Parlo di una bellissima iniziativa del coro degli stonati de laVerdi. Con l’aiuto di alcuni musicisti della Verdi, in primis Luca Santaniello, (primo violino), gli stonati hanno registrato da casa, ciascuno sulla base musicale comune, il canto, che poi è stato messo insieme e montato in questo filmato.
Per chi non lo sapesse, anni fa, abbiamo iniziato a fare dei corsi per i cosiddetti “stonati”. Coloro che ritengono di essere stonati. Il Maestro Romano Gandolfi, mitico direttore del Coro della Scala, del Liceu di Barcellona, del Colon di Buenos Aires, con cui fondammo nel 1998 il Coro de laVerdi, ripeteva spesso che non esistono stonati in natura, esistono solo persone che non sanno e non sono state abituate ad usare la voce. Ogni tanto mi prendeva in giro, dicendo ai coristi, quando non facevano come lui voleva, “ma questo lo sa fare anche Corbani!”
La voce è lo strumento musicale per eccellenza, e costa poco anche. Il coro, come le bande musicali, ha un valore non solo culturale, ma sociale: si impara a stare insieme, a fare delle cose insieme. E sarebbe importante per i bambini e per i giovani: dovrebbe essere una attività diffusa in ogni ordine e grado dell’istruzione, compresa l’università.
Confesso che mi sono commosso (non è solo per l’età, ovviamente). E mi ha fatto tornare in mente alcune cose.
In occasione del 65* della Liberazione, sabato 24 aprile 2010, la Verdi realizzò un concerto alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il concerto era rivolto in particolare ai giovani, che affollarono fino ad esaurimento dei posti, l’Auditorium. Il Concerto diretto dal Maestro Francesco Maria Colombo aveva in programma “Il canto sospeso” per soprano (Sylvia O’Brien), contralto (Ethna Robinson), tenore (Martyn Hill), voci recitanti (Laura Pasetti e Ivan Alovisio), coro misto (il coro sinfonico de la Verdi, diretto dal Maestro del Coro Erina Gambarini). Il sottotitolo dell’opera reca “Testi dalle lettere di addio dei partigiani della Resistenza europea condannati a morte”, tratti dal volume pubblicato da Einaudi nel 1954.
Sulla copertina del programma di sala, vi era la riproduzione del dipinto di Renato Guttuso “Fucilazioni a Roma” 1944, che si riferisce alla fucilazione di patrioti romani al Forte Boccea.
Il volume di Einaudi era curato da Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli e conteneva la prefazione di Thomas Mann. Nel programma di sala vi era questa citazione di Mann: “…la fede, la speranza, la volontà di sacrificio d’una gioventù europea, che, se ha assunto il bel nome di “résistance”, della resistenza internazionale e concorde contro lo scempio dei propri Paesi, contro l’onta di una Europa hitleriana e di un mondo hitleriano, non voleva semplicemente “resistere”, ma sentiva di essere l’avanguardia di una migliore società umana…”
Quante scuole adottano ancora questo testo ? A parte il fatto che un genio della Lega ha pensato anche di togliere la storia dalle materie di esame, non sarebbe buona cosa far capire che la nostra libertà si deve a tanti che hanno sacrificato, coscientemente, la loro vita per noi ? Sarebbe troppo di sinistra ? È troppo di sinistra celebrare il giorno della Liberazione ? Sarà bene che tutti se ne facciano una ragione: la Repubblica Italiana è nata dalla Resistenza, la Costituzione è frutto di quella stagione di “larghe intese” (direbbero oggi, mah?!) nata con le caratteristiche dell’antifascismo.
Un altro pensiero mi è venuto. È mai possibile che non si ricordino con il dovuto rispetto alcuni protagonisti della lunga lotta al fascismo, quando la massa degli italiani seguiva il regime ? Quattro nomi mi vengono in mente, per i quali, anche frequentandoli, nutrivo ammirazione, rispetto e soggezione: Luigi Longo, Giorgio Amendola, Giancarlo Pajetta, Paolo Bufalini. È mai possibile che non ci sia nessun partito che li ricordi ? Scrive Luigi Borgomaneri (nella voce “ Milano” del “Dizionario della Resistenza”, Einaudi Torino, 2001): “Il 6 maggio 1945 in molte città d’Italia si tennero le sfilate della Liberazione come atto simbolicamente conclusivo della Resistenza. La sfilata di Milano era guidata dal Comando Generale del Corpo Volontari della Libertà composto da: Gian Battista Stucchi, Ferruccio Parri, Raffaele Cadorna, Luigi Longo, Enrico Mattei. In quell’occasione la bandiera del C.V.L. fu decorata dagli Alleati con la Medaglia d’Oro.
Il 7 luglio 1945 fu allestita al Palazzo dell’Arengario la Mostra della Liberazione. Gli organizzatori furono tra gli altri: Mario De Micheli, Duilio Morosini, Gabriele Mucchi, Albe e Lica Steiner, Luigi Veronesi.
Il 14 luglio 1945, sempre a Milano, si tenne una grande kermesse per celebrare l’anniversario della presa della Bastiglia e, soprattutto, la fine della guerra. Fin dai primi di luglio, la città era diventata un’enorme balera a cielo aperto. Si ballava nelle piazze, nelle strade, nei cortili, nei giardini, sotto i bersò delle osterie, nelle sezioni dei partiti. I festeggiamenti avevano raggiunto l’apice sabato 14 durante la Festa della Fraternità che si svolse al Parco, dal Castello all’Arco della Pace. Nei quartieri periferici la gente vegliò tutta la notte e i tram circolarono ininterrottamente. Una banda auto trasportata suonò La Marsigliese e altri inni di libertà in tutta la città.”
Ecco, forse abbiamo bisogno di ricordare cosa vuol dire l’entusiasmo per la libertà e la democrazia.
Infine, ricordo che quel concerto era anche in ricordo di Luigi Nono: allora era il ventesimo anniversario della scomparsa, quest’anno, l’8 maggio, sarà il trentesimo. Spero che anche quest’anniversario non passi sotto traccia e che le istituzioni musicali e culturali possano trovare il tempo di ricordarlo. Come, del resto, è doveroso celebrare il centesimo anniversario della nascita (21 aprile 1920) di un grande uomo di cultura, che tanto ha contribuito a Milano: Bruno Maderna. In questi giorni, alcuni amici bolognesi hanno realizzato un bel video per ricordarlo e a loro dovrebbe andare la riconoscenza delle istituzioni milanesi: perché una città e un Paese che non hanno memoria, non hanno futuro.
Luigi Corbani
(sabato 25 aprile 2020)
Bel ricordo. Certo per noi i nomi dicono ancora qualcosa perché sono persone che hanno costruito l’Italia libera e ci hanno accompagnato per anni , noi nati durante la guerra. Purtroppo al di là delle carenze dello studio della storia i nomi per i miei figli e ancor meno i nipoti non restano impressi e in parte scompariranno con noi . Importante è che il ricordi della Resistenza e della fondazione della Repubblica non muoia. Grazie Dr. Corbani dell’articolo,