Quando cominciò a girare il suo nome come possibile successore di Aniasi, in molti storsero il naso. «Non ha la statura per fare il sindaco», sentenziò Giorgio Bocca. Perché Tognolino era troppo giovane (38 anni), non aveva esattamente un fisico da corazziere e anche perché a livello nazionale era poco più che uno sconosciuto. Bocca si sbagliava. Tognoli è stato un gigante.
Diventò sindaco negli Anni di piombo, anni di agguati terroristici con magistrati, poliziotti, dirigenti e giornalisti ammazzati in mezzo alla strada. Ma anche anni di criminalità feroce: sequestri di persona e rapine al ristorante a volte concluse con lo stupro di una cliente sulla tavola apparecchiata. E poi la droga, con i ragazzi morti sulle panchine, la siringa ancora infilata nel braccio. Bisognava ridare vita a Milano, ridarle fiducia, voglia di vivere, voglia di fare. Altro che chiudersi in casa: bisognava spalancare porte e finestre.
Ed ecco Tognoli lanciare il progetto «Città aperta» e dentro ci stava tutto, piccole e grandi iniziative: dalla chiusura del centro al traffico privato, al «risotto in piazza», dal rilancio delle case popolari, al Passante ferroviario o alla straordinaria mostra sugli Anni Trenta. Aveva una volontà di ferro, conosceva la macchina comunale come un pilota di Formula 1 conosce la sua monoposto e sapeva farla correre: alzava il telefono e chiamava non il dirigente, ma l’oscuro impiegato che aveva in mano una certa pratica. E quello si faceva in quattro. Univa capacità amministrativa e abilità politica.
Sapeva mediare, ma non temeva lo scontro, come scoprì la potente lobby dei commercianti con la pedonalizzazione di corso Vittorio Emanuele. «Il sindaco di Milano è piccolo come un nano», cercavano di sminuirlo con puerile dileggio i più stupidi dei suoi avversari. E quando alla buvette del consiglio comunale correggeva la Coca Cola con due dita di vino rosso (o l’aranciata con il vino bianco) gli stessi sussurravano «il piccolo chimico è all’opera», per ricordare che Tognoli si era fermato a un diploma di perito chimico, appunto.
Ma aveva comunque una straordinaria cultura che spaziava dall’arte alla musica e soprattutto alla storia. E poi c’era la sua passione per la politica. Lui socialista autonomista e convinto anticomunista governò nove dei suoi dieci anni da sindaco proprio con il Pci. Alla guida di palazzo Marino lo aveva voluto Bettino Craxi, ma Tognolino era cresciuto in fretta, anche troppo. Fino ad arrivare a ingelosire il Capo quando alle Europee del 1984 fece il record di preferenze: 337 mila. Avrebbe potuto «mettersi in proprio», farsi una sua corrente, ma a chi lo spingeva ripeteva invariabilmente: «A Bettino devo tutto. Sto con lui».
Ha traghettato la città dagli Anni di piombo alla Milano da bere, ha certamente conosciuto i meccanismi di Tangentopoli, ma non ne ha mai approfittato personalmente. E quando uno schizzo di fango è arrivato fino a lui, ha preteso un’indagine patrimoniale per dimostrare che non aveva messo da parte una lira. Ciao Sindaco.
Claudio Schirinzi
(Corriere della Sera 6 marzo 2021)