Che senso ha, in un mercato comune europeo, tra Paesi che sono strettamente connessi tra loro per la produzione e la commercializzazione dei prodotti, affrontare in ordine sparso la “fase 2” ? “Di fronte alla vicenda del virus, ogni Paese è andato in ordine sparso: a dominare sono stati gli interessi dei singoli Stati nazionali, gli interessi locali e di piccolo cabotaggio nazionale, senza alcuna vera scelta europea” (Il Migliorista 3 marzo). Neanche adesso, per l’uscita dal confinamento, si trova una maniera di coordinare le politiche dei singoli paesi, in modo da fare davvero una politica comune europea.
Se prevalesse un minimo di ragione, la fase 2 verrebbe coordinata tra tutti i Paesi europei per farla in sicurezza reciproca. La prima cosa che si doveva e si dovrebbe chiedere è che ci sia un’autorità europea, che diriga le operazioni di contrasto del contagio, per la fase due: un comitato speciale della Commissione europea a cui tutti i Paesi debbono fare riferimento, e seguirne le direttive e le decisioni. Alcuni Paesi non ci stanno? Si prenda atto, e non si diano i contributi.
Questa triste vicenda della pandemia poteva essere l’occasione per superare la situazione di una Europa vista, sostanzialmente, come un bancomat. In realtà, però l’Europa, anche di fronte al virus, si è confermata divisa e tutt’altro che unitaria. La rivista “Limes” ha giustamente, a mio parere, fotografato la situazione, disegnando una Europa divisa in tre blocchi.
I paesi dell’Est, che hanno anche avuto un minor impatto del virus, pensano solo ai loro confini nazionali e alla loro sovranità, e peraltro solo quattro su undici hanno l’euro.
I Paesi “formica” (Germania, Austria, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Danimarca, Svezia e Finlandia) non hanno adottato misure di blocco totale delle attività produttive e della vita sociale e non sono intenzionati ad accollarsi parte dei debiti degli altri Stati.
I Paesi “cicale” (Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Grecia e Irlanda) hanno decretato il blocco totale dei loro paesi e chiedono di condividere i costi della crisi e della ripresa. Sullo sfondo aleggia il fallimento del mercato comune, dovuto anche al fatto che, in particolare, Grecia, Spagna e Italia sono malmessi, gli ultimi due Paesi anche sul fronte dei debiti pubblici.
Ma l’Italia sembra essere indifferente a tali problemi e ha minacciato di fare da sola, visto che per Conte l’Europa è solo una “comunità di interessi”: sembra di vedere quello che prende a pugni il bancomat, che non gli fornisce i soldi poiché non ha nulla sul conto. Stiamo affrontando una situazione drammatica, sanitaria ed economica, senza alcun piano.
Avremo una caduta del prodotto interno lordo del 9,5 % (quasi un decimo !), un rapporto del deficit sul Pil che è quasi quattro volte quello che era previsto dai trattati europei (l’11% invece del 3%), il debito pubblico che arriverà al 160% del PIL e non esiste una strategia di breve, medio e lungo periodo.
Sembra che nel prossimo decreto, (che era di aprile, ed è diventato di maggio), le risorse destinate alla sanità passino da 2,6 a 3,2 miliardi su un totale di 55 miliardi. Ovviamente, questi 55 miliardi sono nuovi debiti, debbono essere trovati. E, vista la discussione nel governo, mi chiedo perché per settimane Conte e le 5S hanno continuato a dire di no al Meccanismo europeo di stabilità, che ci prestava 36 miliardi, per le spese sanitarie, dirette e indirette. Altro che 3,2 miliardi, che comunque dobbiamo chiedere a prestito, pagando gli interessi. Per settimane, si è detto di no, perché alle 5S non piaceva il nome Mes? Perché l’Europa non ce li regalava?
Quei 36 miliardi ci farebbero comodo per mettere a posto la sanità non solo per la fase due (attività per trovare, testare, trattare e isolare i positivi in ospedali “solo covid”, caserme, alberghi, ecc) ma per portare la dotazione del servizio sanitario nazionale (posti letto per abitanti, posti di terapia intensiva per abitanti) a livello della media europea. Ci servirebbero anche per trasformare buona parte delle “residenze sanitarie per anziani” in “case per anziani con assistenza sociale, culturale, ricreativa e sanitaria”. E questo richiede ben altro che i 3,2 miliardi “concessi” al Ministro Speranza.
Siamo rimasti, per paura o per responsabilità a seguire le indicazioni: “io resto a casa”, “rimaniamo più distanti oggi, per riabbracciarci domani; fermiamoci oggi per correre più veloci domani”, fino all’ultimo: “La mia salute è nelle tue mani, la tua è nelle mie. Per cui #miraccomando”.
In sostanza, gli italiani si sono comportati bene ma non ho capito quanto ha fatto il governo per la fase 1 e cosa stia facendo (dal punto di vista sanitario) per la fase 2. Allora ho passato in rassegna tutte le dichiarazioni e le conferenze stampa di Conte (Twitter non perdona!) per vedere e capire che misure sanitarie ha adottato il Governo da quella famosa intervista di Conte a “Otto e mezzo” del 27 gennaio: “ Siamo prontissimi; l’Italia ha adottato misure cautelative all’avanguardia rispetto agli altri Paesi, ancora più incisive. Abbiamo adottato tutti i protocolli di prevenzione, possibili ed immaginabili”. Insomma, secondo Conte, il governo è stato vigile, non si è fatto trovare impreparato.
Con il permesso degli intellettuali del “Manifesto”, mi viene da dire: “pensa se fossimo stati impreparati”. “La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(giovedì 7 maggio 2020)