre oggi, ma un’occhiata ai numeri sopra citati può dare un’idea precisa delle ragioni per le quali si è originato il risultato dello scorso 4 marzo. Ci sarebbe da chiedersi perché i partiti populisti (comprendendo anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni) siano i più efficienti ed efficaci nell’uso dei new media, e perché, invece, partiti consolidati ma declinanti come il PD o Forza Italia siano così scarsi. Forse la risposta la fornisce il professor Olivier Ertzscheid dell’Università di Nantes (citato nell’articolo de “The Guardian”) che attribuisce a Mark Zuckerberg, creatore di Facebook, la volontà di creare una nuova infrastruttura sociale per consentire al popolo di essere (o sentirsi) più vicini ai politici eletti e di consentire agli elettori di essere (o di avere la sensazione di essere) più coinvolti nelle decisioni politiche che li riguardano.
Inoltre, i social media consentono una comunicazione spregiudicata, proprio perché disintermediata e, per quanto concerne le formazioni populiste, semplicistica, divisiva e caustica, spesso infamante, nella quale la diffusione virale di fake news è commercio quotidiano di informazione avariata. Anche le forme di mobilitazione politica contemporanee trovano nei social media uno strumento efficiente ed efficace di organizzazione. Il movimento dei “gilets jaunes” in Francia è stato, infatti, organizzato via Facebook (e oggi non potrebbe essere altrimenti).
La prossima campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo si preannuncia feroce e radicale: “Europa sì” o “Europa no”. Difficile che vi sia spazio per distinguo o sfumature intermedie o riflessive, del tipo “Europa come?”, “Europa diversa”, etc. Una campagna che sarà combattuta soprattutto con un uso massiccio, scientifico e spietato dei social media. A giudicare solo dai dati sopra presentati, le forze populiste partono avvantaggiate e in grado di prenotare un successo elettorale scontato. E qui non stiamo a considerare l’eventuale, potenziale e fin qui però non dimostrata, interferenza russa nelle campagne elettorali occidentali. Come si stanno organizzando le forse politiche europeiste? Di sinistra e non. Saranno in grado di partecipare alla prossima campagna elettorale in condizioni non dico di parità (non esageriamo), ma almeno di dignitosa competizione?
Sul PD non nutro grande speranza: decapitato e senza segreteria, arriverà al Congresso a marzo in piena campagna elettorale, ci arriverà sfinito, diviso e pieno di lividi (e livore). Non sarà certamente in grado di competere efficacemente. Anche in questo sta la totale irresponsabilità del suo gruppo dirigente: retroproiettato nel Novecento, quando gli altri lo sono nel futuro.
Pepito Sbazzeguti