Nei commenti alle sciagurate dichiarazioni di Lagarde, ho purtroppo visto poco rigore analitico e intellettuale. Nel mio articolo per “Il Migliorista” del 9 settembre 2019, sostenevo la necessità di preservare l’indipendenza della BCE; al tempo stesso, esortavo a maggior coraggio nella politica fiscale dell’UE, ponendo speranza, e indicando la strada, nella neonata Commissione von der Leyen.
In questi giorni i mercati finanziari, popolati non solo di ribassisti scatenati o di computer, ma anche di fior di laureati nei più prestigiosi atenei del mondo, reagiscono, o iper-reagiscono, agli annunci delle banche centrali immediatamente; i modelli previsionali di cui gli operatori dispongono, e le teste pensanti che li governano, consentono loro di fattorizzare istantaneamente gli effetti delle dichiarazioni dei governatori centrali sulle attività finanziarie, valutarie e legate ai beni (commodities). Questo accade ormai da molti anni: è accaduto negli USA con Greenspan, Bernanke, Yellen, Powell, e in Europa con Trichet, Draghi, e ora con Lagarde. La politica monetaria è efficace se viene comunicata bene; se la comunicazione è debole, o peggio, pessima, il danno è fatto.
Ora, nell’attesa di verificare se lo statuto della BCE preveda la rimozione della Presidente, per giusta causa o per colpa grave prima del termine del mandato di un ottennio, analizziamo l’essenza del messaggio di Lagarde di giovedì scorso. Ella ha da un lato annunciato il rafforzamento di varie misure ideate e implementate sotto la presidenza Draghi, dall’altro – rispondendo alla domanda di un giovane giornalista di Handesblatt al 41° minuto della conferenza stampa – ha chiosato: “noi non siamo qua per chiudere gli spread [sui titoli di stato, mia aggiunta]; tocca ad altri” accompagnato con un ghigno tanto sinistro quanto maldestro. E questo, a borse aperte, ha scatenato il disastro e le reazioni a tutti note.
Dunque il pacchetto di misure e azioni annunciate è, per ora, appropriato, ma i mercati finanziari l’hanno presa malissimo. Vero. Tuttavia:
- Se è vero che compito della BCE non è quello di soddisfare i rapaci operatori dei mercati finanziari con politiche sempre e necessariamente ultra accomodanti (più liquidità c’è, più i prezzi delle attività crescono e più gli utili si gonfiano), vero è altresì che le dichiarazioni e le manovre della BCE impattano su banche e investitori in quanto (a) l’impennata dello spread svaluta pesantemente i portafogli di banche, assicurazioni, casse di previdenza, fondi pensione, fondi d’investimento, così come i risparmi delle famiglie e (b) il crollo delle borse annichilisce il valore di importanti aziende di rilevanza strategica. Tutto ciò contribuisce drammaticamente a sgretolare la “famosa” stabilità finanziaria che la BCE dovrebbe invece preservare. Quindi Lagarde deve pagare per questo!
- Al tempo stesso, l’assenza di reazione, visione e coordinamento delle istituzioni europee lascia campo libero agli egoismi nazionali e alle spinte centrifughe, soprattutto nei momenti di tensione.
In questo caos, il sacrosanto monito di Lagarde ai politici europei (“la risposta dev’essere fiscale, per prima e principale” – 48° minuto) è purtroppo e inevitabilmente passato in secondo piano a causa dell’improvvida dichiarazione del 41° minuto. Dichiarazione che ha certamente arricchito alcuni operatori dei mercati finanziari e che lei stessa ha dovuto goffamente rettificare in serata. Ma il monito resta, e l’Unione Europea deve agire presto e massivamente, accelerando sui progetti di emissione di titoli EU (Eurobond) e favorendo emissioni a lunghissimo termine (50 anni, o addirittura irredimibili) da parte degli Stati (Italia in testa, ma non solo) con rischio emittente mitigato da garanzie solidaristiche europee. Sono certo che la BCE dimostrerà di avere altre “cartucce” a disposizione; probabilmente la sua Presidente (o il Consiglio) ha per ora preferito non svelarle ai mercati per non perdere quel grado di libertà che nel medio termine potrebbe rivelarsi cruciale per evitare il tracollo, visto che nessuno sa quanto questo incubo durerà. Purtroppo, se così stanno le cose, Lagarde ha comunicato in maniera maldestra, accrescendo l’incertezza anziché ridurla.
Ma il problema dell’elevato debito italiano rispetto al PIL resta eccome, anzi ora s’ingigantisce, a prescindere dal ghigno di Christine: con le nuove emissioni di titoli Stato, a fronte dei provvedimenti oggi deliberati dal Consiglio dei Ministri per 25 miliardi, crescerà il numeratore (debito) proprio nei trimestri in cui calerà o stagnerà il denominatore (PIL). Non è algebra d’accatto, è la dura realtà. I mercati finanziari sono meno irrazionali di quanto si creda. Stanno “punendo” l’Italia non per complotto ma perché ha debito elevato più elevato di altri Paesi.
A breve sono attese le revisioni semestrali periodiche del rating dell’Italia da parte delle agenzie internazionali. L’Italia ha rating nella categoria “BBB”, ai limiti della cosiddetta “categoria speculativa o di non-investimento”. Avere rating “BBB” (col + o col -) significa, nei manuali delle agenzie “… essere esposti a condizioni economiche avverse, laddove è più probabile che cambiamenti repentini di circostanze conducano all’indebolimento della capacità dell’emittente [l’Italia, nel nostro caso] di onorare le proprie obbligazioni finanziarie [cioè i Btp emessi] puntualmente e integralmente.” Non aspettiamoci sconti, valutando codeste agenzie proprio la sostenibilità del debito nel medio termine (3-5 anni) e la capacità del Paese di generare ricchezza per onorare gli impegni presi, né più né meno di quel che potrebbe dirsi per ogni famiglia che non vuol finire in miseria, conscia che non è detto che poi qualcuno giunga in aiuto.
© Carlo Barbarisi
(lunedì 16 marzo 2020)